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IL GIORNO DI GIUSEPPE
PARINI * Con introduzione e
COMMENTO DI GIUSEPPE ALBINI.
NUOVA TIRATURA.
Firenze, G. C. Sansoni, Editore - mcmx.v.
l'ROrRIETA LETIERAHIA
Firenze - Stab. G. Carnesecchi e figli - Piazza Mentana.
PREFAZIONE
Sono grato al direttore di questa Biblioteca., che mi fu
e mi è sempre caro maestro, dell'avermi offerto di prepa-
rare per essa II Giorno del Parini, con ciò dandomi occa-
sione a meglio studiare in tutti i suoi particolari l'opera
insigne.
Lavorare utilmente a un autore, intorno al quale molti
già hanno speso cure diligenti e sagaci, non è agevole ; né,
sopra tutto, la parte di Ruth — che vien le saighe raccat-
tando Da' lassi mietitor lasciate in via — vuol facilmente
riuscire di molto profitto per una via dov'è passato il Car-
ducci. Ma, perché la dichiarazione seguita del poema è
naturalmente altra cosa dallo studio e dalla storia, pur
compiuti e minuti, di esso, e ne' modi poi del commento
avanza altro che trarre indiscretamente da' lavori altrui,
il mio compito era piuttosto sovrabbondante che scarso.
Non farò qui lungo discorso né sul poeta né sul poema.
Del Parini ogni cólto italiano, ogni giovine non imprepa-
rato a leggere II Giorno, ha sufficienti notizie; saperne di
più, imparare a conoscere vero e intiero il poeta sarà ap-
punto l'effetto della lettura del poema. Intorno al quale,
tra gli altri scritti in vario grado e per varie ragioni pre-
gevoli, il libro di Giosuè Carducci Storia del « Giorno »
tv PREFAZIONE
di G. P.^ è il più informato e sapiente, opera di amorosa
diligenza e di alto intelletto. Non posso io qui né debbo
compendiarla, contento a registrarla sùbito e a richiamarmi
ad essa tra il lavoro assai volte. Sole due cose mi bisogna
dicliiarare incominciando: la lezione del testo clie ho se-
guita, con le ragioni che me l'han fatta seguire e accom-
pagnare insieme di tutte le varianti; e ih modo che ho te-
nuto, con gl'intenti che mi son proposto e le idee a cui
s'informano, nel commentarlo.
*
* *
Il Paiini in sua vita non pubblicò se non i due primi
poemetti^ Il Mattino in Milano del 1763 nella stamperia di
Antonio Agnelli, U Mezzogiorno in Milano del 1765 ap-
presso Giuseppe Galeazzi; maraviglie in modeste sem-
bianze,- e senza il suo nome. Postumi furono pubblicati
nel 1801 // Vespro e La Notte da Francesco E-eina, ^ sco-
laro e amico, poi editore e biografo del poeta. Ma, oltre
' Bologna, Zanichelli, 1892. (Ne diedi una notizia nella iVfwm Antologia
del 1° luglio di quell'anno, pp. 146-55). Ora si ristampa, e sarà il voi. XIV
delle Opere di G. 6'., che studia II Parini maggiore; gli altri Studi su
G. P. — Il Parini minore — sono il voi. XIII, 1903. — Di altri scritti e
scrittori non credo necessaria qui la lunga e facile enumerazione. Il libro
di Cesare Cautii, L' abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Mi-
lano, Giac. Gnocchi 1851, importante per gli studi e più per il testo, ebbi
innanzi in quella prima edizione; vidi la torinese del '64 (in Storie minori),
non la milanese del '92. Tra i commenti al Giorno (de' quali certo avrei
potuto giovarmi di più, ed è tra le cose che mi propongo fare, se circo-
stanze propizie e il benemerito editore vorranno ch'io torni su questo la-
voro) consultai molto spesso quello di Guido Mazzoni {Le Odi, il Giorno
e altre, poesie minori di G. P. annotate da G. M., col dialogo « della no-
biltà» in appendice, Firenze," Barbèra, 1897), e lo cito per la iniziale M.:
gli altri citai di volta in volta.
2 Della stampa dell'Agnelli non m'è riuscito vedere se non quella che
porta in fine Edizione seconda: è seconda veramente? Certo è del 1763
anch' essa, e in tutto conforme verisimilmente alla prima.
3 Nel 1° de' sei volumi delle Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed
illustrate da Francesco Eeina, Milano, presso la Stamperia e Fonderia
del Genio Tipografico, 1801-1804.
PREFAZIONE
all'aver composti in maggiore o minor parte, senza darli
fuori, i due poemetti ultimi, il Parini aveva assiduamente
rilavorati i due primi ; e senza dubbio, non meno che quella
composizione, questa elaborazione dovea figurare in istampa,
se egli si fosse indotto mai a jìoneì' fine al Giorno e pub-
blicarlo finito. Tra gli studiosi pertanto e i critici furono
già e più sono oggi i quali pensano e professano doversi
il poema ristampare tuttavia, per le parti edite dall' autore,
quale egli lo stampò, soggiungendo l'inedito. Ciò in appli-
cazione di un principio generale a un caso singolarissimo.
Il principio è, che ha sempre da prevalere e andare in-
nanzi a tutto come sola legittima e sicura norma la vo-
lontà dell' autore, la quale non apparisce mai cosi netta e
precisa come da un' edizione curata da esso. E il caso è
quel di un poeta che, avendo pubblicato parti dell'opera
sua circa il mezzo del cammin di nostra vita, voglio dire
della sua vita che fu a punto settant'anni, visse l'altra
metà correggendo sempre, e quasi sempre migliorando,
senza più nulla pubblicare. Altri, non pochi e di grande
autorità, vogliono che il testo si ricavi e dalla stampa e
da queir ampio apparato inedito di revisione.
Ora, io penso, un' edizione che voglia esser compiuta,
sia poi stréttamente critica, o pure sia preparata non senza
critica per le scuole, deve mettere innanzi e^ quello che
l'opera era nelle stampe originali e quello che secondo la
maggior probabilità sarebbe, venuta a essere dopo i ri-
tocchi e gli ampliamenti. E, dove all'edizione critica con-
verrebbe, salvo che uno studiati gli autografi si persua-
desse altrimenti, riprodurre il testo delle stampe, a cui
le emendazioni e aggiunzioni inedite fossero complemento,
neir edizione scolastica meglio è che prevalga il testo
lungamente rilavorato, quando esso è, come è nel Giorno^
migliore d' assai. Quod qui non sentiunt, quas aures ha-
heant nescio, se fosse lecito dire (al Parini, credo, sem-
brerebbe lecito) come quel grande antico. Che se a ciò
non fossi stato disposto per convincimento mio, l'avrei
fatto per conformarmi agl'intendimenti del Carducci. Del
VI 4^^^P PKEFAZIONE
quale mi giova qui riferire una pagina (op. cit. , 247).
« Tra le carte del Parini furono trovati sette esemplari a
« stampa del Mattino e tre del Mezzogiorno, tutti e varia-
« mente di sua mano corretti; del Vespro, un manoscritto,
« con due foglietti di varianti e note ; sette manoscritti
« della Notte, con più foglietti staccati (Cantù, 266). Il
« Reina credè non dovere scegliere tra le molte correzioni
« mutazioni e giunte de' primi due poemetti e tra le va-
« rianti degli ultimi: de' primi due ristampò il testo come
« era nelle edizioni del 1763 e 65 fatte dall' autore, am-
« mucchiando a pie di pagina le copiose e diffuse emen-
« dazioni e aggiunte autografe; die il Vespro dall'unico
« manoscritto, die dai diversi quaderni la Notte. Ma le
« correzioni e segnatamente le giunte il Parini le aveva
« fatte con la intenzione certo di metterle a' lor luoghi,
« quando, finito il lavoro di prosecuzione e rimaneggia-
« mento a cui s'era messo per compiacere a Maria Bea-
« trice, pubblicasse intiero il poema. Tant'è vero ciò, che
« il Vespro rimane per gran parte composto di pezzi stac-
« cati dal Mezzogiorno. Primo Luigi Bramieri in una edi-
« zione del Giorno data in Parma del 1805 intese a ricom-
« porre di tra la moltitudine de' concieri accumulati dal
« Reina il testo de' poemetti come gli parve dovesse resul-
« tare dalla mente ultima dell' autore : riprodusse la recen-
« sione del Bramieri con qualche novità l'ab. Mauro Co-
« lonnetti, traduttore non indegno d'Orazio, in una stampa
« milanese del 1841 : meglio di tutti fece, del 54, il Cantù ^
« nel suo libro su '1 Parini ; e alla lezione fermata da giu-
« dice si autorevole io mi sono tenuto sempre in questa
« storia. Il Borgognoni questi ultimi giorui ha oppugnato
« vigorosamente le nuove recensioni, sostenendo doversi
1 L' importauza di queste tre edizioni, onde piti stampe belle e diffuse
derivarono, m'indusse a raccogliere le lor varianti aggiungendole^allo spo-
glio delle pariniane sotto al testo ; fatica non necessaria certo, ma che non
parrà superflua a cui giovi essere informato dell'origine di talune varietà
0 singolarità di lezione.
PREFAZIONE VII
« stare a' vecchi testi, a quelli dati alla stampa dall'autore
« [Borgognoni, La vita £ l'arte nel G. , pp. 15 e segg.].
« Ma allora perdio non rese al Mezzogiorno le spoglie
« onde usci poi adornato il Vespro, certamente per man
« del poeta? ».
Si potrebbe aggiungere: e percbé ne' luoghi che dal
Mezzogiorno passarono al Vespro non tenne, egli e ogni
altro che pensa con lui, la lezione della stampa ma si quella
del manoscritto? Se si risponda: perché sono entrati per
man dell' autore a far parte di un tutto organico ; non è
men vero che ne resta infirmato il cànone dell' ossequio
assoluto alla stampa originale. E il passo mirabile che
venne a essere l'inizio del Vespro può anche dare buon
saggio di quel che sono e che valgono le emendazioni
pariniane.
Già de le fere e degli augelli il giorno
E de' pesci notanti e de' fior varj,
Degli alberi, e del vulgo al suo fin corre.
Di sotto al guardo dell' immenso Febo
Sfugge l'un mondo. . . .
Cosi nel Mezzogiorno a stampa. E il Vespro manoscritto :
Ma degli augelli e de le fere il giorno
E de' pesci squanimosi e de le piante
E dell' umana plebe al suo fin corre.
Già sotto al guardo de la immensa luce
Sfugge l'un moudo :
ove tutte e singole le mutazioni sono in meglio', stupenda
è l'ultima. L'immenso Febo qui non dicea bene: a propo-
sito di un grande cappello del Giovin signore (è un par-
ticolare aggiunto, un particolare che compie una carica-
tura, il Matt. 1093-95), il disco... Del gran lume febèo era
citato in paragone argutamente ; ma qui eh' era da espri-
mere il sole davvero in tutta la sua smagliante magnifi-
cenza, oh quanto più proprio e più efficace quell' astratto
de la immensa lucei Intorno al quale io ho anche per
fermo, giacché in una lenta e lunga elaborazione gli emen-
damenti non considerano solo i luoghi particolarmente
vili PREFAZIONE
presi ma in rapporto altresì gli uni con gli altri, clie il
Parini nella originale comparazione che fa nel Mezzogiorno
dello scudo d'Atlante mutasse poi Vimmensa luce in ba-
gliore immenso (v. 867), non tanto perché in somma fosse
più conveniente, quanto per serbare più nuovo a questo
luogo quel largo, significantissimo emisticliio finale.
Le descrizioni del tramonto e del corso, anticipate già
nel Mezzogiorno, trasferite poi per mano del poeta nel
Vespro, ci fanno per analogia argomentare ch'egli non
avrebbe lasciate, sussistere in fine del Mattino quelle pic-
cole anticipazioni che già ci avea poste (v. i versi recati,
in nota dopo il 1142), ammonimenti al suo alunno di ciò
che avesse a fare alla mensa,
E poiché il discorso è a questo, vien qui opportuno
esemplificare le ineleganze di prima rijjarate poi, per usar
parole del Cantù il quale di simili riparazioni {pentimettti li
diceva il Eeina) die già un saggio buono e copioso (pp. 285-
'95): ora i più degli esempi saranno in aggiunta a quelli
del Cantù e scelti da luoghi a cui io non abbia apposta
particolare osservazione nel commento.
Diceva nel Mattino, v. 66 :
.... Tu col cadente
Sol non sedesti a parca mensa, e al lume
Dell' incerto crepuscolo non gisti
Ieri a corcarti in male agiate piume,
Come dannato è a far l'umile vulgo.
E mutò
Ieri a posar, qual ne' tuguri suoi
Tra le rigide coltri il mortai vulgo:
utilmente e sottilmente, si perché male agiate e piume
discordavano e si perché a quella maniera il confronto
parca cadere su l'agiatezza del letto, eh' è solo una circo-
stanza di più, e non su l'ora del coricarsi. Poco appresso,
dov' era stampato, v. 81 :
.... Alfine il Sonno
Ti sprimacciò le morbide coltrici
Di propria mano,
PREFAZIONE IX
emendò
Di propria man ti sprimacciò le coltrici
Molle cecleuti, '
non che utilmente, direi necessariamente, non potendosi
accogliere la difesa che il Borgognoni fece di quella prima
lezione con quel ^^iaiio coltrici^ che la licenza di spostare
l'accento non va al di là d'un certo numero di casi e di
parole : non mancherebbe altro. Tre varianti in fatti il
Parini segnò, e l'ultima probabilmente con più soddisfa-
zione, nelle quali tutte coltrici torna a essere sdrucciolo
come deve. Né qui è luogo a opporre, a chi scelga una
variante, il « criterio subbiettivo, superbo, ingannevole »,
di cui parlava quel valentuomo : poiché si potrà ammettere
che il Parini fosse per accogliere un' altra lezione (quelle
eh' egli scrisse, noi rechiamo tutte), ma non già eh' ei fosse
per conservare la lezione della stampa con quell' erronea
licenza che appunto, mi par certo, l'avea mosso a variare.
Giustificabile in vece era, al v. 224,
Con piacevoli detti il vano occupi,
ma la variazione
Con piacevol motteggio il vano adempia
risparmia, oltre a quel detti un po' generico, (\vìq\V occilpi
a ogni modo né bello né utile (a cui basta di trovar luogo
altrove, la Notte 337;.
E sùbito innanzi al passo penultimo citato, dove noi
leggiamo, v, 81 :
.... l'ungaresc
Bottiglia a cui di verdi ellcre Bromio
Concedette corona,
' Il Cautù, per manifesto errore, ripetuto anche nelle ristampe (almeno
in quella ch'io vidi del 1864) e nella piccola edizione Barbèra del '58 che
segue il testo del Cantù, legge « coltrici Molle cadenti » : solo se si trat-
tasse di coltri potrebbe andare.
X PREFAZIONE
la stampa diceva :
.... a cui di verde edera Bacco
Concedette corona;
ma dava noia al poeta il succedersi di tre dentali in di
verde edera e più il cococo in Bacco concedette corona (più
lieve altrove, e inevitabile, la gotica caligine e con la clas-
sica ascendenza del caeca caligine virgiliano). Allo stesso
modo, là dov' era scritto, v. Ili :
.... coir indice destro lieve lieve
Sopra gli occhi scorrendo indi dilegua
Quel che riman de la cimmeria nebbia,
vano :
Sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua.
Piccolezze che un gran poeta non teme se inevitabili ma
che un buon artista leva via volentieri.
Diceva il v. 101 :
Già i valetti gentili udir lo squillo
Del vicino metal cui da lontano
Scosse tua man col propagato moto;
e dice
De' penduli metalli a cui da lunge
Moto improvviso la tua mano impresse,
con finitezza e vivezza nuova, dove prima la perifrasi del
campanello era si e no propria e giusta, e quell' antitesi
tra vicino e da lontano sapeva di pedantesco. Appresso,
V. 108,
.... ti appoggia
AUi origlieri i quai lenti gradando...,
diviene
AHI origlier che lenti degradando,
tolto via quel gradando più insolito e forse inesatto ; e,
V. 125,
.... il ben pettinato entrar di novo
Tuo damigello i' veggo,
PREFAZIONE
vien più naturale
Tuo damigel vegg'io.
Al V. 130
Scegli qual più desìi,
si muta in
Libra i consigli tuoi ;
e, poiché la scelta è tra la cioccolata e il caffè, ognun
sente quanto aggiunga l'espressione solenne, e viepiù op-
portuna per seguire dopo tre versi un altro Scegli. Il v. 233
De' palpitanti Italici mariti
perde un cattivo suono e acquista un pensiero mutan-
dosi in
De' vaghi palpitanti e de' mariti :
e cosi al v. 247
.... basta a stamparvi
Novelle idee
dice più e suona meglio cangiato in
.... nove scienze
Vale a stamparvi.
E dove in una comparazione son menzionate le donzelle
della corte di Artù, v. 1165,
Ornar di piume e di purpuree fasce
I fatati guerrieri, onde più ardenti
Gisser poi questi ad incontrar periglio,
l'espressione guadagna correttezza e franchezza modifican-
dosi in
.... si che poi lieti
Correan mortale ad incontrar periglio....
Né sempre le modificazioni spettano alle parole soltanto.
Diceva, v. 295 :
.... Sai che compagna
Con cui divider possa il lungo peso
Di qnest' inerte vita il ciel destina
Al giovane Signore:
PREFAZIONE
ma Vinerte, poiclié ùierzia non ha come, ozio due suoni né
può come noia o tedio ammettere scusa, usciva fuori di
ciiiave, e ottima è la correzione :
Con cui partir de la giornata illustre
I travagli e le glorie.
(Cf. anche le varianti e le note ai vv. 669 e 681). E un
esempio che spetti alla competizione offrono i versi che
sono per noi 164-'81 : dopo il villano sartor nessun' altra
visita importuna il poeta aveva da prima pensata, poi ag-
giunse quel tratto. Ora i versi sono bellissimi, e l'econo-
mia dell'insieme se ne vantaggia d'assai perché, come sono
parecchi in appresso i visitatori graditi e bene accolti,
giovava che fosser parecchi gli uggiosi ed esclusi, e quel
sartor unico e solo faceva in verità una figura un po' magra.
Di tali aggiunzioni utili e convenienti sono altre di-
verse. Nel Mattino stesso vedi il tratto su gli apparecchi
della toilette (490-536), pieno di bellezze finissime e che
variano da graziosita di settecento a motivi eroici : e vedi
il Giovin signore che considera ogni parte dell'abbiglia-
mento tra un cerchio di specchi, come un gran re d'oriente
a consulta su un grave caso tra i suoi satrapi dalle fronti
lucide e calve (878-'94) : e vedi, nell'enumerazione degli
oggetti che il cavaliere ha da prender con sé, aggiunto il
cammeo che passa per greco e i due orologi (1014 sgg.,
1030 sgg.). Vedi nel Mezzogiorno i versi (1098-1106) che
precedono l'appartarsi della coppia felice al tavoliere del
trictrac.
E, per iscegliere anche dal Mezzogiorno alcuni esempi
minuti, al v. 148 è tolto via un sovvenir faratti non bello
di certo, e al v. 229
.... Il tuo Signor farasji
Campion de le tue glorie
si muta in
. . . . fìa tosto
Campion :
PREFAZIONE XIII
che quelle forme, venute a esser grevi, il Parini fuor di
rima tende a eliminarle. E nel verso sùbito innanzi al
citato.
Chi fia che ardisca di trovar pur macchia
Nel tuo lavoro?,
dato il genere del lavoro, ciò è quello del cuoco, macchia^
direi quasi, faceva ridere, e non sottilmente come al so-
lito ; menda né pure soddisfaceva ; meglio, di trovar mai
fallo. Al V. 503
.... [l'cihna Natura] all'Arte disse:
Compisci '1 mio lavoro,
la emendazione
Tu compi il mio lavoro,
non tanto rende miglior suono, quanto aggiunge efficacia,
con quel tu innanzi all'imperativo, di si schietto e largo
uso classico, nel caso di azione contrapposta all' altrui. E,
V. 540:
.... luvaa s' adopra e suda
Chi 'i genio lor bituiniuoso e crasso
Osa destar,
bituminoso era strano e sforzato ; invece l'espressione è cor-
rettissima, senza per nulla riuscir meno efficace, cosi :
Chi la lor mente sonaoleata e crassa
Cerca destar.
(E vedi le note ai versi 11, 19, 32-34, 54, 59 sg., 98 sgg.,
154, 386 sgg., 391, 395).
Non sempre le varianti sono cosi manifestamente mi-
gliori del testo edito, né tutte rappresentano forme in cui
il poeta si sia verisimilmente acquietato. Ve n'ha che sono
ricerche, tentativi, ondeggiamenti ; ve n'ha ancora che sono
scrupoli, e quasi vestigi dell'effetto che si produce dal guar-
dar troppo fìtto e intento, che quel oh' è diritto e fermo
sembra pendere e balenare. Sembra che parta il lido, E
XIV PREFAZIONE
pur cosi non è, dicea il Metastasio. Nel passo più celebre
del poema {Il Mezzog. 644-703), maraviglia d'ispirazione
e di fattura, le varianti segnate poi son poclie e tenui, e
anch' esse, direi, nate piuttosto da incontentabilità che pur
vuole trovar sempre il meglio che non da convinzione di
alcun difetto. Vedi p. es. All'uom riserbi: forse perché se-
gue ribrezzo, il poeta notò Serbi per l'uomo ; ma a toglier
quel minimo e nient' affatto molesto ripetersi di sillaba
(quanti sono nel poema i ritocchi per simili cause!, e i più,
del resto, felicissimi), mette conto di sostituire a quel primo
un modo men vibrato e di giacitura più prosaica?
In tali casi ho lasciato il testo qual era nella stampa ; ^
e allo stesso modo che accettando la variante annoto
con esattezza la lezione originale, tenendo questa registro
quella. Una cosa non ho voluto far mai, che il Bramieri
e più il Cantù venner facendo, cioè accogliere una variante
solo in parte ;^ la lezione seguita, fosse di prima o di poi.
' Vedi p. 63. il Matt. 118 sg. e la variante: questa fu zelo di maggior
proprietà ma a scàpito di franchezza e d' efficacia di suoni. E cosi, al v. 134,
perché avrà scritto Tu il cioccoìatte o II cioccolatte eZe^f^i dov' era stam-
pato, assai meglio, Scegli 'l brun cioccolatte? Il verso innanzi finiva con
un ti vaglia: e vaglia - Scegli non danno bel suono. (Potrebbe credersi
altresì che questa variazione fosse pensata quando non avea ancor mutato
in Libra lo Scegli di quattro versi innanzi). Il v. 951 Lette serpendo per
le membra acqueti non fini di piacergli per l'incontro degli a; ma gli sa-
rebbe seguitato a piacere per li membri acquete A te gli spirti e ne la
mente induca. . . ? Nel Mezzog. 274 ... a variar la terra perché il variar
cosi classico, cosi bello, che vuol dire screziare, spargere di colori diversi
(gr. jTOiKÌXÀetv), viene a perdere tal senso correggendo a variar lor sorte F
Per uno scrupolo : si trattava di modificare Lhiniforme degli uomini sem-
bianza, e però non la terra ma più determinatamente lor sorte era da va-
riare. E cosi al V. 373 annotò un 3Ializioso dove avea stampato quel vi-
vace Maliziosetto, in un momento di pili afifetto alla dieresi che alla sine-
resi, egli anche in questi usi correttissimo e sapiente ma libero e franco.
Il Bramieri, al v. 465 Che le alleviaro il delicato fianco, leggendo Glie
alleviaro mostra V esigenza della dieresi.
2 Un esempio, che non voglio ripeter qui l' apparato che va col testo.
Nel Matt. v. 130 il Cantù legge Libra i consigli tuoi. Ami tu forse ... :
e i due emistichi son pariniani, ma non appariscono composti dall'autore
in una stessa lezione. Cosi ne la Notte (non rileva se ivi le variazioni bono
tra rannoscritto e mauoscritto, non tra le stampe e V inc(«ito come sono le
PREFAZIONE sv
volli elle sempre rappresentasse, tutta insieme e non solo
negli elementi, nn' integra lezione del poeta, per quanto se
ne può indurre dagli spogli clie ne abbiam sotto mano e
die, i più, provengo!! dal Reina. E dove la lezione stam-
pata recava il segno dell'animo clie dettò prima il poema,
né l' espressione scadeva j^er nulla, l'ho lasciata stare nel
testo (cf. Il Matt. 355 e 629, Il Mezzog. 1054). Qualche
cosa d'incerto v'è, non nego, anche in questa maniera,
come nelle altre; e, se diletta e giova il raffronto qua e
là di singoli emendamenti, non sempre è agevole né quasi
mai piacevole (non necessario, del resto, se non a studi
affatto speciali) il raffrontare e ricomporre di su gli spogli
le varie redazioni. Ma di ciò qualche colpa è giusto che
risalga all' autore che ci lasciò un po' in disordine la sua
eredità stupenda. E pur ci conforta che, dopo nuovi studi,
con qualche varietà di criteri, il testo ci risulta pochis-
simo dissimile da quello che usci dalle cure di precedenti
editori, del Bramieri del Colonnetti del Cantù, e che al
Carducci parve buono a seguire. ^ Sarà molto dissimile da
quello che si tragga dagli autografi compiutamente e cri-
ticamente esaminati? Non credo.
emendazioni dei due primi poemetti) il v. 472 ha, secondo gli spogli noti,
tre lezioni di mano del P. mira ed apprendi — mira e conosci — vedi ed
apprendi; e il Bramieri ne compone una quarta vedi e conosci: cfr. per
un altro es. ivi 68. Del resto, son pochissimi gli arbitri, e taluno può an-
ch' essere svista (airaé, umana cosa) : p. es. nel Cantiì il Meszog. 641 scarse,
la N. 64 degni. Forse il solo e minuscolo arbitrio del B., e da lui passato
al C, è ne la Notte 114 e sg. ; il motivo n' è dichiarato nella mia liota.
' Né a ogni modo è lecito imputare sul serio a tali studiosi e rive-
renti e intelligenti editori qualcosa di simile a ciò che il Parini a gran
ragione riprese'uel p. Bandiera (ma che! né pure, e né pur lontanamente,
a ciò che 1' Orlandini praticò per le Grazie del Foscolo) : il Bandiera ri-
faceva di suo il Segneri e, credendosi innestargli il Boccaccio, lo imban-
dierava-, questi hanno atteso a dare il Parini più che mai pariniano. Che
se esso il poeta avesse pubblicato co' due nuovi i due poemetti primi cor-
retti, variati i}i qualche parte, ed accresciuti, quali profferiva al Bodoni
con la lettera de' 18 nov. 1791, o vogliam creder davvero che le correzioni
le variazioni e gli accrescimenti sarebbero stati altra cosa da quelli che i
benemeriti editori hanno poi raccolti dalle carte di lui? Di quella lettera
appunto osservava giustamente il Bertaiia che la pubblicò (.Set lettere ine-
XVI PREFAZIONE
*
* *
Nel commento, oltre a quello che è esposizione scola-
stica di sensi e di erudizioni (nella quale studiandomi a
esser sobrio e sufficiente, non avrò certo evitato disegua-
glianze e difetti, quasi fatali in simili lavori), attesi con-
tinuamente a porre in rilievo il pensiero del poeta, a farne
considerare l'arte e l'eloquio.
Innanzi tutto mi giova dichiarare che io non dubito
affatto del motivo sociale nella ispirazione del Giorno,
quale tennero ed esposero lo Gnoli il Guerzoni il Borgo-
gnoni il Carducci. Mi pare che sia fermarsi alla buccia e
non penetrare all'intima vita e potenza dell'opera il guar-
darla solo come una satira, per quanto superiormente fatta,
dello scadimento della nobiltà la quale il Parini amico
ad essa non già assalisse per vincerla ma riprendesse per
emendarla. Oh, davvero è questo Vunico scopo di si helV ire ?
è tutto qui il significato del Giorno?... Veda, chi crede
di potersi acconciare in questa opinione; ma non vi si
adagi senza prima avere ascoltato, con purgato orecchio e
libera coscienza, il poeta. Qui riaffermiamo intanto che il
Giorno è contro quella irragionevolezza e ingiustizia so-
ciale da cui scendevano per li rami il privilegio e la pre-
potenza. Grande visione del secolo decimottavo si riconosce
essere stata questa : 1' uomo, e la digni tà umana in ogni
uomo; onde poi, per diritto, la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini. A vendicare e attuare ciò altri altro diede; la
dite del P., in Rass. crit. della Lett. it. VI 81-1898-): «secondo me, ne
risulta anche la certezza, o quasi certezza, che delle aggiunte preparate il
P. faceva gran conto e intendeva innestarle nel vecchio testo del Mattino
e del Mezzogiorno ». E già venticinque anni prima, nella lettera de' IO
sett. 1766 al Colorabani tipografo, mentre si esibiva di dargli con la Sera
nuova gli alti-i due poemetti corretti in violti luoghi e migliorati, si do-
leva che glie li avessero qua e là ristampati, senza lasciarmi luogo a cor-
reggervi pur un errore. E cosi li avremmo da ristampar noi ? Ben è vero
che il Borgognoni faceva eccezione per quelle che fossero emendazioni di
errore manifeste, ma in verità è troppo poco.
PltEFAZIONE XVII
Francia, teoriche e libri a cui seguiron gran fatti; l'Italia,
tra le prime e più alte cose, questo poema.
Al quale l'oziosa dappocaggine de' Giovini signori (non
tanta poi né cosi universale come si potrebbe supporre),'
prestò non già la ragione e la sostanza ma si l'occasione
e i modi, e fece esser satira, satira singolarissima di am-
piezza e di atteggiamento, ciò che altrimenti poteva essere
nuda invettiva: il ridicolo esteriore si ritorse come arma
contro la intrinseca falsità. Che sia cosi veramente, n' è
conferma autentica il dialogo pariniano della nobiltà] esso
ben dice qual fosse il pensiero dell'autore del Giorno. Se
non che il dialogo, pur con la forza e le verità di che è
pieno, e con le eleganze della prosa talvolta alla cinque-
cento (quale il Parini abbandonò poi, lasciandosi piuttosto
andare a quella scolorita e sciatta del suo secolo), ha troppo
di astioso. Per solito, chi ha ragione non ringhia, fors' an-
che per non somigliare a chi ha torto. Né, del resto, a
dir meglio, ringhia il bel dialogo, anzi ragiona, e con la
ragione finisce a soggiogare le riluttanti utopie. Ma, se
abbonda facondia e acutezza, ancor manca una tale in-
venzione che alzi la materia, bisogna la poesia che la pu-
rifichi , ci vogliono
Versi che all' acre foco
Dell'arte imponga la sottil Camena;
1 Non mi indugio a raccontare la storia o storiella di particolari per-
sone che si supposero ritratte dal P. nel Giovin signore; che non fu nò
potè essere il princ. Alberico di Belgioioso, né altri nessuno, vedi in Car-
ducci p. 208-'18. Dove invece si tratta non di costumi ma di opinioni, non
di personalità ma di teoriche, gli accenni determinati sono ben altrimenti
probabili o certi. L' economista colbertiano che alle mense alto grida Com-
mercio ! commercio! (Il Mezsog. 558) — e a cui par consuonare l'altro grido
(li Matt. 737) Il lusso, il lusso... in quanto sia fautore di socievolezza
e coltura, diffonditore di ricchezza, stimolo di operosità — si raffigura nel
conte Pietro Verri: il quale si adontò allora e mostrò spregiare il Parini,
e treut'anni di poi, avutolo collega nella municipalità di Milano, ne disse
cosi alte parole. Ed è assai verisimile ipotesi (cfr. Scherillo, Poesie di G. P.,
Milano 1900, a p. 201 sg.) che il P. conoscesse il libro del Galiani Della mo-
nda, stampato nel 1750, ove del commercio sono idee contrarie a quelle
del Verri, e un passo simile al pariniano: «L'agricoltura è la madre di
XVIII PREFAZIONE
occorre in somma che quel dialogo diventi questo poema.
Ed ecco il Parini precetto)' di amahil rito, a quel modo
ch.e neir arguta pagina oraziana il savio Tiresia è maestro
all'errabondo Ulisse di mettersi, tornato in patria, a cac-
cia di testamenti per rifare la roba disfatta a la facil
mensa de' proci] ed ecco il poema apparentemeìite didat-
tico, come disse il Eeina, cioè satiricamente didattico, epi-
camente satirico.
Ma questo vero, per esser tale, va inteso con giusta
determinazione. Oggetto della satira è la casta, mezzo il
costume ; ma di tale efficacia è il mezzo e di tanto rilievo
che apparisce e riesce quasi un fine subordinato. Il Parini,
eh' è insigne per la discrezione sensata pur tra gl'ingegni
lombardi de' quali suol essere abito, ammetteva, se non
una giustificazione, una scusa alla classe soverchiatrice,
finché ella si accampasse operosa e fiera, magari brutale ;
fatta oziosa e frolla, non più. E per questa via venne an-
che a riconoscere, non che le ragioni storiche, i meriti e
le virtù della nobiltà guerriera cittadina e togata, rinfac-
ciandoli ai nipoti incuriosi e inetti dai quadri o ritratti de-
gli antenati; celebre passo ^ aggiunto al Mattino (vv. 1175-
1212), mirabile di fattura e di equità, il quale è naturale
che nel concepimento primo, nel primo fervido sentimento
non si affacciasse al pensiero del poeta, o non vi si fermasse
almeno, ma non è per altro tanto mal conciliabile con gì' in-
timi spiriti del poema quanto al Borgognoni ne parve.
Caldi spiriti ma senza nulla mai di faziosa o incom-
posta demagogia. Del fatto quasi inesplicabile che il Pa-
esso ... tauti e tanti questa voce coìiimcrcio commercio replicano mecca-
nicamente» ecc. (I, p. 185 dell'ediz. Silvestri 1831).
* Di esso è ben naturale che si ricordasse il Manzoni, I protri. Sp.
e. VII, ove tratteggia alcuni de' ritratti di famiglia di Don Rodrigo : e' è
V antenato guerriero, e' è il magistrato; poi \2i' matrona, V abate \ ma « tutta
gente... che aveva fatto terrore e lo spirava ancora dalle tele », e li serve
a punto per incitare viepiù il nipote a vendicarsi del frate. A noi torna
anche a mente qual parte abbia Za galerie des portraits de la famille de.
Stiva nel 3" atto di Hernani,
TREFAZIONE
ri ni in tanti anni non compiesse e pubblicasse compiuto
il poema — inesplicabile veramente, si cbe alcuna volta
ci porterebbe a pensare cbe l'autore, pur tra la fama e
l'ammirazione, e con la grande coscienza sua d'uomo e di
artista, non vedesse la sua opera cosi luminosa e alta come
la vediam noi dopo oltre a un secolo di storia e di con-
quista — , di quel fatto la ragione ultima viene a essere
ch'ei non voleva stravincere e che forse teme non si an-
dasse da vero più in là del pensiero suo. Da principio si
diceva svogliato da continuare per le sopercliierie de' li-
brai, e s'intende bene, specialmente ch'ei lo diceva scri-
vendo a un libraio: che se il Oolombani avesse accettato
i patti dal poeta propostigli in quella stessa lettera de' 10
settembre 1766, ei gii dava a primavera la Sera compiuta,
la quale cosi sarebbe seguita serbando l'intervallo di un
biennio ai due primi poemetti. Mancata quell' opportunità
che tutti i frutti avrebbe maturati alla loro stagione, l'arti-
sta interruppe e s' impelagò nel lavoro : modificato il primo
disegno dell' opera qual era proposto nel Mattino, suddi-
videndo la Sera in Vespro e Notte ; ritoccati più e più volte
i due primi poemetti, scritti in parte gii altri due e per il
resto pensati ; non pubblicò altro. Oh si fosse attuato il
pensiero che il Parini con garbata discrezione significava al
Bodoni nella lettera de' 18 novembre 1791 ! Ben sarebbe
stata compensata la iattura di tanti anni prima, e avremmo
in edizione bodoniana il Giorno compiuto. Ohe l' ispira-
zione non languiva, dicono le due parti uscite postume ; che
la materia abbondava, e bella e idonea, mostrano le carte
autografe pariniane. Dalle quali per altro è ben vero che
si possono anche argomentare incertezze grandi che tardas-
sero il poeta, allargamenti ed episodi nuovi, né sempre
felici, che lo tentassero. * Né si può ricusare a testimonio
il Reina, affermante che del Vespro e della Notte sospese
pili volte il lavoro; tanto lo rendette difficile la tema di
1 V. a pag. 190 in nota il frammento su la discesa all'Averno,
XX PREFAZIONE
non parer minore di sé nella pubblica opinione. Cosi inter-
corsero gli anni fino alla rivoluzione: presso la quale il
Parini sdegnò infierire contro il nemico vinto. E poi di-
chiarò aperto « sé aver cominciato fin dal decimoquarto
giorno di maggio dell' anno millesettecentonovantasei a
riguardare qual pretta viltà, niente men tui'pe che V in-
saevire in mortuum, l'acconsentir, dopo tanto procrastinare,
all' edizion d' un scritto ove si pungono di sarcasmo quelli
singolarmente che nel gran corpo sociale formavano una
classe distinta, di cui i politici cangiamenti sopraggiunti
allora nel proprio paese facean veder manifesta la total
decadenza » (Lettere dì due amici, 37).
L'aver fieramente investito l'ingiustizia e l'ignavia non
portò mai l'alto poeta a farsi lusingatore di quelli eh' ei
vendicava dall' umiliazione e dal sopruso. L'eguaglianza
degli uomini è da natura, né può la società disconoscerla '.
l'uomo senta l'uomo e lo rispetti in sé e, negli altri. Ma
ciò importa che alle condizioni esterne si accompagni
l'opera della coscienza ; che l'uomo, in qualsiasi parte col-
locato dell'umana famiglia, abbia sua dignità virtuosa, né
altri demeriti l'eguaglianza rendendosi per propria colpa
inferiore, come il Giovin signore l'offendeva volendo pas-
sarle di sopra. E il poema cinge di benevolenza il buon
vilian con la fedel moglie, il buon cultore, V industre artiere;
compatisce il calzolar diserto e il drappiere, pagati della
stessa moneta che usa spendere un gabbamondo goldoniano
ove dice « L'onore della mia protezione paga bastantemente
una partita di un bottegaio », e con ossi il cocchiere fatto
aspettar lungamente al sole e alia pioggia. Sorride innanzi
all'insegna àeW opulento sartor, su la quale il titol di Mon-
sieur s'intreccia a un bel paio di forbici; e sorride del
servo che s'accosta alla dama per dirle i gelati diversi
mozzicando le parole per somigliare al padrone. Non ride
più, o in tutt' altro modo, quando accenna al troppo com-
piacente minia tor di belle, o al libraio arricchito per libelli
osceni o famosi, o all' impresario di teatri stranieri al quale
certi mecenati raccomandano la fortuna delle giovani vir-
PREFAZIONE XXI
ttcose. Par che si compiaccia del giudeo che vende per greci
i suoi cammèi, del merciaiuolo che dà per inglese il suo
panno paesano, solo per ciò che la frode va a colpir chi
la merita. Anzi, l'ultimo passo ricordato {Il Matt. 731-'40)
è pieno di significato morale: l'unico uomo al quale il semi-
dio è cortese e liberale, l'unico che si parte da lui trion-
fante e dicendo ingiuria ai laboriosi onesti che son ribut-
tati senza mercede, è l'impostore, l'indegno.
Alla fiera rettitudine son pari la sagacia e la misura,
sicché nessuna esagerazione turba i giudizi, nessun pen-
siero ubbioso opprime la discreta equità. Osservava Giu-
seppe Giusti^ che non era da tutti nel 1763 dire di Vol-
taire scrittoi' troppo, a torto, lodato, né far precedere le altre
parole troppo (s'intende, a torto) biasmato: era di uomo
superiore, sereno e severo, e il Parini che odiavr. sopra
ogni credere le sette letterarie _ì,eina), non ne amava per
verità nessun' altra. Ma, poiché con ciò si tocca a un punto
assai rilevante, è da porre mente alla ben jDrecisa distin-
zione che il Parini volle fare e fece a proposito delle teorie
di quegl' insigni informatori della coscienza delle genera-
zioni susseguenti e precursori di ogni moderna libertà {Il
Mezzog. 934-1010). Tutto ciò che è, o parve essere, irri-
sione di fede e rilassatezza di costume, egli rigetta; ciò
che è affermazione di egualità umana, persuasione di ca-
rità e rispetto scambievole, tutto egli abbraccia. S'intende,
in forma satirica, e cosi ancor più efficace; mostrando cioè
come il Giovin signore abbocchi a quell'amo e da questi
veri rifugga, anzi insegnandogli a imbeversi tutto di quelle
morbide dottrine e ad aborrire da queste sai-te rivendica-
zioni. E, per me, non esito a soggiungere che, cospirando
a fare l'eccellenza di questo poema tuttoquanto l'essere del
poeta, non vi manca né pure, singolare in verità nel Pa-
rini, il cristiano e a qualche momento il sacerdote: ed è
1 Versi e prose di G. P. con un discorso di G. G., Firenze, Le Mou-
nier, 1846; poi 1850.
XXII PREFAZIONE
bene; giacclié egli era (se per vocazione o no, qui non ri-
leva), ciò conferisce a sincerità più intiera.
Or d'avi or di cavalli ora dì Frinì
Instancabile parla, or de' Celesti
Le folgori deride (Il Mezzocj. 720):
cosi dice di quel grande illustre piovuto da oltremare o
da oltremonti, cui già aveva figurato brutto e ripugnante.
E nel passo dianzi citato ove campeggia a tavola la scienza
del Giovin signore non si può non vedere sotto il velo
della satira l'omaggio alla religione, l'ossequio al sovru-
mano e al misterioso, il fastidio delle facili negazioni;
specialmente ai versi (958 sgg.) die mi piace trovar già
avvertiti dal Giusti :
Qui segnalar ti dèi co' novi sofi,
Schernendo il fren che i creduli maggiori
Atto solo stimar l'impeto folle
A vincer de' mortali, a strigner forte
Nodo fra questi e a sollevar lor speme
Con penne oltre natura alto volanti.
Chi por freni oserà d'inclita stirpe
A l'animo, a la mente ? Il vulgo tema
Oltre natura ; e quei cui dona il vulgo
Titol di saggio, mediti romito
Il ver celato, e al fin cada adorando
La sacra nebbia che lo avvolge intorno.
Ma tu, come sublime aquila, vola
Dietro ai sofi novelli.
Qui, dicevo, il Parini è presente con tutta la dignità e
severità sua. E severissimo è nel riguardo de' costumi :
riprensore fiero, rappresentatore vivo, non ammise qui lu-
bricità nessuna. E delle altrui fu giudice in verità poco
amabile, quando trovò a dirittura il fedo loto da imputare
al Boccaccio e all'Ariosto. Se in sue cose minori, o mi-
nute, indulse alcuna volta a moHezze e indecenze, queste
sono cosi lontane dagli spiriti del Giorno, come certe mi-
sere quisquilie eh' ei mettea su' ventagli {poesia da ven-
tarole dicesi ap23unto) sono alle mille miglia da questa su-
perbissima arte. A rendere perfetta la figura del Parini
PREFAZIONE xxill
uomo e scrittore, clie nobilissima è pur sempre, occorie
dimenticare e tergere qualcosa ; idealizzare : alla grandezza
dell'autore del Giorno nulla è da aggiungere perché non
le manca nulla. E il Parini vero, il Parini immortale è
pur questo. Bastava un suo libretto di odi, anzi direi l'in-
dice o i titoli di esse, a mutar l'aria del mondo poetico
italiano; e a inaugurare la poesia nuova d'Italia, a mo-
strar la via a un manipolo di poeti degni degli antichi,
valse su tutto il Giorno^ ove a un'idea saiiita si spende
un' arte stupenda. Oh, il Mattino fu nome in verità di
buono e non fallace augurio.
Non per mettere a nuovo cose vecchie, ma perché la
parola di poeti rari e cari come il Leopardi non invecchia,
mi conviene osar riaffermare che quando egli , scrivendo
nel 1820 la canzone ad Angelo Mai, piena di molte belle
cose tra le quali è anche la bella retorica, diceva rivolto
al Tasso:
• Da te fino a quest' ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari all' italo nome, altro eh' un solo.
Solo di sua codarda etate indegno,
Allobrogo feroce,
il Leopardi aveva torto, ^ e ragione il Griordani e quanti
altri si dolsero di veder dimenticato, non che altri, il Pa-
' Trovo che Alfredo Straccali, nel suo commento ai Canti di Giac.
Leopardi eh' è de' belli di questa Biblioteca, lo scusa osservando che « il
poeta non ha gli uffici e i doveri dello storico » e che il Leopardi con evo-
care, « cosi sola, la maschia figura del suo caro Alfieri che tutta l'opera
volse a uno scopo nazionale, ha giovato al fine suo, e artisticamente e ci-
vilmente, meglio che se ce l' avesse presentata in compagnia di altre ».
Ma per me (e l' amico mi corregga se sbaglio), altro è quando il poeta
imagina e inventa, libero tra la fantasia e l'affetto, e altro è quando giu-
dica e discorre, che allora si può richiedere anche da lui giustezza e ve-
rità intiera. Non però che il Leopardi intendesse imputabile anche il Pa-
rini della colpa ch'ei designa per il brutto silenzio; ma fu peccato che
l'opportunità poetica, dirò cosi', non gliel lasciasse proclamare Pari al-
l'' italo nome. Del resto, ognuno ricorda che il ragionamento leopardiano .
Il Parini ovvero della gloria comincia cosi : « Giuseppe Parini fu alla
nostra memoria uno dei pochissimi Italiani che all' eccellenza nelle lettere
XXIV PREFAZIONE
rini ; curiosa dimenticanza nell' atto di prendere proprio al
Parini quella abbastanza singolare denominazione di Allo-
hrogo feroce. Ben più giusto era stato Francesco Reina,
quando intitolando il volume delle Liriclie pariniane, 2^*
delle opere, a Vittorio Alfieri, gli scriveva: « Tu solo, fra' vi-
venti scrittori, sei reputato pari a lui nella poetica eccel-
congiunsero la profondità dei pensieri...»: bel passo, (vedilo ne Leprose
morali in questa Biblioteca tanto bene commentate da Ildebr. Della Gio-
vanna), ma né in cui pure è tutto il Parini. — E qui in nota mi sia anco
permesso di soggiungere che strano mi è sempre sembrato un passo del
Manzoni su la fine della Storia della colonna infame, ove dice: «Chi non
«conosce il frammento del Parini sulla colonna infame? Ma chi non si
« maraviglierebbe di non vederne fatta menzione in questo luogo ? Ecco
« dunque i pochi versi di quel frammento, ne' quali il celebre poeta fa pur
«troppo eco alla moltitudine e all'iscrizione:
Quando tra vili case [e] ia mezzo a poche
Rovino i' vidi ignobìl piazza aprirsi.
Quivi romrta una colonna sorge
In fra 1' erbe infeconde e i sassi e il lezzo,
,0v' uoin mai non penetra, però eli' iuU
Genio propizio all' insubre cittade
Ognun rimove alto gridando : lungi,
O buoni cittadin, lungi, che il suolo
Miserabile infame non v' infetti.
[PrOCUL . HINC . PROCUL . ERGO . BONI . CIVES . NE . VOS . INFELTX . INFAME .
SOLUM . COMMACULET.].
« Era questa veramente l'opinion del Parini? Non si sa; e l'averla espressa,
« cosi affermativamente bensi ma in versi, non ne sarebbe un argomento ;
« perché allora era massima ricevuta che i poeti avessero il privilegio di
« profittar di tutte le credenze, o vere o false, le quali fosser atte a pro-
« durre un' impressione, o forte o piacevole. Il privilegio ! mantenere e ri-
« scaldar gli uomini nell'errore, nn privilegio! Ma a questo si rispondeva
« che un tal inconveniente non poteva nascere, perché i poeti nessun cre-
« deva che dicessero davvero. Non c'è da replicare: solo può parere strano
«che i poeti fossero contenti del permesso e del motivo». E anche può
parere strano, come a me, francamente ripeto, è sempre parso, che un
Manzoni non s'accorgesse che dire tutte quelle cose meno a proposito non
era possibile. Quanti poeti sdegnarono e impugnarono pili che il Parini
ogni tristo privilegio? quanti amarono più che il Parini e vollero il vero?
E ch'egli non dicesse il vero, nessuno credè mai. Né il Manzoni, che gli
attribui plettro immacolato e lui chiamò Scola e palestra di virili. Quanto
al frammento, che non promette gran cosa (v. opp. I 239 sg.), si può anche
imaginare che il poeta del Giorno, a proposito della colonna infame, fosse
per dichiarare quale era veramente l'infamia di essa, quella rivelata dal
Verri e narrata dal Manzoni.
n
PREFAZIONE xxv
lenza, ne' liberi sensi veracemente Italiani.... Le belle opere
di Voi due grandi, saggi, e liberi cittadini Italiani.... spi-
reranno ognora maschia virtù... ». E già nella Vita li avea
messi insieme, il buon repubblicano, come quelli che « ma-
gnanimi e liberi anche sotto i Re, concepirono un'eleva-
tissima idea di libertà, adeguata ad anime veracemente
Italiane ». Veracemente italiani^ ripetiamolo pure, si il gran
poeta di Saul che l'italianità scosse e , fece risentire e si
quello del Giorno che in servigio della dignità umana in-
novò e ritemperò il verso di Dante. Molti anni passati
dal fervore del Mattino e del Mezzogiorno, sceso già per
l'undecimo lustro, egli si contentava e compiaceva di ri-
cordare la sua maggiore opera cosi (Al consigliere bar. De
Martini) :
Spesso gli uomini scuote un acre riso.
Ed io con ciò tentai frenar gli errori
De' fortunati e de gl'illustri, fonte
Onde nel popol poi discorre il vizio. '
Né paventai seguir con lunga beffa
E la superbia prepotente e il lusso
Stolto ed ingiusto e il mal costume e l'ozio
E la turpe mollezza e la nemica
D' ogni atto egregio vanità del core.
Cosi, già compie il quarto lustro, io volsi
L'Itale Muse a render saggi e buoni
I cittadini miei.
*
* *
Quanto all' arte del Giorno, per cui sono a vedere le
sagaci analisi del Carducci, curai di avvertire, analizzare
non dico, i movimenti continui di varia poesia. Le scene
che il poeta espone son còlte in atto; la vita, anche nel-
l'artifìcio, è vera. Ma egli ha bisogno per il suo intendi-
mento di alzarne il tono, di ornarle magnificamente, di
renderle eroiche. E questa magnificenza e questa altezza,
che sono ne' rispetti della satira quasi apposizioni volute,
per sé stesse riescono quasi un' aureola fantastica intorno
a un volto severo. La maggior fonte di questa poesia è la
fonte maggiore, la natura e il sentimento di essa. S' inco-
mincia dal sorgere del mattino : l'aratore che va al campo
XXVI PREFAZIONE
co' bovi e scote dalle frasche la rugiada brillante, il poeta
lo vedeva scrivendo, e noi lo vediamo, e siamo un mo-
mento tra quella frescura e davanti all'apparizione del
sole. A leggere {Il Mezzog. 939):
erbe odorate
Che l'aprica montagna in tuo favore
Al possente meriggio educa e scalda,
abbiamo innanzi la montagna solatia e intorno la vampa
meridiana. Il tramonto è di una solennità splendida e ma-
linconica, e indi a poco sono per il cielo guizzi di stelle
cadenti e su le paludi .
Fiamma improvvisa che lambisce e vola.
La notte viene e viaggia con un popolo silenzioso di fan-
tasmi, e mentre
alta sen vola
Per l'eterea campagna,
chiama gli occhi de' mortali alle stelle. La bonaccia immo-
bile del mare' in un'afa pesante com'è sentita e fatta sen-
tire! {Il Mezzog. 120-'26): frammento epico che ben vale
il momento lirico di Goethe Meeresstille commentato dalle
poetiche note di Schubert. E il tuono che vien di lontano
(« 0 come il tuono errar di giogo in giogo ... », anche il
divino pastore leopardiano, credo, se ne rammentava), e indi
lo scrosciar della pioggia? (Ivi, 295-302). Maraviglie. E
nel piccolo come nel grande: o non è dal vero e dal vivo
quel
dintorno a selvaggio antico moro
Snll' imbrunir del di garrulo stormo
Di frascheggianti passere novelle {La Notte, 54G)?
« Il Poeta condotto dalla sua immaginazione attribuisce
anche alle cose più insensibili ed irrazionali e mente e
cuore e pensieri ed affetti, ed operazioni a ciò consentanee;
col qual mezzo anima e vivifica piacevolmente tutto l'uni-
verso » : ciò scriveva il Parini in quel suo, a noi per più
PREFAZIONE XXVII
capi osservabile, Parere intorno al poema delVah. Lorenzi
(opp. V 159), nel quale, benché incominci ammettendo che
« sarà d'ora innanzi uno de' più nobili poemi della nostra
lingua », sono poi tanti e tali i Quanto avrei desiderato e
Quanto mi compiacerebbe e Ciò l'avrebbe condotto e Ma ciò
vuol esser fatto ecc., che oggi il lettore non può non pen-
sare che, a esser davvero un de' piti nobili poemi, La colti-
vazione de' monti dell' ab. Lorenzi dovea essere com' è II
Giorno dell' ab. Parini. Di cui registriamo la frase vivificare
V universo, eh' è, innanzi tutto, sentirne la vita.
Molto il poeta derivò dal mondo classico al quale l'opera
sua intende accostarsi per la dignità del tono e il modo
di trattar la materia: dalla fantasia e dalla storia, dal-
l'epopea e dalla scena. Gli esempi sarebber dati da una
serie di mirabili quadri se giovasse staccarli dalle belle
pareti, e di potenti originali comparazioni se fosse lecito
persistere a guastare in povere parole ciò che il poeta ha
cesellato e brunito ; il poeta che, inoltrandosi timil cantore
tra i desinari illustri, si paragonava a Femio ed a lopa.
Subito, ricordando a principio il tornare del signore dalla
soirée o dal teatro, col rumore della carrozza, col bagliore
delle torce innanzi, viene in confronto Plutone emerso col
suo carro in Sicilia a rapire Proserpina. Gli apparecchi
della toilette del Giovin signore son come l'armi di Enea
foggiate da Vulcano. Una pomata, un rossetto, un nèo su le
labbra scabre da un' infreddatura, su le guance un po' pal-
lide o su una pustoletta; è il caso dell'eroe che, bendata la
ferita, rientra in battaglia. Il Giovin signore nel gabinetto
e la Sibilla cumana, tutti e due scarmigliati, tutti e due
a correre innanzi e indietro ; la Sibilla perché il suo petto
è angusto alla divinità che l'invasa, il signore per dar aria
ai capelli intrisi d'essenze. Questi, imbizzito col parruc-
chiere, rovescia a terra ogni cosa; ecco, egli è come il toro
del sacrifizio che spezza i vincoli e mette tutto intorno a
sgomento e a soqquadro. Il qual passo, ispirato da una
breve comparazione virgiliana {Aen. II 2'23 sg.) e dalla
ripresa vivacissima di Dante {Inf. xii 22), è de' j^iu etli-
XXVIII PREFAZIONE
caci a mostrare fino a qual segno avesse il Parini la po-
tenza e il senso del plastico; né si può, al leggere la chiusa
di quella scena stupenda, non vedersi innanzi qualche an-
tica scoltura. Il simile avviene quando, sfoggiando il ca-
valiere non so che misera novità, è chiamato in compa-
razione Bacco inventor della vite,
I giocondi rabini alto levando
Del grappolo primiero.
Al risibile patetico di un dissidio tra il cavaliere e la dama,
narrato dal marito di questa, il poeta evoca d' un tratto
innanzi un altro racconto, uno de' più stupendi e terribili
della tragedia greca.
E da altro mondo che il grecoromano, dalla cavalleria
dal romanzo dalla novella, deriva pure con varietà fresca
e felice. Per il cavaliere cui bisogna terger le membra nel
bagno, son ripensate le Fate che un di della settimana
dovean strisciare come serpi, a rifiorire il di appresso più
belle e prodigiose. Quegli ha un nastro, dono della sua
dama, alla spada ; ed ecco i cavalieri della Tavola rotonda
che, con una fascia o un velo delle donne loro, correvano
baldanzosi tra i giganti e i mostri. Una dama visita l'amica,
e son due guerriere del secol di Tarpino che s'incontrano
alla foresta e si misurano. All' entrare del cavalier servente
dileguano gli altri che facevan cerchio intorno alla dama,
e sono i guardiani del serraglio all'ingresso del sire.
Maggior campo tiene la mitologia; ed è naturale, si in
quanto è formalmente bella e rispondente all' indole clas-
sica del poema, e si in quanto si presta a piccole figura-
zioni e finzioni quali entravano ne' gusti allora del Bel
Mondo. Oltre alla mitologia spicciola, direi, d'imagini e di
frasi, sono alcune maggiori invenzioni, come quella della
cipria a toglier nel regno di Amore diseguaglianze di capi
giovanili e senili, quella^ del trictrac per fare che i due
amanti s'intendano mentre il marito è assordato, o quella
del canapè ov' essi possan sedere appartati e soli. Due miti
poi, due favole maggiori hanno vera importanza nell' eco*
PREFAZIONE ' XXIX
nomia del poema, dal Carducci si bene osservata che non
vo' aggiunger iiulla : la favola di Amore e Imene nel Mat-
tino, cioè come i due fratelli inconciliabilmente discordi
si partissero i regni, di che le conseguenze e le applica-
zioni in quella società son palesi ; e la favola del Piacere
nel Mezzogiorno, come da quello e solo per aver prima
fruito di quello si sia sceverata e distinta dal genere umano
la stirpe de' semidei. E queste artificiose finzioni, che si
presentano quasi giustificazioni illusorie o irrisorie di cose
irragionevoli o inique, servono qui all'epopea che irride,
come altra volta servirono all'argomentazione che illude.
Perché, accostamento di fatti remoti ma che mi par giusto,
delle favole si valsero spesso alle loro appariscenti dimo-
strazioni i sofisti. Esempio insigne abbiamo nel Protagora
di Platone, ove esso Protagora in servigio della sua tesi è
indótto a raccontare il mito de' fratelli Prometeo ed Epi-
meteo, e la distribuzione eh' essi fecero tra gli animali dei
mezzi di vita e difesa, con poi l'intervento di Giove il
quale, pensoso del genere umano, invia Mercurio a por-
tare tra gli uomini verecondia e giustizia, si che si ordi-
naron città e si strinsero amichevoli rapporti. C'è anche,
direi, qualche affinità con le due favole pariniane e col suc-
cedersi di esse ; Amore e Imene da prima, poi il Piacere.
Come fioriture o propaggini mitologiche si possono ri-
guardare quelle personificazioni di astratti, di cui il Giorno
è pieno, risj)ondenti anch' esse si al tono si al tempo. Fa
a proposito dare uno sguardo ai Programmi di belle arti
(Oj^p. V 1-120: nella dedicatoria dei quali a Gius. Fran-
chi scultore il Reina ricorda come il Parini meditava
spesso suir eccellente composizione del Cenacolo di Lionardo
da Vinci): vi son molti tratti in cui, dando il poeta sog-
getti e disegni per le arti figurative, accusa la maniera
sua qual' è nel delineare certe figure e figurare certe astra-
zioni nel Giorno ; naturalmente nel poema son più perfette,
dove, anziché proporle all'arte altrui, le lavorava con la
propria. La Licenza, la Scurrilità, la Gelosia, e altre in
quei programmi, sono del numero; e v'ha talune figure,
PREFAZIONE
come la Sincerità il Pudore la Fermezza la Fecondità {le
quattro doti principali che contribuiscono alla felicità del-
l''Amore) tratteggiate in modo che già tengono .dell'arte
pariniana. •
Perfettamente in armonia col carattere del poema, con
l'ingegno e l'educazione del poeta, con la materia e le
forme, è la elocuzione : tutta piena di elementi e atteg-
giamenti classici, e temperata a quella dignità che questa
satira nuova e singolare voleva. E però l'andamento e i
modi classici, nello stile nei costrutti nelle parole, in uno
scrivere cosi profondamente informato dal latino, son da
osservare di continuo, anche quando non si abbia ragione
a credere che l' autore', il Virgilio della moderna Italia
come disse il Leopardi, a quel dato momento avesse innanzi
un luogo di scrittore antico. L'orecchio educato a quei
suoni di cui sempre gli giunge un' eco indistinta, lo spi-
rito animato di quel sentimento, lo portano ad armoniz-
zare classicamente parola e pensiero. E il verso, piccolo in
verità a quello del vecchio epos, s'ingrandisce, s'innalza;
docile a tutte le forme, prontissimo a tutti i suoni ; è scol-
tura, è quadro, è musica, è volo ; è una perfezione d'arte,
nobile e franca, varia e uguale, che fu esempio a tutti i
migliori né fu superata da nessuno. Stando alla lingua,
uno de' più singolari vantaggi che il poeta trae dall' im-
pronta e intonazione classica è per alcune parole che sotto
colore antico dissimulano il significato volgare. A persona
verso cui si voglion serbare i riguardi almeno delle forme
non si potrebbe mica dire: Lei che non fa mai niente, o
1 La prima e T ultima specialmente: p. 37 «La Sincerità. Bellissima
giovanetta in abito candido semplice e sottilissimo, con capelli biondi sparsi
sulle spalle, in atto d'essersi scoperta graziosamente il petto con una mano,
e coir altra accarezzando una colomba. Avrà la fisonomia ridente, occhi
azzurri, grandi, e pieni di semplicità ». E p. 38 « La Fecondità. Bella donna
di fisonomia contenta, con gli occhi rivolti al cielo quasi in atto di ringra-
ziarlo, col seno turgido di. latte, dove apparisca qualche picciola vena, ve-
stita a piacere, e con un nido d'uccelletti in mano J>. Finisce proprio con
un verso!
PREFAZIONE XXXI
senta un po' me; e pure in somma questo dice il Parini
al suo eroe, ma con la frase
Se in mezzo agli ozi tuoi ozio ti resta...,
dove ozi noi sentiam Lene quel che vuol significare, e nel
testo non suona né inerzia né mollezza ; sembrano gli otia
che anche agli Scipioni eran cari.
Nel Giorno più ancora che nelle Odi è manifesta la
opportunità che ben vide il D'Ancona commentando quelle
(Firenze, Le Mounier 1884) « di rintracciare l'origine clas-
sica dei vagiti fiori dello stile che il poeta lombardo colse
nei recessi di Pindo {Notte, v. 808) »; e si conosce evi-
dente che « i modelli di stile del Parini ... furono i la-
tini » sopra tutti. Né ciò è per nulla inconciliabile con le
affermazioni del Foscolo che il Parini avesse tra i nostri
alcuni autori jdìù ammirati e studiati (Dante, l'Ariosto, e
il Tasso neìV Aminta ; dei due primi, c'è anche il testi-
monio del Reina), e che, pur con le ammirazioni e gli studi,
fu e nell'insieme e nei particolari originalissimo, semper ^
suiis] e proprio originalissimo 1' avea già detto l'Alfieri.
Al qual Foscolo, com' esso narra (opp. iv 23), il Parini un
di avea detto, e non predicava a sordo : « non ti dipartire
o giovinetto da' Greci che hanno insegnato a' Latini, né
da' Latini che insegnano a noi ... ».
Che il classicismo nel Parini non è, come nessuna cosa
in lui, esagerato né di maniera; è di quello che accresce
e propaga la vita, non già la mortifica o aduggia. Si con-
cilia con la schiettezza immediata del concepire e dell'espri-
mere, ma le aggiunge finitezza e misura. Nei ricordati Pro-
grammi v'é in principio un soggetto « Apollo addita allo
quattro Muse del Teatro i modelli del Bongusto ^ nelle
arti teatrali ... », e due busti dovranno apparire che rechino
1 II Parini, per il quale i gusti eran due, il buono e il cattivo, li nomina
spesso in prosa e in verso. Ma del Buongusto non die, né pur qui, i tratti
e la figura; solo il Cattivo Gusto dipinge, « di fisonomia stupida e di fattezze
grossolane, con due grandi orecchie d'asino, e una zampogna in mano ».
XXXII PREFAZIONE
scritto in lettere d'oro Sophodes e Terentius, la perfezione
e l'urbanità. (Ci sarà, anche, è vero, un bel veccbio sbar-
bato, Metastasius : del resto, Erato, in quanto musa delle
rappresentazioni liriche^ non potea farsi molto più indietro
né più alto). E per il disegno del tempio clie dovrà acco-
gliere i busti, il tempio della Immortalità, ecco le norme :
« l'architettura del tempio potrà essere d'uno o j)iù ordini,
avvertendo però che vi sia conciliato colla grandiosità la
maggior esattezza, semplicità e purità possibile dell'Arte ».
Questa appunto è la conciliazione che, architettando per
conto suo, il Parini si propose e raggiunse,
E di tutto ciò, di questa mirabile ornamentazione com-
posita, di quest' arte e di questa poesia egli cinse un pen-
siero giusto, un sentimento degno, un dramma vario che
si anima e si agita su splendida scena, e ha stupende vi-
vacità di commedia, e tócca, a proposito di una
Vergine cuccia de le Grazie alunna,
le note di commozione più alte. Che se le quattro parti
del poema desideravano ancora, qual meno e quale assai
più, l'ojDcra del poeta a compierle e pulirle, ciò non toglie
che non s'abbia a dire di esse press' a poco quel che fa
detto di quattro famosissime statue le quali pure rappre-
sentano momenti del tempo e hanno con alcuno di questi
poemetti in comune il nome : « E vero che nessuna di que-
ste ha avuta l'ultima mano; son però condotte a tal grado,
che molto ben si può veder l'eccellenza dell'artefice; né lo
sbozzo impedisce la perfezione e la bellezza dell'opera ».
Questa sua opera Giiiseppo Parini, con una lettera tra
arguta e bonaria, mezza tra lo scrivere settecentesco e il
fare suo classico, dedicava Alla Moda] in verità la conse-
gnava alla gloria, in cui fiorisce durevolmente. A quanti
invece occorse, credendosi operare per la gloria, sacrifi-
carsi alla moda!
Bologna, 21 settembre 1906.
G. A.
ALLA MODA''
Lttngi da queste carte i cisposi occhi già da un secolo rin-
tuzzati, lungi i fluidi nasi de" malinconici vegliardi. Qui non
si tratta di gravi mi?iisterj nella patria esercitali, non di severe
leggi, non di annojante doinestica economia misero appannaggio
della canuta età. A te vezzosissima Dea, che con si dolci redine 5
oggi temperi, e governi la nostra brillante gioventù, a te sola
questo piccolo Libretto si dedica, e si consagra. Chi e che te
qual sommo Nicme oggimai non riverisca, ed onori, poiché ifi
si breve tempo se giunta a debellar la ghiacciata Ragione, il
pedante Buon Senso, e P Ordine seccagginoso tzwi capitali nemici, "io
ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato?
Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione, che
forse noìi w' e indegno, questo piccolo Poemetto. Tu il reca su
i pacifici altari ove le gentili Dame, e gli amabili Garzoni
sagrificano a se medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli is
* Alla Moda. È la dedicatoria che il Pa- gina) di due verbi, per dar più compiuta
rini mise innanzi al Mattino. Breve com' è, un' idea : temperas ci regis, cfr. // Mait. 635
l'ho data qual' è nella stampa, serbandone « volge e governa».
anche l'interpunzione. 13. sn i pacifici altari ore ... : su le
I. già da nn secolo rintazzati, cioè toileltes, anche nel poema definite come are
ottusi da un pezzo. tutelari della belte^^a, e su cui abitano qual-
6. temperi e gOTcrni: uso classico (che che tempo i libri alla moda. Puoi vedere nel
torna quattro o cinque volte in questa pa- Matt. 648 sgg., nel Me^^og. 42 sg. e 942-'52.
è vago, e di questo solo andrà superbo e contento. Per esserti
pili caro egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va
libero in Versi Sciolti, sapendo, che tu di questi specialmente
ora godi, e ti compiaci. Esso non aspira all'immortalità, come
5 altri libri, troppo lusingati da! loro Autori, che tu, repe^itina-
mente sopravvenendo, hai seppelliti tieW oblio. Siccome egli è per
te nato, e consagrato a te sola, cosi fie pago di vivere quel solo
momento, che tu ti mostri sotto un medesimo aspetto, e pensi
a cangiarti, e risorgere in pili graziose forme. Se a te piacerà
10 di riguardare con placid" occhio questo Mattino forse gli succe-
der amio il Mezzogiorno, e la Sera ; e il loro Autore si studierà
di comporli, ed ornarli in modo, che non men di questo abbiano
ad esserti cari.
3. tn (11 questi specialmente ora godi, cui la Moda Dì viver concedette un giorno
e ti compiaci. Non fa di bisogno ricordare intero ».
come veramente allora fossero usitati gli g. Se a te piacerà di rlgoardare con
sciolti e che eran d'altra lega dai pari- placid'occlllo 'questo Mattino: aperto ri-
niani, cordo del principio di un'ode oraziana, iv 3,
7. quel solo momento, che ... , e ... « Q^uem tu, Melpomene, semel Nascenicm
Puoi confrontare il Mail. 723 « ... lavori a placido lumine videris ... ».
IL GIORNO
Le lezioni apposte e non seguite da alcun seguo sono dalle stampe origi-
nali del 1763 e '65. Se nel testo è serbata la lezione di quelle stampe e son date
in calce le varietà dei manoscritti, queste son designate da "V. o Vv. , secondo
che siano una o più. E se appariscono registrate ne' detti modi si la lezione
delle stampe e si una o più varianti, s' intende che la lezione accolta nel testo è
un' altra variante. -
Abbreviazioni : B., cioè l'edizione data dal Bramieri in Parma presso L. Mussi
nel 1805; CI., cioè quella curata dal Colonnelli in Poesie di G. P. stampate a
Milano dalla Soc. tipografica de' Classici Italiani nel 1841; C, ossia il testo edito
dal Canti a Milano presso G. Gnocchi nel 1851. Queste abbreviazioni sono in pa-
rentesi quando gli editori seguono una data lezione, sono fuori di parentesi ove
si tratti di singolarità dell'editore.
IL MATTINO
Giovin Signore, o a te scenda per lungo
Di magnanimi lombi ordine il sangue
Purissimo celeste , o in te del sangue
Emendino il difetto i compri onori
E le adunate in terra o in mar ricchezze
Dal genitor frugale in pochi lustri,
Me precettor d'amabil rito ascolta.
1-7. Il poeta « si volge, senza invo-
cazioni, senza preamboli, all' alunno, il
Giovili signore, oh' è anche l'attor del
poema » ( Carducci, St. d. G. II, ii).
L' assenza d'invocazione è assai note-
vole nel classico autore, e prova com'ei
sentisse giusto nell' imitare i grandi
modelli, derivandone viva perfezione,
non mai cosa che potesse riuscire a
formula fredda o a luogo comune. 0 a
te..., 0 in te...., ascolta: periodo nobil-
mente composto e compatto, di figura
tutta classica : un vocativo, seguito da
due proposizioni disgiuntive, e quindi
il riposo nella principale, chiusa dai
verbo.
1-2. per Inngo... ordine: la satira Vili
di Giovenale, contro i patrizi, comincia
cosi: « Stemmata quid faciunt, quid iu-
vat, Pontice, longo Sanguine cense-
ri...? »; e stemmata sono gli alberi ge-
nealogici. E nel Mezzog. 331 sg. legge-
remo; «per mille feltrato invitte reni
Sangue». Di magnanimi lo-iibì: il geni-
(ivo è interposto tra l'aggettivo e il
nome cui specifica; solita collocazione
classica, non disusata a' nostri, frequen-
te nel P. che l'adopra quasi sempre,
come qui, benissimo.
3. Purissimo celeste : il primo ag-
giunto dice senza macchia, senza mi-
stione alcuna, ma pur cosa umana (ri-
guardo a questa purezza, e com' ella
sia spesso jìev qualche im.pensato av-
venlmento turbata, e' è un passo faceto
nel dialogo della nobiltà) ; il secondo,
cosa di cielo, divina. Cfr. Virgilio, Aen.
VI 730: « caelestis origo », e qui sotto
i vv. 61-62. Nel Mezzog. v. 193 sg. con
espressione equivalente « i divini Anti-
quissimi sangui ».
4-6. i compri onori, le cariche e se-
gnatamente i titoli acquistati a prezzo,
cosa usitata allora e non mai tra le pic-
cole vanità sociali disusata, le adunate...
in pochi Instrl : le rapide fortune messe
insieme per traffici e commerci, da chi
con sé stesso usa una parsimonia eh' è a
dirittura sordidezza e non ha scrupoli
di coscienza. — Nella disposizione delle
parole nota l' iperbato, di cui il P. si
vale spesso e bene; cfr. altro esempio
al v. 101 e seguente.
7. prcc. ttor d'amabil rito: maoslro
di costume gentile. Rito è « modo, u-
sanza », ma si in latino e si in italiano,
al sing. e al plur., si riferisce spesso a
cose religiose e sacre j parola quindi
Fabini — Albini
IL MATTINO
10
15
20
Come ingannar questi noiosi e lenti
Giorni di vita, che si lungo tedio
E fastidio insoffribile accompagna,
Or io t'insegnerò. Quali al Mattino,
Quai dopo il Mezzodì, quali la Sera
Esser debban tue cure apprenderai,
Se in mezzo agli ozi tuoi ozio ti resta
Pur di tender gli orecchi a' versi miei.
Già l'are a Vener sacre e al giocatore
Mercurio ne le Gallie e in Albione
Devotamente hai visitate, e porti
Pur anco i segni del tuo zelo impressi:
Ora è tempo di posa. In van te chiama
Lo dio de l'armi; che ben folle è quegli
Che a rischio de la vita onor si merca,
E tu naturalmente il sangue abborri.
20. In vauo Marte A sé t' invita
opportunissima in questo scrivere pieno
di intima ironia e di riposti signiflcati.
Nella felice espressione precettor d'ani,
r. è già in compendio la proposizione
del poema, quale poi si esplica ne' versi
seguenti.
8-15. È la proposizione di tutto il
poema, cioè di tutti e singoli i poemetti :
prima in termini vaghi, insegnamenti
contro la noia; poi determinati, occu-
pazioni delle varie ore del giorno. Poi-
ché il poeta quando scrisse questi versi
non aveva ancor pensato a suddividere
la Sera in due il Vespro e la Notte, la
materia è proposta come tripartita.
Certo, se avesse poi ripubblicato il Mat-
tino a poema compiuto, avrebbe modi-
ficato questi versi secondo il nuovo
concetto.
8. ingannar: Ingannare il temim
per far che passi inavvertito è del-
l'uso familiare, ma è anche classico:
per es. Ovidio, Met. viii 651: « fallunt
serraonibus horas ».
8-10. noiosi e lenti Giorni..., si lungo
tedio E fastidio iuso.Tribile : s' intende,
per chi non ha da fare, o non sa o non
vuol fare, nulla. Il poeta si porge sem-
pre ossequente al suo eroe, e parla il
linguaggio di lui. Cfr. l' ode alla Musa
V. 25 sg., ove dice che l'amico di poesia
« spesso al faticoso ozio de' grandi...
s' invola».
14-15. Se... Pur : si può intendere non
altrimenti che se fosse vicino se pure,
perché è uso elegante disgiungere le
parti di un avverbio o d' una congiun-
zione composta; ma anche può inten-
dersi pur nel frequente significato clas-
sico di solamente. Se in mezzo agli ozi
tuoi ozio... : vedi ciò eh' è osservato su
ozi e ozio nella prefaz. e cfr. v. 211
e il V. 337.
16-19. Già l'.tre a V ncr sacre ecc. :
allude a' viaggi de' giovini signori in
Francia e in Inghilterra ne' più celebri
luoghi dati al piacere e al gioco, onde
riportavano spesso malconcio il corpo
e l'avere. Non solo alla frase V are a
Vener sacre, ma a tutto il passo con-
suonano i versi del Gozzi, Sermone IV
la corruzione de' costumi presenti:
Escono di pupillo; ecco i licei
Spalancati del gioco e i templi e l'are
Sacre alla Dea di Cipri, ove la prima
Scola si ribadisce e si rassoda.
al giocatore Mercurio : presiedendo a'
guadagni, onesti e disonesti, è dio de'
mercanti de' ladri e de' giocatori, zelo:
è l'ardore con che si adempie un dovere
0 si presta un uflìcio; cfr. il Mezz. 692 ;
qui ognun sente l'ironia.
20-22. te chiama, in quanto a" privi-
legiati della fortuna erano serbati in pri-
vilegio anche i gradi della milizia.
23. naturalmente: tal quale come il
IL MATTINO
Né i mesti de la dea Pallade studi
25 Ti son meno odiosi : avverso ad essi
Ti fero alii troppo i queruli riciuti,
Ove l'arti migliori e le scienze
Cangiate in mostri e in vane orride larvo
Fan le capaci vòlte echeggiar sempre
30 Di giovanili strida. Or primamente
Odi, quali il mattino a te soavi
Cure debba guidar con facil mano.
Sorge il mattino in compagnia dell'alba
Dinanzi al Sol che di poi grande appare
35 Su l'estremo orizzonte a render lieti
Gli animali e le piante e i campi e l'onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
26. Ti feron troppo (C.) — 34. Innanzi
nimirum latino, sciticet e simili, serve
all' ironia. Il sangue, da cui abborre il
G. s. (abborre da versarlo, s' intende), è
il suo.
24-30. Né i mesti de 1» dea Pallade
studi eco: gli studi vari per cui si ac-
quista il sapere. Mesti, perché doman-
dano un raccoglimento laborioso che
dee parere gi'an tristezza ai dissoluti
perdigiorni, e poi per ciò che dice in
seguito. Si avverta non esser qui da
escludere che il P. abbia seriamente
un biasimo per le scuole, quali erano
le più a suo tempo, poco istruttive e
punto educative per colpa de' maneschi
e maleducati maestri, numerosa discen-
denza del plagoaus Orbilius che toccò
a Orazio. Ma il trovare in ciò una scusa
per il Giovin signore dall'attendere nel-
la giovinezza matura a qualche seria
occupazione della mente, è satira. An-
che negli ultimi versi del frammento
d' epistola a Giancarlo Passeroni (0 ine-
co in fin dagli, anni miei più verdi,
opp. Ili, p. 180). il P. non sembra me-
narla buona a chi, irridendo
. . . . i tempi oscuri
Quando con formidabile staffile
Regnarono i pedanti a cui dinanzi
Con boccaccia e con strani torcimenti
Stridevano 1 fanciulli,
SI gloria dell' età ingentilita e
. . . ciurma una gran turba
Ci sciocchi uguali a lui.
32. con facil mano: condiscendente,
propensa, benigna. È aggettivo di laigo
uso, la cui precisa significazione si ha
dal testo: «Seram... facili grandiapoma
vianu*, disse Tibullo I 1, S, e vale abile,
che sa fare; cosi per Virgilio, Bue. iii
38 è facile il tornio ond'è proprio il dar
forma, facili gli occhi che rapidamente
si muovono Aen. vni 310, facile una
navigazione prospera Georg, i 40, faci-
les animi iuvenum G. iii 165 pieghe-
voli e domabili. Vedremo nel Mezzog.
16: la facil mensa... de' Proci, cioè ab-
bondante senza fatica. Benissimo il Man-
zoni Adelchi a. V. se. 5': «nella facil ora
di colloquio ospitai»: cioè in cui l'uomo
è disposto a esaudire e concedere. E in
contrario di/Jìciles tabellae è chiamata
da Ovidio Am. i 12, 7 la tavoletta, in cui
è risposto no a un chiesto convegno.
33-35. .Sorge ecc.: il mattino comincia
con r alba, e però innanzi all' apparir
del sole, (li pn: avverti che va unito
ad appare, non a grande che sta da
sé e, cosi collocato, dà rilievo alla rap-
presentazione. E v'è osservato un fatto;
tialilei Sagg. 49; « Il sole e la luna vi-
cini air orizzonte appariscono maggiori
che innalzati verso il mezzo cielo ». —
S'n l'estreiio orizzonte: ultimo, ed é la-
tinismo, anche per T uso dell' aggettivo
in luogo d'un nome astratto : cfr. il
ìnezzo cielo nel luogo ora citato di
Galileo. E anche « da mezzo il cielo ».
Manzoni, P. s. viii.
37. Allora: cioè all'alba; il poi in
vece del v. 40 risponde alla levata del
sole. In fatti il contadino la prima cosa
IL MATTINO
Letto cui la fe^[gj moglie e i minori
Suoi figliuoletti intiepidir la notte;
Poi sul collo recando i sacri arnesi
Che prima ritrovar Cerere e Pale,
Va, col bue lento innanzi, al campo, e scote
Lungo il picciol sentier da' curvi rami
Il rugiadoso umor che, quasi gemma,
I nascenti del Sol raggi rifrange.
Sorge anche il fabbro allora, e la sonante
Officina riapre, e all'opre torna jy,^-t:l~-'
L'altro di non perfette, o se di chiave
Ardua e ferrati ingegni all'inquieto ^ /'
40
45
, vAj
tV
38. sposa — 40. sul dorso portando V. (B., CI., C.) — 41. ritrovò Cerere o Pale, ...
primiera iuveutò Cerere o Pale Vv. {accolse la i* B.) — 42. Esce o Move seguendo i
lenti bovi Vv. {la 2' B.) — 43. Per lo angusto V. (B., CI., C.) — 44. Fresca rugiada
che di gemme al paro V. (B, raa gemma non gemme) — 45, La nascente del Sol luce,
Il nascente del Sol lume rifragne, Il nascente del Sol raggio sparpaglia Vv. {la 1* B.)
— 46. Allora sorge il fabbro
dà mangiare alle bestie, e quindi ap-
presso le aggioga ed esce a' campi.
40-41. snl collo recando : il sol dorso
portando che il P. pensò di poi non par
meglio della prima lez. : per esattezza
un recando in ispalla sarebbe stato me-
glio, di entrambe, i sacri arnesi: anche
l'Alamanni, invocando Cerere alla mie-
titura, in versi degni d'esser presenti a
studiosi del Parini, la Coltiv. II 18 sgg. :
Vien tosto, vieni a noi succinta e snella,
Né quella bionda treccia oggi si sdegni
Di talor sostener la corba e '1 vaglio
E gli altri arnesi tuoi ; non tardar molto,
Che già ti cbiaman le campagne e i colli
Ch'hanno all'ultimo di condotto il parto
Per riposarlo poi nel tuo gran seno.
Più innanzi ha il verso: « Con l'aratro,
col bue, con gli altri ferri». Cerere e
Pale: com' è noto, sono divinità dell'a-
gricoltura; la prima propriamente delle
mèssi, la seconda degli armenti ; vedile
invocate da Virgilio nel I e III dei Geor-
gica. La precisione che il P. sembrò
cercare poi con l'alternativa Cerere o
Pale non giova affatto alla poesia.
42. Ta, col bue lento... : anche il verso
è lento e lungo per densità d' accenti,
di vocali e d'elisioni; « dipinge col suo-
no » (Card. , St. d. G. VII, iv). Pure,
nella incontentabilità sua, il P. pensò e
tentò ancora di migliorarlo, come ap-
parisce dalle varianti.
43. Come i particolari bene osservati
danno vivo il quadro! Noi seguiamo con
gli occhi il contadino per la piccola viot-
tola di campagna, il picciol sentier,
chiusa tra gli alberi che vi spiovon so-
pra, i curvi rami.
44. quasi gemma: come fa la gemma:
come se fosser pietre preziose o perle.
45. Tra i mutamenti pensati poi solo
notevole, non però preferibile, è spar-
paglia.
46. 11 fabbro : nome per sé comune a
diversi artefici ; posto da, solo, per noi
significa il ferraio, e di ferraio vera-
mente si tratta a' vv. 48-50, che negli
altri 50-52 par piuttosto un orefice o
cesellatore.
46-47. la sonante Ofllcina; giusto ag-
gettivo per la bottega del fabbro, riso-
nante de' colpi del martello sull'incudine.
47-48. opere... non perfette : « non com-
piute, non terminate», lat. imperfectum
0 nondum joerfectum opus.
48-52. 0 se., assecnra, o s",.. tuo!...:
comunemente, sia eli' egli assecuri, sia
che voglia. Piacque al P. questa forma
viva e schietta con l'indicativo, come
con sive... sive... usa il latino. Vedine
altro esempio al verso 516 e sgg. e nel
Mezzog. 129-134, 740-742. — clilaTC ar-
dua: diflìcile, di cui bisogna sapere il
segreto ; — ferrati Ingegni : congegni di
ferx'o, e ingegni è consueto in tal senso,
IL MATTINO
50 Ricco l'arche assecura, o se d'argento
E d'oro incider vuol gioielli e vasi
Per oi'namento a nova sposa o a mense.
Ma che? tu inorridisci, e mostri in fronte,
Qual istrice pungente, irti i capelli
55 Al suon di mie parole? ah il tuo mattino
Questo, Signor, non è. Tu col cadente
Sol non sedesti a parca mensa, e al lume
Dell'incerto crepuscolo non gisti
Ieri a posar, qual ne' tuguri suoi
CO Tra le rigide coltri il mortai vulgo.
A voi celeste prole, a voi conciliò
Di semidei terreni, altro concesse
Giove benigno: e con altr'arti e leggi
Per novo calle a me guidarvi è d'uopo.
65 Tu tra le veglie e le canore scene
E il patetico gioco oltre più assai
Producesti la notte; e stanco alfine,
In aureo cocchio, col fragor di calde
Precipitose rote e il calpestio
70 Di volanti corsier, lunge agitasti
li queto aere notturno, e le tenèbre
52. a nuove spose — 53. mostri in capo, in capo mostri V. — 54. capagli — 55. Ah
non è questo, Signore, il tuo mattin. Ali il tuo mattino, Signor, questo non ò V. —
57. Di V. (B.), cena V. — 59. a corcarti in male agiate piume. Come dannato è a
far l'umile vulgo, a giacer tra male agiate coltri. Entro a rìgide coltri il vulgo vile Vv.
{scelse giacer.... Entro a B). — 62. Almo o Grande di semidei Vv. (B.) — 64. convien
guidarvi
massime parlando d' usci e serrature ; 68-69. calde Precipitoso rote: il se-
— inquieto Bieco: sempre in paura e in condo aggiunto spiega il primo, riscal-
sospetto appunto perché ricco; — l'ar- date per la rapidità del volgersi. Cosi
ciie : le casseforti; — d'argento e d'oro: Virgilio Georg, iii lOS: « volat vi fer-
cioò, gioielli e vasi d'argento e d'oro; vidus axis » e Orazio, e. 1 1, 4, sg. . « fer-
inversione forse un po' dura. vidis rotis ».
60. rigide coltri: non intender fred- 70-71. lunge agitasti 11 qneto acre uot-
de, ma ruvide, senza pieghevole morbi- turno : con lo strepito e T impeto face-
dezza, in contrapposto alle coltrici mal- sti vibrare e ondeggiare largamente l'a-
ie cedenti del v. 86. Son le lenzuola di ria della notte silenziosa. Lucrezio de
capecchio, le coperte dure e stecchite rer. nat, vi 685: « Ventus enim flt, ubi
della povera gente. Nello stesso senso, est agitando percitus aer» e Ovidio, Me-
benché per tutt'altra causa, « vestes au- tam. i 75 « agitabilis aer » cioè mobile,
roque ostroque rigentes » disse Virgilio trattabile. Cfr. ia iV. 380 « l'aere agi-
Aen. XI 72. Sulla prima lez. di questo tando » nello stesso senso latineggiante.
passo vedi la prefazione. 71-72. le tenebre Con flaccolc superbe
67. Prodncesti la notte: prolungasti, intorno apristi: rompesti, dividesti, di-
latinismo. Orazio, Sat. i 5, 70 « Prorsus radasti. « L'ombre aprendo » ha il Caro
iucunde cenam produximus illam », cioè ma risponde a Aen. xii 859 « transilit
prolungammo, continuammo avanti nel- .umbras » e però significa passando a
la notte; cfr. anche carm. ni 21, 23. traverso. Qui il senso è chiaramente
IL MATTINO
Con fiaccole superbo intorno apristi;
Siccome allor che il siculo terreno
Dall' uno all' altro mar rimbombar feo
75 Pluto col carro, a cui splendeano innanzi
Le tede de le Furie anguicrinite.
Tal ritornasti ai gran palagi ; e quivi,
Caro conforto a le fatiche illustri,
Venien per te pruriginosi cibi
SO E licor lieti di francesi colli
E d' Ispani e di toschi, o l'ungarese
Bottiglia, a cui di verdi ellere Bromio
Concedette corona, e disse: Or siedi
73. paese V. (B., CI., C.) — 77. Cosi tornasti a la magion; ma quivi. Tal ti rendesti
ai gran palagi V. (CI.) — 78. A novi studi ti attendea la mensa Cui ricoprien. Cari con-
forti a te porgea la mensa Che, Già ti attendean pr. e. Vv. (l'ultima tenne B.) — 81. O
d' Ispani o di toschi, o 1' ongarese — 82. di verde edera Bacco — 83. disse; siedi.
determiiiato dal compimento. Il Petrar-
ca (son. Si breve è 'l tempo e 'l penser
si veloce) dice di madonna « questa via
con gli occhi apristi » ed è la via del
suo « oscuro e grave core ».
TS-ie. Comparazione trovata e fatta
mirabilmente. Il raffronto con una di-
vinità è si abbagliante, da non lasciar
tempo al Giovin signore di pensare che
si tratta del dio infernale con le Furie
per corrieri. Gli elementi della compa-
razione potrebbersi rintracciare ne' tan-
ti racconti classici, in poesia e in prosa,
del ratto di Proserpina, ma la compo-
sizione è tutta del Parini. Dall' uno al-
l'altro mar, dal mare Ionio al Tirreno.
Pluto col carro: il poema di Claudiano
de raptu Proserplnae ha per argomen-
to appunto
Inferni raptoris oquos afflataque curru
Sidera Taenario ;
e nel settecento fu ammirato, ed è sem-
pre osservabile, almeno retoricamente,
il sonetto del Cassiani di egual titolo.
Kccone le terzine:
Ella, già in braccio al rapitor, puntello
Fea d' una mano al duro orribil mento,
Con 1' altra agli occhi paurosi un velo.
Ma già il carro la porta, e intanto il cielo
Ferian d' un rumor cupo 11 rio flagello,
Le ferree ruote e il femminil lamento.
Mi pare utile ricordarle, -non già per-
ché questa chiusa abbia nulla prestato
qui al poeta, ma perché questi, come
giudicava che il son. ottiene tutti l me-
meri, cosi diceva impagabile la pri-
ma terzina per l' evidenza, per la
grazia e per l'affetto, e che la seconda
fa correre la fantasia per un'ampiez-
za di senso d' immagine e d'affetto,
che anche terminando vi tiene tutta-
via attenti e sospesi: la qual cosa o
è un raggiungere il sublime o almeno
uno accostarvisi assai. V. Parere in-
torno alle poesie del Cassiani in opp.V.
p. 16S. sg. Furie angnicrinite, che hanno
serpi ne' capelli o per capelli : cfr. Virgi-
lio, G. IV 482 « implexae crinibus an-
gues », Tibullo, i 3, 69 « Tisiphoneque
impexa feros prò crinibus angues» e
Claud. p. cit. I 39 « crinitaque sontibus
hydris Tisiphone » ; e cento altri, perché
è dei precipui caratteri delle Eumenidi.
Ricorda anche Dante, Inf. ix 41 « Ser-
pentelli ceraste avean per crine ».
79. pruriginosi cibi: pnirigine vai
pizzicore o anche solletico, e da tal la-
tinismo il P. trasse quest'aggiunto a
voler significare que' cibi ghiotti che
muovon la gola agli oziosi molli e svo-
gliati.
80. sg. licor lieti, che mettono alle-
gria, o giocondi per sé stessi. — di
fraucosi colli K d'ispaui e di toschi: ima-
gina lo champagne, il bordeaux, il ma-
laga, l'alleante, il chianti, l'aleatico.
81-81. 0 l'nngarcse Hottiglii» ecc.: il
Tokai. Bromio, da Ppipiu, è un de' nomi
di Bacco: il rumoroso. Òr siedi De le
IL MATTINO
De le mense regina. Al fine il Sonno
85 Di propria man ti sprimacciò le coltrici
Molle cedenti, ove te accolto, il fido
Servo calò le ombrifere cortine;
E a te soavemente i lumi chiuse
Il gallo, che li suole aprire altrui.
90 Dritto è però che a te gli stanchi sensi
Dai tenaci papaveri Morfeo
Prima non solva, che già grande il giorno
84. reina — 85. Ti sprimacciò le morbide coltrici Di propria mano. Ti Bprimacciò
di propria man, Di propria mano sprimacciò Vv. {quest'ultima B., CI., C.) — 87. seriche
— 90. perciò — 91, Non sciolga da' papaveri tenaci Morfgo prima che già grande il giorno
Tenti di penetrar fra gli spiragli
mense regina: « L' unico al mondo im-
periai Tokai », disse l'Alfieri.
84-88, 11 sonno Di propria mano: le
personiflcazioni e la mitologia, dicemmo
già, convengono qui mirabilmente allo
ambiente e allo stile; e a mettei'e a letto
il laborioso eroe bene è indotto il dio
Sonno in persona. Del quale la più nota
finzione e descrizione poetica è in Ovidio
Met. XI 592-621 (di essa, credo, il P. ram-
mentava il v. 620 «Summaque percu-
tiens nutanti pectora mento >, quando
suggeriva di fare la statua del Sonno
« col viso cadente sopra il petto » opp.
V p. 26): da Ovidio rifiorì nell'Ariosto,
0. f. XIV st. 92-94, leggiadrissima come
tutti sanno.
85-86. sprimacoiò le coltrici aiolle ce-
denti: sprimacciarci, che anche si disse
spimacciare, è quel battere e ripassare
il letto con la mono per far che sia bene
uguale. Arrigo da Settimello Trattato
contro l'avversità della Fortuna:
« perché continuamente il mio letto male
si batte e sprimaccia?», Berni, Rime,
1, 4: «Fra tre persone avrete quattro
letti Bianchi, ben fatti, sprimacciali ».
Molle per mollemente, uso classico del-
l' aggettivo neutro per 1' avverbio ; e
molle cedenti son dette le coltriti (lat.
ciilcita, materasso) morbide, cedevoli.
Su la prima lez. del passo vedi ciò eh' è
osservato nella Prefazione,
88-S9. i Inmi chiuse ecc. : dice con poe-
tica vivezza questo « ti addormentasti al
canto del gallo, quando gli altri si sve-
gliano ». Il Moretum attrib. a Virgilio
comincia cosi : « lam nox hibernas bis
quinque peregerat horas Excubitorque
diem canta praedixerat ales ». li anele
aprire altrnl: Ov. ani. i 6, 66: « Inque
suum miseros excitat ales opus ». Cfr.
Giovenale, sat. cit. v, 11,
90. sgg. Dritto è però...: chi produsse
la notte si oltre e si coricò si tardi, è
giusto, è naturale che si tardi anche si
desti; posto quello, vien questo. Ma che
s'abbia a menare in modo la vjta da
perdere il giorno cosi, ciò può mai per
nessuno chiamarsi un diritto? Tanto
sono bene scelte le parole, perché dal-
l'apparente indulgenza scoppi la severa
condanna. — gli stanchi sensi Dai te-
naci pap. M, rrima non solva : chi dal
Sonno fu posto a dormire, da un de' fi-
gliuoli del Sonno è destato; « artiflcem
simulatoremque figurae Morphea », lo
chiama Ovid., Met. xi 634 sg., e negli ag-
giunti è il senso etimologico del nome.
Qui per altro, come spesso nell' uso,
Morfeo può esser preso per esso il Son-
no. — tenaci papaieri vai quanto sonno
profondo; « somnique papavera causas »
dice Ov. Fast, iv 547, am. n 6, 31; e
nei cosi detti programmi di belle arti
il P. non dimentica mai nella figurazione
del Sonno la corona di papaveri, opp.
V, pp. 16, 26, 51, 105. — solra: avverti
r intima proprietà della parola in ri-
spondenza al prec. tenaci.
92-96. Per l' imagine, più che Virgi-
lio, Aen. Ili 151 sg. « se Piena per inser-
tas fundebat luna fenestras » è da ri-
cordare Persio, Sat. ni 1-6: «lam clarum
mane fenestras Intratet angustas exten-
dit lamine rimas » ecc., dove pure si
tratta d'un infingardo che matura la
crapula della sera iunauzi seguitando
IL MATTINO
Fra gli spiragli penetrar contenda
De le dorate imposte, e la parete
95 Fingano a stento in alcun lato i raggi
Del Sol, ch'eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure
Dènno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
Sciorre il mio legno, e co' precetti miei
100 Te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valetti gentili udir lo squillo
De' penduli metalli, a cui da lunge
Moto improvviso la tua mano impresse;
E accorser pronti a spalancar gli opposti
105 Schermi a la luce, e rigidi osservaro
Che con tua pena non osasse Febo
Entrar diretto a saettarle i lumi.
Ergi dunque il bel fianco, e si ti appoggia
Alli origlier che lenti degradando
110 All'omero ti fien molle sostegno:
95. rai V. (B.) — 98. quindi io deggio V. (B.) — 101. valletti CI., C. — 102-3. Del
Ticino metal cui da loutano Scosse tua man col propagato moto. Ditfusi moti la tua
mano impresse V. — 104. Già corser, E corser Vv. (Za 1* B., la 2' CI. e C.) — 105.
vigili B. ma forse è svista — 107. saettarti (B.) — 108. Ergiti or tu alcun poco — 109.
origlieri i qual lenti gradando — 110. fan
a russare mentre il solleone inonda i
campi. Posteriori al Parini puoi ricor-
dare: Monti, Cam. ver le quattro ta-
vole ecc. st. 11 «gli spiragli entrando
Già delle imposte il sol » e Leopardi il
Sogno 1-3 « tra le chiuse imposte Per
lo balcone insinuava il sole Nella mia
cieca stanza il primo albore ». penetrar
contenda..., Fingano a stento...: benis-
simo detto e osservato; le dorate im-
poste, come porta il lusso e le abitu-
dini del padrone, sono cosi ben connesse
e combaciano si bene, che il raggio me-
ridiane mal riesce a penetrare.
97. qui: le occupazioni del Giovili
signore comincian sùbito ; la strappata
di campanello è la prima, non più né
meno grave delle altre.
99. Sciorre il mio legno: esprimere
il proprio assunto con imagini tolte
dalla navigazione è consueto a' poeti ;
rammenta il « da facilem cursum » di
Virgilio, Georg, i 40 e i primi versi del
Purgatorio di Dante. Al solito, quanto
più eletta la frase, tanto più acre l'in-
tima irrisione.
101-103. Non giova ripetere come le
squisite perifrasi, qui del campanello,
altre altrove, si confacciano perfetta-
mente air argomento. Ma è da porre
mente all' eleganza che il poeta rag-
giunge: vedila suprema, leggiadrissima
in questi tre versi, non cosi perfetti
nella prima lezione. — valetti; cosi il
P. con forma più vicina a quella fran-
cese; oggi scriverebbesi valletti (M.).
104-107. gli opposti .Schermi a la Ince:
ipèrbato. — Tra lo spalancar e il rigidi
ossrrraro con quel che segue può pa-
rere un po' di contraddizione ma non
è. aprono fuori, ma con gli scuri di
dentro attendon bene (rigidi, rigorosi,
zelanti) che non abbiano a risentirne
un urto troppo vivo gli occhi pur allora
desti. — saettarle : questa desinenza, e
altre simili cfr. v. 212 macchiarse, ecc.,
piacque al P. anche fuor di rima; tra
i cinquecentisti, a' quali fu più solita,
r autore della Coltivazione V usa sem-
pre. Oggi, tranne speciali ragioni, s'am-
metterebbe solo in rima e raramente.
— i lumi, pretto latinismo già visto al
IL MATTINO
E coli' indice destro lieve lieve
Sovra gli occhi ti-as corri, e ne dilegua
Quel che riman de la cimmeria nebbia;
Poi de' labbri formando un picciol arco,
115 Dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Oh se te in si vezzoso atto mirasse
Il duro capitan qualor tra l'armi
Sgangherando le labbra innalza un grido
Lacerator di ben costrutti orecchi,
120 Onde a le squadre vari moti impone;
S' ei te mirasse allor, certo vergogna
Avria di sé, più che Minerva il giorno
Che, di flauto sonando, al fonte scòrse
Il turpe aspetto de le guance enfiate.
125 Ma già il ben pettinato entrar di novo
Tuo damigel vegg' io. Sommesso ei chiede.
Quale oggi più de le bevande usate
Sorbir ti piaccia in preziosa tazza.
Indiche merci son tazza e bevande.
130 Libra i consigli tuoi. S'oggi a te giova
111. Poi — 112. Sopra gli occhi scorrendo, iudi dilegua — 114. E — 116. geutile
(CI., C). Alii se V. (B.) — 117. quando V. (B., CI., C), arme V. (CI., G.) — 118. la bocca,
un grido innalza V. (B., CI., 0.) — 121. Se te — 124. de la guancia enfiata, de le en-
fi;ite guance Vv. — 125 sgg. Ma il damigel ben pettinato i crini Ecco a' inoltra e con
sommessi accenti Chiede qual più V. (B.) — 126. Tuo damigello i' veggo; egli a te chiede
— 128. tu goda V. (B.) — 129. tazze (B.) —130. Scegli qual più desii. S'oggi ti giova.
Scegli qual più t' aggrada. Ami tu forse V. (Br.) Libra i consigli tuoi. Ami tu forse C.
ì
V. 88; divenuto uggioso per l'abuso fat- sicché par fatto più agile il trapasso
tene da' Petrarchisti e dagli Arcadi. all'apodosi, e questa si svolge più li-
113. la cimmeria nebbia: i Cimmerii bera, campeggiandovi un vivace qua-
è un popolo favoloso (non son quelli che dretto.
realmente abitavano 1' odierna Crimea 122-12J. Minerra ecc. ; per questo rac-
e piccola Tartaria); all'ingresso dell'Ade conto mitologico vedi tra i Latini spe-
secondo VOdissea xi 14; vicino alla casa cialmente Ovidio nei Fasti vi 697 e sgg.
del Sonno secondo il passo della Meta- Vi si legge che « hquidis faciem refe-
morfosi citato nella n. al v. 81. Sono renlibus undis » la dea vide « virgineas
sempre sepolti nella nebbia, dice il poe- inlumuisse genas », e buttò la tibia al-
ma greco; e quella nebbia, data la vi- l'erba, onde il Satiro la rjiccolse: alla
cinanza che Ovidio pone, dev' esser so- qual circostanza si rapporta un gruppo
porifera. Ciò spiega la frase, che nel del grande scultore Mirone.
senso è simile ad altre più comuni me- 125. il ben pettinato: è epiteto all' o-
tafore, p. es. il velo del sonno. Quanto merica, che qui giova all'ironia di que-
all'atto qui del Glovin signore, ricorda sta epopea alla rovescia (M.).
un luogo di Claudiano Epithal. Pali. 12.S. in preziosa tazza va inteso come
et Cele)'. 26 sg., ove di Venere che si compimento dell'idea di sorbir; non
sveglia è detto: « excita resedit, Et reli- entra nella richiesta del servo,
quuni nitido deiersit pollice somnum ». 129. Indiclie merci, tutte cose portate
121. S'ei te mirasse allnr : ripresa che d' oriente,
compendia opportunamente la protasi, 130. Libra i consigli tnoi : cioè, pesa
10 IL MATTINO
Porger dolci allo stomaco fomenti,
Si che con legge il naturai calore
V'arda tempi-ato e al digerir ti vaglia,
Scegli il brun cioccolatte, onde tributo
135 Ti dà il Guatimalese e il Caribe©
Che di lucide penne avvolto ha il crine.
Ma se noiosa ipocondria t'opprime,
0 troppo intorno a le divine membra
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora
140 La nettarea bevanda ove abbronzato
Arde e fumica il grano a te d'Aleppo
Giunto e da Moca, che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Certo fu d'uopo che dai prischi seggi
145 Uscisse un regno, e con audaci vele,
Fra straniere procelle e novi mostri
E teme e rischi ed inumane fami,
Superasse i confin per tanta etade
Inviolati ancora: e ben fu dritto
150 Se Cortes e Pizzarro umano sangue
Non istimàr quel ch'oltre l'oceano
Scorrea le umane membra, onde tonando
132. Onde V. —134. Tu il cioccolatte o II cioccolatte eleggi Vv. (la 2* B., CI., C.)
— 135. die il G. o V. (B., CI., C.) Caribbeo B. — 13G. C ha di barbare penne avvolto
il crine. Che di barbare penne avvolto ha il crine, Che di penne diverso il capo avvolge
Vv., Che di lucide penne il capo avvolge B. — 137. ti, ti asaale Vv., t'assale B. —
138. vezzose (B., C.) — 141. Fuma et arde il legume — 144. dal prisco seggio — 145.
ardite — 148. lunga — 150. Se Pizzarro e Cortese umano sangue Pili non stimar V. (B.)
— 152. e se tonando V. (B., CI. C.)
le ragioni prò e contro per determi- l'Arabia Felice; onde proviene caffè del
uarti alla scelta; ma con che solennità migliore.
è detto! H^. sg. dai prischi seggi Uscisse nn
133. ti Taglia, ti aiuti. regno, dai confini del vecchio mondo
134. tribnto Ti dà, proprio come a hi Spagna si dilatasse nel nuovo. — e
conquistatore o dominatore, il Guati- con andnoi vele : cfr. le prime tre strofe
innlcse e il Caribeo, l'America, designata dell'ode l'innesto del vainolo e ricorda
da una repubblica del centro e da una il celebre passo della Gerusalemme Zi-
delie Antille. Di là viene il cacao, di uerala xv 30-32.
che specialmente si fa (o dovrebbe fai-- 150-55, Questo passo fa ricordare,
si) la cioccolata. ma è più bello, il sonetto del P. intito-
137. noiosa Ipocondria, malattia che lato « Mali delle conquiste all'Europa» :
dà il malumore, consueta a chi vive
negli stravizi. Kceo la reggia, ecco de' prischi Incassi
138. 0 troppo...: «se tendi a ingras- ^° '«""'^e insanguinate; ecco le genti
, , ,. j 11 „• „i ■!■ l'i tre p.o.vti de l'orbe intorno ai massi
sare»; ma è un al ra delle mirabili e ^ ^- i, . i „ ,•
' . . Ancor di scellerato oro lucenti,
opportumssime perifrasi. ,j.^,_ America, piagnendo, gì' innocenti ^
140. La nettarea bevanda..., il caffè. Occhi su l'arco tuo spezzato abbassi:
— abbronzato, perché abbrustolito. Tu sudi, Africa serva; e coi tormenti
141. sg. Aleppo, in Siria, Moca, uel- Sopr' ambe minacciando Europa stassi.
IL MATTINO 1 1
E fulminando, alfin spietatamente
Giù dai grandi balzaro aviti troni
155 Re messicani e generosi Incassi;
Poi che nuove cosi venner delizie,
O gemma degli eroi, al tuo palato.
Cessi '1 cielo però che, in quel momento
Che la scelta bevanda a sorbir prendi,
160 Servo indiscreto a te repente annunzi
O il villano sartor che, non ben pago
D'aver teco diviso i ricchi drappi,
Oso sia ancor con pòlizza intìnita
Fastidirti la mente; o di lugubri
165 Panni ravvolto il garrulo forense
Cui de' paterni tuoi campi e tesori
Il periglio s'affida; o il tuo castaido
Che già con l'alba a la città discese
Bianco di gelo mattutin la chioma.
170 Cosi zotica pompa i tuoi maggiori
Al di nascente si vedeau d'intorno:
154. Balzaron giù da' loro aviti troni — 156. Poiché — 159. l'eletta, le scelte be
Vanda Vv. {la i' B., CI., C.) — 160. improvviso, annunci V. (B., CI., C.) — 161. Il —
164. A te chieder mercede. Ahimè che fatto. E continuava come al v. 182, sema tutto
il passo interposto di poi. — 167. si affida V. (B.)
Ma la vostra tiranna ecco attraversa è il conto che naturalmente è fatto lun-
II mar con sue rapine. Ecc. gO luuo'o.
E l'Alfieri, sat. XII il Commercio ver- 164-167. Ingdbri Panni: il vestito nero,
so 25: fors'anclie la toga, dell'avvocato; tu-
Taccio del sangue American, cui beve gubì^i a raffronto de' bei vestimenti scre-
L' atroce Ispano. ziati e colorati del Gioviti signore. —
— Cortes e PizzaiTo: Ferii. Cortez (14S5- garrnlo forense : l' aggiunto per solito
1517) e Frane. Pizzarro (1475-1541), que- si aflfà bene pur troppo al nome ; « ver-
gli conquistatore del Messico, questi bosi garrula bella fori » diceva già Ov-i-
scopritore del Perù, incrudelirono ne- dio Trist. m 12, IS: ma qui non v' è
gl'indigeni e sopraffecero re messicani intenzione satirica contro 1' uom della
(Guatimozino e Montezuma) e generosi legge, al quale sono utilmente affidate
Incassi (Huascar re degl'Incas). le questioni legali, il periglio, che mi-
158. Cessi '1 eìelci : tenga lontano. naccino l'avere del ricco ozioso: cfr.
159. la scelta bevanda: conforme a ciò sotto ai vv. 4SI-'82. E sovviene un passo
eh' è detto al v. 127 e seguenti. di Giovenale, nella cit. sat. VIII 47-50:
160. SerTO indiscreto : perché un servo Tamou ima plebe Quiritem
assennato e riguardoso certe persone Facunduui inveniesjsolet hlo defendere cau-
non deve né pure annunziarle. [aas
161-164. 0 il villano sartor che ecc.: Nobilis indocti; veniet de plebe togata,
zotico e impudente, che non si tiene ^"' ^"'"'s noiios et legum aenigmata solvat.
già ben pagato avendo fatto a mezzo 170. Cosi zotica pompa: una proces-
del suo panno con un tale eroe. NuU'al- sione di gente si grossolana. Pompa è
tro significa, e lo scherno naturalmente detto nella sua pura accezione classica,
va tutto al signore. Se altri aggiunse gr. itofJiTrn, lat. ^jonjw, di «séguito, ac-
altro, fu abbaglio. — con po'lizza infinita, compagnanicnlo, corona numerosa »,
12 IL MATTINO
180
Ma tu, gran prole, in cui si feo scendendo
E più mobile il senso e più gentile,
Ah sul primo tornar de' lievi spirti
175 A l'ufificio diurno, ah non ferirli
D'imagini si sconce. Or come i detti,
Come il penoso articolar di voci
Smarrite titubanti al tuo cospetto,
E, tra l'obliquo profondar d'inchini,
Del calzar polveroso in su i tappeti
Le impresse orme soffrire? Ahimé, che, fatto
Il salutar licore agro e indigesto
Ne le viscere tue, te allor farla
E in casa e fuori e nel teatro e al corso
185 Ruttar plebeiamente il giorno intero!
Ma non attenda già ch'altri lo annunzi.
Gradito ognor benché improvviso, il dolce
Mastro che il tuo bel piò come a lui piace
Modera e guida. Egli all'entrar s'arresti
190 Ritto sul limitare; indi, elevando
Ambe le spalle, qual testudo il collo
Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo
Il mento inchini, e con l'estrema falda
Del piumato cappello il labbro tocchi.
195 E non men di costui facile al letto
Del mio Signor t'inoltra, o tu che addestri
A modular con la flessibil voce
171. Deh V. - 175. del di, deh V. - 176. Dopo questo v. nella prima stesura del-
l aggiunta segue guest' altro Di costor soffrirai barbari e rudi, e quindi il v 181 dice
cosi Le impresse orme indecenti ? - 182. Quel - 183. Tra le, farebbe - 186. Non fia che
attenda già che, Non attenda però ch'altri Io annunci Vv. (B., CI. C) — 188 i piedi
tuoi come a luì pare Guida e corregge - 189. 8i fermi - 103. Inchini -1 mento - 195
Non meno — 196. t'accosta
184. e nel teatro e al corso: secondo riva, e vi si aggiungeva per più con-
r ordine delle cose, e al corso e nel trarielà il maestro, francese, nuova-
«ca(ro; ma 11 verso era men bello e senza mente venuto di Parigi, che con una
la sostenutezza d'accenti utile all'enu- cercaria civilmente scortese, e la cari-
merazione. Né la poesia tien conto di calura perpetua dei suoi moti e discor-
tale esattezza. Piuttosto è notevole la si, mi quadruplicava l'abborrimeuto in-
menzione del teatro: come del corso, nato ch'era in me per codesfarte burat-
cosi del teatro l'aut. doveva in germe tinesca» (Vitt. Alfieri, Fifa, Ep. Il, cap.
vagheggiare già la descrizione, che poi 0). La caricatura de'siioi moti, eccola
CI die solo del primo. ritratta qui dal Parini stupendamente
186-194. Curiosa! Proprio nel 1763, 195-200. Il maestro di canto e quel
l'anno che usciva il Mattino, in Torino di violino. - agitar: dice lo stesso che
prendeva scuola di ballo un giovinetto il vibrar dell' ediz. prima, se non che
quattordicenne che doveva poi scrivere: questo dovè poi sembrare al poeta un
« il ballo... io per natura già lo abbor- po' troppo insolito.
IL MATTINO 13
Soavi canti; e tu, che insegni altrui
Come agitar con maestrevol arco
200 Sul cavo legno armoniose fila.
Né, la squisita a terminar corona
Che segga intorno a te, manchi, o Signore,
Il precettor del tenero idioma
Che da la Senna, de le Grazie madre,
205 Pur ora a sparger di celeste ambrosia
Venne all'Italia nauseata i labbri.
All'apparir di lui l'itale voci
Tronche cedano il campo al lor tiranno;
E a la nova ineffabile armonia
210 De' soprumani accenti, odio ti nasca
Più grande in sen contra a le impure labbra
Ch'osan macchiarse ancor di quel sermone
Onde in Valchiusa fu lodata e pianta
Già la bella Francese, e i culti campi
216 A l'orecchio dei re cantati furo
Lungo il fonte gentil da le bell'acque.
198. Tenori, che mostri — 199. vibrar — 202. Dintorno al letto tuo. Glie intorno
siede a te V. — 205. Or ora — 209. ineffabil melodia V. (B.) — 210. soprumani, ti sorga
,V. (B.) — 211. a le boccile impure V. (B.) — 214. et onde i campi
207-208. rìt.ile voci Tronche ecc.: in- Scisma tV Inghilterra: «Avrebbe graii-
terrotte a un tratto. Forse v'è inchiuso de allegrezza di mostrarsi grato a tanto
il senso, e sarebbe còlto un giusto ca- Principe, a cui per lo devotissimo libro
ratiere, che, cedendo cosi di subito l'ita- de' sette Sagramenti composto, per la
liano al francese, a un più musicale lin- Sedia Apostolicaultimamente difesa, per
guaggio uno sottentra i cui vocaboli la persona sua di mano de' nemici tratta,
senza varietà di piani e sdruccioli suo- egli e tutta la Chiesa sarebber sempre
nano più monotoni e uniformi. obbligatissimi ». E qui nel P. v. n Mez-
211-214. a le impure labbra... Nota il zog. vv. 617-624. — A rorecchio dei re:
contrasto tra l'espressione osan mac- il poema infatti a cui qui si allude fu
chiarse ecc. e la citazione dello squi- stampato la prima volta nel 1516 da Ro-
sito e tersissimo canzoniere del Petrar- ijei-to Stefano in Parigi col titolo La Col-
ca. E nota come qui è opportuna la de- tirazione di Luigi Alamanni al Crl-
signazione di Laura per la bella Fran- ^tianissimo Re Francesco Primo. E
cese, qui ove si rappresenta come si noto nel lib. II, oltre il mezzo, questi
accattino grazie e si subisca tirannia versi:
di là ove già s' inviarono tali tesori. < Per divisar ritorno al buon cultore
214-216. i cnlti rampi, cioè «la colti- Quel che deggia operar : pur ch'a voi piac-
vazione de' campi ». È uso classico que- L'alte orecchie Reali aver intente. |cia
sto del participio in luogo d'un astratto Dopo il Petrarca che fece immortale
seguito da specificazione; né fu alieno una francese, piacque al Parini di no-
dai nostri. Rammenta, tra gl'infiniti minare l'Alamanni (1195-1556) il quale,
esempi latini, una delle iscrizioni poste andando a Parigi quando fu mandato
dal Senato Romano ad Augusto: «OB. a confine alla restaurazione medicea
REM . PVBLICAM . CONSERVATAM . ». del 1530, vi tornò poi e dimorò a lungo.
In italiano vedine un gruppo d'esem- facendosi ammirare là, onde gli eroi
pi nel seguente periodo del Davanzali, pariniani accattano grazie alla lor lin-
14
IL MATTINO
Misere labbra, che temprar nou sanno
Con le galliche grazie il sermon nostro,
Si che men aspro a' dilicati spirti
220 E men barbaro suon fieda gli orecchi !
Or te questa, o Signor, leggiadra schiera
Al novo di trattenga; e di tue voglie
Irresolute ancora or quegli or questi
Con piacevol motteggio il vano adempia,
225 Mentre tu chiedi lor, tra i lenti sorsi
De l'ardente bevanda, a qual cantore
Nel vicin verno si darà la palma
Sovra le scene: o s'egli è il ver che rieda
L'astuta Frine che ben cento folli
230 Milordi rimandò nudi al Tamigi;
O se il brillante danzator Narcisso
ria che ritorni ad agghiacciare i petti
De' vaghi palpitanti e de' mariti.
222. Trattenga al uovo giorno — 223. or l' uuo or l'altro, o quegli o questi V. —
224. Con piacevoli detti il vano occupi, discorso V. — 228. Sopra le scene, e — 232. Tor-
nerà pure — 233. De' palpitanti Italici mariti
gua. E scelse l'Alamanni per la molla
stima eh' ei faceva di quel suo poema,
del quale recava un giudizio che, quan-
tunque assai noto, è bene qui riferire,
sia come il più naturale commento a
questi versi, sia perché in somma il
giudizio è vero, e i sei libri della Col-
tivazione non pur sono la migliore o-
pera dell'illustre fiorentino ma un'opera
in verità nobile ed elegante, cui la poca
arte nel variare il tono del verso e la
esposizione della materia non toglie pre-
gio. Scriveva il Parini: « Luigi Alaman-
ni, scrittore di cose liriche di satire di
tragedie e di poemi, merita spezialmente
d'essere studiato come uno degli ot-
timi. Il suo poema della Coltivazione è
testo insieme della lingua, della poesia
e della letteratura Italiana, ed una delle
opere che è vergogna di non aver mai
letto ». (De' Principj delle Delle Leltere,
■p. 2 e. V: opp. VI). — Lungo il fonte
ecc.: è un verso dell'Alamanni, v 19;
verso che nella ediz. principe già citata
e nella Giuntina 1519 si legge cosi : « Lun-
go il fonte gentil delle belle acque »,
eh' è quanto dire «a Fontainebleii »,
onde alcuni credettero derivare il nome
da fontaine belle eau. Quivi, come tutti
suiino, è un luogo di regie delizie, rin-
novato e arricchito da Francesco I, poi
dà altri re: sta sulla via tra Parigi e
Lione, non lontano dalla Senna.
217. temprar, come il temperare la-
tino, vale « mescolare » e spesso « me-
scolando addolcire ». Cfr. Mezzog. 1059,
e Orazio carm. ii 16, 27 « amara lento
Temperet risu ». Ma fe/Hprar la lingua
d'Italia con grazie francesi, ognuno in-
tende che desiderabile temperamento.
221-221. Or: è congiunzione di valore
illativo: « dunque, pertanto ». — e di tue
Toglie.... 11 vano adempia, con piacevoli
chiacchiere, come quelle specificate ap-
presso di cantanti e di ballerini, occupi
il tempo libero, che precede le tue de-
liberazioni e fatiche.
229-31. Frine.... Narclsso.... : nomi ce-
lebri di una cortigiana e di un vagheg-
gino: qui forse anche la prima sta a
significare specialmente una danzatrice
famosa, di quelle che costavano tanto ai
loro ammiratori. Milordi, inglesismo
opportuno : i gran signori venuti di
fuori.
232. sg. ad agghiacciare: a ingelosire.
— TagliJ ■ì sostantivo: 1 vaghi palpi-
tanti sono gì' innamorati sospettosi o
gelosi. Cfr. Foscolo alla amica risa-
nata str. 3 «... e vegliano Per te in no-
IL MATTINO 16
Cosi, poi che gl'an tempo a' primi albori
235 Del tuo mattili teco scherzato fia,
Non senz' aver licenziato prima
L'ipocrito pudore, e quella schifa
Che le accigliate gelide matrone
Chiaman modestia; alfine, o a lor talento
210 0 da te congedati, escan costoro.
Doman poi ti fia dato o l'altro foi-se
Giorno a' precetti lor porgere orecchio,
Se a' bei momenti tuoi cure minori
• Ozio daranno. A voi, divina schiatta, .
245 Più assai che a noi mortali, il ciel concesse \ i\JÌM.dU<^
Domabili midollo entro al cerèbro,
Si che breve lavor nove scienze
Vale a stamparvi. Inoltre a voi fu dato [i.^^i..
Tal de' sensi e de' nervi e degli spirti l -l ,^^^
250 Moto e struttura, che ad un tempo mille , v .
Penetrar puote e concepir vostr' alma ; ' . .
Cose diverse, e non però turbate
O confuse giammai, ma scevre e chiare
Ne' loro alberghi ricovrarle in mente.
255 II vulgo intanto, a cui non lice il velo
Aprir de' venerabili misteri,
Fie i^ago assai poi che vedrà sovente
Ire e tornar dal tuo palagio i primi
D'arte maestri; e con aperte fauci
260 . Stupefatto berrà le tue sentenze.
234. Poiché cosi gran pezzo. Cosi poi che gran pezzo ai novi V. (B.) — 236. Da te
rimosso in prima V. (B.) — 238. Cui (B.) — 24:1. Doman si potrà poscia, o forse l'altro.
Duman quindi potrai V. — 243. Se meno ch'oggi a te cure dintorno Porranno assedio.
Se men ch'oggi le cure a te dintorno Porranno assedio, Se men ch'oggi di cure a te
dintorno Porr.is3Ì assedio Vv. — 245. Vie più (B.) — 246. Domabile midollo — 247.
basta a stamparvi Novello idee. lavoro unir vi puote Ampio tesor d'ogni scienza ed
arte V. — 252. turbarle O coufuudur giammai — 254. Ne le lor sedi V. (B., CI.) —
255. non dessi — 2J8. o V.
velli pianti Trepide madri e sospettose « sollevare, penetrare, dividere ».
amanti». 259 sg. Questo vair/o richiama quello
234 sg. a' primi albori Del tuo niattìn, in Orazio carm. ii 13, 32 dell'ombre
elle non son quelli del mattino comune; che s'addensano a udire i bellici canti
già è detto a quale alba l'eroe costumi di Alceo: « pugnas et exactos tyrannos
di svegliarsi.- selierzato fla: si sarà Densum humeris bibit aure volgus ».
scherzato cioè conversato piacevolmente Bere per «ascoltare avidamente» è
alla tua maniera. Ma V espressione non classico e famigliare a un tempo; cfr.
par molto bella. Mezzog. 993, e la str. 13 dell' ode l'Edu-
213 sg. .Se a' bei ecc.: se avrai meno cagione: «Ecou l'orecchio intento D'Eà-
da fare che tu non abbia opgi. cide la prole Bevea queste parole », cioè
255 sg. il Ttlo Aprir: più comune Achille gì' iuseguameuti di Chii-one. Qui
16 IL MATTINO
Ma ben vegg'io che le oziose lane
Premer non sai più lungamente, e in vano
Te l'ignavo tepor lusinga e molce;
Però che te più gloriosi affanni
2(35 Aspettan l'ore ad illustrar del giorno.
Su dunque, o voi del primo ordine servi,
Che di nobil signor ministri al fianco
Siete incontaminati, or dunque voi
Al mio divino Achille, al mio Rinaldo
270 L'armi apprestate. — Ed ecco in un baleno
I damigelli a' cenni tuoi star pronti.
Quanto ferve lavoro! Altri ti veste
La serica zimarra, ove disegno
Diramasi chinese: altri, se il chiede
275 Più la stagione, a te le membra copre
Di stese infino al pie tiepide pelli.
Questi al fianco ti adatta il bianco lino,
Che sciorinato poi cada e difenda
I calzonetti ; e quei d'alto curvando
280 II cristallino rostro in su le mani
Ti versa acque odoriate, e da le mani
In limpido bacin sotto le accoglie.
Quale il sapon del redivivo muschio
Olezzante all'intorno, e qual ti porge
2GI . Ma già — 262. Soffrir non puoi (C.) — 264. che or te — 265. a trapassar —
2C6. O voi duuque, Or duuque voi Vv. {la i' Ci., C, la 2* B.) — 267. de gli alti —
271. I tuoi valetti — 272. Già ferve il gran lavoro (B.) — 273. bei fregi Diramansi CUi-
uesi V. (B. ma Giuesi) — 277. cinge V. (B., CI., G.) — 281. onde odorate V.
non aure, ma con aperte fauci, vale a dente de' guerrieri crociati del Tasso :
dire, in linguaggio cotidìano, « a bocca cfr. Ves2)ro 452. — L'armi apprestate :
aperfa ». espressione conveniente agli eroi meii-
2W. le oziose lane: cosi il Petrar- tovati; ironica per l'eroe novello, al
ca «La gola il sonno e le oziose più- quale sono da fornire ben altre armi,
me ». 272. Qnanto ferve lavoro!: ricorda il
264 sg. « Perché più insigni fatiche « fervet opus » di Virgilio, ripetuto e
chiamano te a dare splendore alle varie per le api intorno al miele e per i Fe-
ore della giornata»: avverti che il com- noi intorno alle mura di Cartagine;
parativo pld gloriosi affanni non ha ter- frase classica notissima , che qui si
mine a cui riferirsi se non le oziose la- spende col solito sottile accorgimento.
ne e l'ignavo tepor; de' conaueli scher- 277 sgg. Un grembiule bianco che
ni, più amari, quanto a primo sguardo impedisce che i calzoncini siano spruz-
dissimulati e riposti. — Affanni è nel zati dall'acqua versata da alto,
senso di « cure laboriose, lavori trava- 283 sg. il sapon del rcdirivo mnscliio
gliosi ». Olezzante all'intorno: il sapone, spe-
269 sg. Al mio divino Aclillle, al mio cialmente sciogliendosi nell'acqua, rende
Binaldo: a colui che è per me il divino gli odori naturali, di che fu intriso: ciò
Achille, il Rinaldo; quegli il primo eroe dice benissimo e leggiadramente 1' e-
della maggiore epopea, questi il più ar- spressiorie r^(i,ivivo muscfiio.
IL MATTINO 17
285 II macinato di quell'arbor frutto
Che a Ròdope fu già vaga donzella
E chiama in van sotto mutate spoglie.
Demofoonte ancor, Demofoonte.
L'un di soavi essenze intrisa spugna
290 Onde tergere i denti, e l'altro appresta
Ad imbiancar le guance util licore.
.u. Assai pensasti a te medesmo: or volgi
Le tue cure per poco ad altro obietto
Non indegno di te. Sai che compagna,
295 Con cui partir de la giornata illustre
I travagli e le glorie, il ciel destina
Al giovane Signore.... Impallidisci?
No, non parlo di nozze ; antiquo e vieto
Dottor sarei, se cosi folle io dessi
300 A te consiglio. Di tant' alte doti
Già non orni cosi lo spirto e i membri
Perché in mezzo a la fulgida cai-1-iera
Tu il tuo corso interrompa, e, fuora uscemlo
Di cotesto a ragion detto Bel Mondo,
riOó Intra i severi di famiglia padri
Relegato ti giacci, a nodi avvinto
287. piague V. (CI. C.) — 289. Un V. — 291. imbianchir — 292. Assai, Signore, a
te pensasti V. (CI.) — 293. L'alta mente per poco ad altri obbietti Non men degni di
te V. (B., CI.), L'alta mente C. — 295. Con cui divider possa il lungo poso Di que-
st' inerte vita — 298. Ahi, Ahi di nozze non parlo Vv. — 301. Tu non — 302. a la tua
nobil carriera Sospender debbi '1 corso — 306-3. a un nodo avvinto Di g. in g. pili pe-
noso. Relegato ti giaci, oscuro fatto E ignobil fabbro de la r. u. ; Autore ignobii, Ignobil
fabbro Vv. {l'ultima B.)
285-88. 11 macinato ecc.: la polvere che Filli si appendesse). — Rodope è
di mandorla; che in mandorlo fu mu- monte della Tracia,
tata Fillide, figlia di sitone re della Tra- 290. Onde tergere : Vonde con l' inli-
eia, mentre con impazienza si doleva di nito o col congiuntivo a esprimer fine
Demofoonte, re d'Atene, flgliuol di Teseo fu ripreso meritamente e certo è abii-
e di Fedra, perché egli indugiasse a salo; si ha per corretto quando può,
tornare alle nozze giurate. Senza rifa- come qui, risolversi in un relativo.
rire alcuna delle molte menzioni che 294. Non indegno, cioè bea degno, de-
fanno di questo amore e di questa me- gnissimo: detto per litote o attenua-
tamorfosi i poeti latini, specialmente eie- zione, comunissima agli antichi,
giaci (nelle Heroides d'Ovidio la seconda 297. Interruzione (aposiopèsi o reti-
epistola è di FiUide all'amante lontano, cenza, secondo il termine retorico) molt»
Phyllis Demophoonti), mi contento di ingegnosa; il periodo e il senso pare-
avvertire che il mandorlo era già no- vano avviati a conchiudere « una sposa,
minato per la perifrasi mitologica dal- una consorte ».
l'Alamanni leggiadramente cosi, la Col- 299. Dottor, nel senso etimologico,
tiv. I quasi al mezzo: colui che insegna, maestro (si può raf-
L'arbor gentil che già sostenne in alto frontare p. es. Orazio s'at. i 6, 82): so-
La morta Filli: pra, v. 7, ha detto precettar.
(la qual frase per altro par significare 306. giacci : più us.nto e corretto giac-
Parini — Ai niNi. *
18 IL MATTINO
^ _ Di giorno in giorno più noiosi, e fatto
P^'iift^èf Stallone ignobil de la razza umana.
D'altra parte il marito ahi quanto spiace,
310 E lo stomaco move ai dilicati
Del vostr' Orbe felice abitatori,
Qualor de' semplicetti avoli nostri
Portar osa in ridevole trionfo
La rimbambita fé, la pudicizia,
315 Severi nomi ! E qual non suole a foi*za
Entro a i melati petti eccitar bile
Quando i computi vili del castaido.
Le vendemmie, i ricolti, i pedagoghi
Di que' si dolci suoi bambini altrui
320 Gongolando ricorda, e non vergogna
Di mischiar cotai fole a peregrini
Subietti, a nuove del dir forme, a sciolti
Da volgar fi-en concetti, onde si avviva
De' begli spirti il conversar sublime.
325 Pera dunque chi a te nozze consiglia.
Non tu però senza compagna andrai,
Che tra le fide altrui giovani spose
Una te n' offre inv'iolabil rito
Del Bel Mondo onde tu se' cittadino.
311. leggiadro — 313. ridicolo — 316. In quo' melati seni — 317. calcoli — 324. Da'
begli spirti il vostro amabil Globo — 32tì. Ma non però. Non però tu V. — 327. Che fia
giovane dama e d'altrui sposa — 328. Poiché bì vuole — 329. onde sei parte si cara, se'
parte si altera Vv. {la i' CI., C, la 2' B.)
eia, ma. cfr. v. 644 e la nota: anche qui anche a noi, ma sempre con un'idea
il p. volle forse schivare l'incontro di di nausea o di ripugnanza. È probabile
due a. che al classico orecchio del P. Tespres-
308. L'espressione un po' rudemente sioue qui adoperata avesse anche il
volgare, e però non in tutto soddisfa- senso che ha in latino più generalmente:
cente al p. che tentò senza riuscirvi di a questo verso consuona subito appres-
mutarla in meglio, è in fondo in fondo so il v. 316.
molto opportuna ed efficace. 311. Del vostr' Orbe: non è più una
310. lo stomaco move: eccita la nau- parte del mondo distinta, ma a dirittura
sea. «Quanta movent stomacho fasti- tutto un mondo a sé.
dia», dice Orazio Sat. ii 4, 80 di certe 315. a forza, cioè di necessità. Sfido
sudicerie. Stomachuni movere ha cosi io a non essere stomacati di tali vec-
questo senso, rimasto all'italiano, (cfr. chiumi e tali piccolezze!
Plinio Hist. Nat. XIII 23), come più fre- 319. altrni, è dativo di ricoi-da. Ma
queutemente l'altro di «eccitar l'ira», «è impossibile non sentire la malizia
p. es. in eie. ad Alt. vi 3, 7 « ille mihi delle parole cosi collocate » (M.).
risum magis quam stomachum movere 324. Nella 1' lez., « come Orbe allude
solet»; e tutti rammentano il « Pelidae al circolo, ritrovo, cosi Globo allude a
stomachum» in Orazio car)n. i 6, 6. Nel club; l'estanào apparente l'altro senso
secondo senso dicesi anche stomachum di mondo » (M.). A ogni modo fece bene
tacere, cfr. Cic. ad fam. i 9, 10: la qual a togherlo, anche perché poco innanzi
frase è rimasta con egual significato e' è Orbe e subito dopo Bel Mondo-
IL MATTINO 19
330 Tempo già fu. che il pargoletto Amore
Dato era in guardia al suo fratello Imene;
Tanto le madre lor temea che il cieco
Incauto nume perigliando gisse
Misero e solo per oblique vie,
835 E che, bersaglio agl'indiscreti colpi
Di senza guida e senza freno arciere,
Immaturo al suo fin corresse il sòme
Uman che nato è a dominar la terra.
Quindi la prole mal secura all' altra
340 In cura dato avea, si lor dicendo:
« Ite, o figli, del par; tu più possente
Il dardo scocca; e tu più cauto il reggi
A certa mèta ». Cosi ognor congiunta
Iva la dolce coppia, e in un sol regno
346 E d'un nodo comun l'alme stringea.
^ Allora il chiaro Sol mai sempre uniti
^' Vedea un pastore ed una pastorella
Starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte;
E la suora di lui vedeali poi
350 Uniti ancor nel talamo beato.
Ch'ambo gli amici numi a piene mani,
332. Poiché — 336. arciero — 337. Troppo immaturo al fin — 338. eh' è nato —
339. Perciò. Però V. — 342. il guida — 313. compagna — 345. commun C. strignea V.
(B., CI., C.) — 346. Allora fu che il Sol
330. Qui incoinincia la «favola della e agli altri per ciò che è detto ne' vv.
contesa tra Amore e Imene e della vit- 032-6.
toria d'Amore, primo episodio, e l'un 336. I compimenti posti tra il segna-
de' due più importanti, del Giorno»: caso e il sostantivo hanno 1' ufficio di
si noti «come r amarezza del sarcasmo aggettivi, se aggettivi ci fossero a dir
sia fatta maggiore dal tono artistica- ciò ch'essi dicono. Collocazione clas-
mente manierato della invenzioncella sica felicemente adottata,
mitologica, liorita spontanea dalla moda 342 sg. il reggi A certa mèta: guidalo
del tempo» (Carducci op. cit. II, ii e IH), a un segno determinato e giusto, non
S' intende che il P. ha inventato confor- lasciar che colpisca a caso e alla cieca,
mandosi a dati mitologici noti e rice- Cosi il Manzoni, la Pentecoste, str. ult.:
vuli: che Imene sia, come Amore, 11-
glluolo di venere (benché altri gli at- Reggi il viril proposito
^ .. . ,. j > 1 . Ad infalliDil segno,
tribuiva altra madre); che Amore, in
quanto si chiama ed è Cupido, rappre- 315. eomun: non commun, ortogralia
senti la passione cieca, veemente, vo- latina; V uso nostro in comune e co-
lubile, e Imene in vece presieda alla modo e derivati vuole un m solo,
santità delle nozze e alla severità del 319. la snora di Ini: la Luna, eh' è
rito. Diana o PhoeOe, sorella del Sole, Phoe-
335. indiscreti colpi, cioè scagliati bus.
senza discernimento, alla cieca. 351 sg. (;h'a:iil)o : il che è il relativo
339. la prole mal secnra all'altra, cioè oggetto; nota la classica costruzione del
Amore a Imene: pericoloso quello à sé verbo spargere, —a piene mani... spar-
20 IL MATTINO
Gareggiando, spargean di gigli e rose.
Ma che non puote anco in divini petti,
Se mai s'accende ambizion d'impero?
355 Crebber l'ali ad Amore a poco a poco
E la forza con esse, ed è la forza
Unica e sola del regnar maestra:
Onde a brev' aere prima, indi securo
A vie maggior fidossi, e fiero alfine
360 Enti'ò nell'alto, e il grande arco crollando
E il capo, risonar fece a quel moto
Il duro acciar che a tergo la farètra
Gli empie ; e gridò : « Solo regnar vogl' io ».
Disse, e vòlto a la madre, « Amore adunijiie,
365 II più possente infra gli Dei, il primo
Di Citerea figliuol, ricever leggi,
E dal minor german ricever leggi.
Vile alunno, anzi servo? Or dunque Amore
^ Non oserà, fuor ch'una unica volta,
370 Ferire un'alma, come questo schifo
Da me pur chiede; e non potrò giammai,
353. In divino petto — 354. di regno — 355. ad Amor, crebbe l'ardire V. omet-
tendo poi i due versi seguenti (B., CI., C.) — 357. Anco sul numi a dominar V.
358. Perciò a poc' aere prima, indi piti ardito — 362. la farètra a tergo — 370. Pie-
dere V. — 371. Da me vorrebbe
geandiglglle rosetfrasee imagine fatta bisognerà richiamare il Febo Apollo a
comune; deriva priucipalmeute da un priucipio deìV Iliade, v. 44 sgg., che
luogo de' più celebrati dell' Aen. VI 884: scende dall' Olimpo
« manibus date lilla plenis ».
355-60. Questo luogo richiama l'aqui- '=°" ^^ ^'^""^ * '« «P»"« « "'"' ''* ben chiusa
lotto di Orazio, carm. IV 4, 1-12, che pri- ™. . , , j. „ [tareu-a.
, ' ., , . ' . . . Tinnirono que' dardi sugli omeri del ve-
rna esce dal nido trepidando, poi si ■ f ■ ■ t
arrischia al volo, poi s'avventa agli as- com' egli si movea.
salti. — a brev'aere : a piccolo volo, ma
Cora' è squisitamente detto! : a vie mag- 366 sg. ritever leggi, E dal minor ger-
gior: ad aere, cioè a volo, sempre più man ricever leggi...? efficacissima la ri-
alto: fldossi: lat. se credidit. Mirabil- 'letizione in tìne de' due versi vicini,
mente è ritratta l'ampiezza del volo e la non che l' uso ellittico dell' infinito, pro-
sicura potenza del volatore nel V. Entrò prlo di esclamazioni interrogative mol-
nell'alto e il grande arco crollando..., to commosse. Basti citare a raffronto
cosi largo e solenne, e felicemente to- il « Mene incepto desistere victam Nec
nato per quattro volte sulla vocale più posse Italia Teucrorum avertere re-
sonora a. geni...!», Aen. i 37, e Alfieri, Saul r 2,
360-'63. A quel crollo, a quella scossa 1.16, « Tòrrai dal capo la corona mia? »
ch'ei die con l'arco e con la testa (ve- K ognuno sente che quest' uso, coni' è
rissimo e vivissimo movimento di chi degli scrittori e classico, cosi è vivo e
si ribella), le frecce metalliche, di che frequente nel linguaggio comune,
ha piena dietro la faretra, sbattute met- 370. schifo : schifiltoso, che ha ri-
tono un suono. Per la imagine, appena guardi paurosi e ripugnanze esagerate.
IL MATTINO
21
Da poi che un laccio io strinsi, anco disciorlo
A mio talento, e se m'aggrada, un altro
Stringerne ancora ? E lascerò pur eh' egli
375 Di suoi unguenti impeci a me i miei dardi,
Perchè men velenosi e men crudeli
Scendano ai petti? Or via, perché non togli
A me da le mie man quest'arco, e queste
Armi da le mie spalle, e ignudo lasci,
380 Quasi rifiuto degli Dei, Cupido?
Oh il bel viver che fia, quando tu solo
Regni in mio loco ! Oh il bel vederti, lasso !
Studiarti a tórre da le languid' alme
La stancliezza e '1 fastidio e spander gelo
385 Di foco in vece! Or, genitrice, intendi:
*" Vaglio, e vo' regnar solo. A tuo piacere
Tra noi parti l'impero, ond'io con teco
. Abbia omai pace, e in compagnia d'Imene
Me non veggan mai più le umane genti »,
390 Amor qui tacque, e minaccioso in atto.
Parve all'idalia dea chieder risposta.
Ella tenta placarlo, e preghi e pianti
372. Dappoi ch'io strinsi un laccio, anco slegarlo. Da poi ch'io strinsi un laccio,
anco disciorlo V. (B.) — 373. e qualor parrai, un altro — 375. Impece V. — 381. qualor
— 389. troviu — 390. qui tacque Amore — 392. e pianti e preghi
375. Ui suoi nagncnli impeci a me i
miei dardi : verso che per l'abbondanza
(Ielle vocali e degli accenti e delle eli-
sioni riesce lungo, e lia dell'attaccatic-
cio della pece. — Impeci non sarebbe il
verbo proprio per nngnenti ; ma per ciò
appunto rende con più nuova efficacia
il dispregio di chi parla. Il simile puoi
notare in Orazio e. Il 2, 4 sg. « arma
Nondum expiatis uncta cruoribus ». —
Del resto questo verso e il seguente fan-
no ricordare che « non giova empiastro
a piaga d' amore »>.
386. Taglio, cioè « posso, ho forze da
ciò », ma è più eletto : oltreché a orec-
chio avvezzo a" classici antichi viene
eflBcacia dalle due parole che comin-
ciano per la stessa consonante : vaglio
e vo\
385. sg. In compagnia d'Imene Me non
reggan mal pìd le nmane genti: impor-
tanza somma ha questa conchiusione
per l'intento dell'episodio. Non bastava
a questo che Amore si francasse da
Imene, bisognava che se ne dipartisse
inconciliabilmente. Sicché Amore non
sarà mai più dov'è un marito: quindi
ha sua ragione e suo luogo il cavaiier
servente e il cicisbeo.
390. minaccioso ^i atto : vai quanto
« in atteggiamento minaccioso; atteg-
giato a minaccia » ; ma minaccioso si
riferisce alla persona e accorda col sog-
getto. Cfr. Alfieri, Virginia v 4, 10 «in
atto minacciosi »; Leopardi, Consalvo
59, « Stette sospesa e pensierosa in atto
La bellissima donna » e Sopra un bas-
sorilievo ant. sep. 8 « Asciutto il ciglio
ed animosa in atto ». È modo simile a
quello, si caro e famigliare al Petrar-
ca, di in vista con innanzi l'aggettivo.
391. alI'idRlia dea: cosi è detta Ve-
nere da un monte dell'isola di Cipro,
della quale è signora (diva potens Cy-
pri).
392 Sg. preghi e pianti Sparge : non
v'è ombra di zeugma; poiché spargere,
come in lat. fundere, si dice elegante-
22 IL MATTINO
Sparge, ma in van; tal ch'ai due figli vòlta,
Con questo dir pose al contender fine:
395 « Poi che nulla tra voi pace esser puote,
Si dividano i regni. E perché l'uno
Sia da l'altro fratello ognor disgiunto,
Sien diversi tra voi e il tempo e l'opra.
Tu che, di strali altero, a fren non cedi,
400 L'alme ferisci, e tutto il giorno impera;
E tu che di fior placidi hai corona,
Le salme accoppia, e con l'ardente face
«.^ Regna la notte ». Or quindi, almo Signore,
Venne il rito gentil, che ai freddi sposi
405 Le tenebre concede e de le spose
Le caste membra, e a voi, beata gente
E di più nobil mondo, il cor di queste
E il dominio del di largo dispensa.
Fors'anco un di più liberal confine
410 Vostri diritti avran, se Amor più forte
Nuove province al suo germano usurpa.
Dunque ascolta i miei detti, e meco apprendi
Quai tu deggia il mattin cure a la bella
Che, spontanea o pregata, a te si diede
415 In tua dama quel di lieto che a fida
303. ma in vano, onde a' due — 395. Poiché — 397. germano — 398. Sieno tra voi
diversi e '1 tempo — 402. e coli' — 403. Ora di qui, Signore — 401. a' freddi — 407
Di più nobile — 408. destina. (CI., C.) permette V. (B.) — 411. Qualche provincia —
412 sgg. Cosi giova sperar. Tu volgi intanto A' miei versi l'orecchio, et odi or quale
Cura al mattin tu debbi aver di lei Che, spontanea o pregata, a te donosse Per tua
dama. Cosi giova sperare. Or volgi intanto A' miei versi l'orecchio, e meco apprendi
Quai tu deggia il mattin cure a colei; Sperar giova cosi. Tu intanto apprendi quai tu
d. il m. e. a la b. Che, sp. o pr., a te donosse Vv. Cosi giova sperare. Or meco ap-
prendi B., e C. ma sperar
mente anche delle preghiere, massime cidi, perché propri di chi è e vive tran-
quando sono, come qui, in vano : cfr. quillo.
Petrarca canz. Verglìie bella, v. 79 408. Largo dispensa: prima scrisse
. vergine, quante lagrime ho già sparte, laì^go destina, nota desinenza petrar-
Quante lusinghe e quanti preghi in- chesca, son. « Grazie eh' a pochi il ciel
damo ». largo destina ».
395. nulla: aggettivo; latinismo fre- 414. a te si diede In tua dama: cioè
quentissirao, per « nessuna »; cfr. Mez- « per..., come..., in luogo di tua dama »;
zoff. V. 28, 261. «Nulla pace è fra lor, elegantissimo uso dell'in,
nullo riguardo», è tradotto dal Benli- 415-'18. quel di lieto che a Ada Car-
voglio il « pax nulla fidesque » di Stazio ta ecc.: non è finzione o esagerazione
Theb. VI 431. poetica, ma storia. Cfr. Carducci, op. e
401. di fior placidi: in euritmica an- 1. cit. :« ...l'ozio portava la corruzione,
titesi a di strali altero eh' è due versi che più sfacciata svelavasi nella falsità
sopra. Anche in Ovidio, Her. vi 41, e nel disfacimento della famiglia. Nel-
« sertis tempora vinctus Hymen ». Pia- l'alta società il cavalier servente, sti-
IL MATTINO 23
Carta, né senza testimoni, furo
A vicenda commessi i patti santi
E le condizion del caro nodo.
Già la dama gentile i vaghi rai
420 Al novo giorno aperse, e suo primiero
Pensier fu dove teco ir più convenga -
A vegliar questa sera, e gravemente
Consultò con lo sposo a lei vicino,
A baciarle la man pur dianzi ammesso.
425 L'ora è questa, o Signor, che il fido servo
E il più accorto de' tuoi voli al palagio
Di lei chiedendo se tranquilli sonni
Dormio la notte, e se d'imagin liete
Le fu Morfeo cortese. E ver che ieri
430 Sera tu l'ammirasti in viso tinta
Di freschissime rose, e più che mai
Viva e snella balzar teco del cocchio,
E la vigile tua mano per vezzo
Ricusar sorridendo, allor che l'alte
4LÌ5 Scale sali del maritale albergo.
Ma ciò non basti ad acquetarti, e mai
Non obliar si giusti uffici. Ahi quanti
416. non senza — 419. gentil de' cui bei lacci Godi avvinto sembrar le chiare luci
Col — 420. e il su V. (01., C.) — 421. aggia più tosto V. (B., CI., C.) — 422 sgg. e con-
sultonne Contegnosa lo sposo il qual pur dianzi Fu la mano a baciarle in stanza am-
messo. Lo sposo consultonne a lei vicino O la mano a baciarle in stanza ammesso V.
(B., CI., C.) — 425. Or dunque è tempo che il più. Ora è tempo, o Signor, V. — 426.
tra i tuoi mandi — 428. Le concesse la notte, e di bei sogni; Dormio la n. e se d'i.
grate Vv. {la 2* B , CI., C.) — 430. Al partir e Al tornar l'ammirasti Vv. {la 2' B.,
CI., C.) — 432. Vivace e lieta uscio. Lieta e snella con te balzò dal V. — 434. Ricusò
pulato e fin designato dai contratti nu- riusci né prima né poi di trovarla per-
ziali... ». Oh i patti santi e il caro nodo ! fetta.
419. i Taglii rai: frase divenuta arca- 426. sg. voli... chiedendo: cioè « a chic-
dica e melodrammatica, quanto e più dere »; schiettissiuia eleganza,
che i bei lumi, ;eiMCi e simili. Alla ca- 4i8. Dormio: per «donni»; forma
ricatura ironica si addice. invecchiala e inutile, tranne in line di
422-24. e griiTemente ecc.: impossi- verso. — se d' imasrin grate Le fu Mor-
bile a imaginare sarcasmo più amaro, feo cortese : di Morfeo (J/007 tù^-) è pro-
e in espressioni più composte; la mo- pi-ietà assumere e presentare ai doi--
glie elle, appena desta, con la maggior menti ligure e {ovme {uoQipdg). Cfr. l'au-
serietcì chiede il parere del marito, che notazione al v. 91.
le è vicino in quanto ha avuto or ora 429-35. È ver ecc. : nota l'arte e l'ef-
per grazia d'essere introdotto al ba- fetto de' chiaroscuri: tra i sarcasmi e
clamano, doV ella possa con più diletto lo .sdegno spicca pur bene questo qua-
andare la sera a veglia con l'amico! d retto fresco e vivace. Il che non toglie
Quanto all' espressione, per altro, puoi che la frase in viso tinta sia maliziosa,
vedere che il p. la mollificò più volte, 437. si giusti ulllci: doveri. Latinismo
e forse fu de' pochi casi che non gli squisito. — Ahi (inanti Geni malvagi ecc. ;
21 IL MATTINO
Geni malvagi per la notte opaca
Godono uscire ed empier di perigli
440 La placida quiete de' mortali !
Potria, tolgalo il cielo! il picciol cane
Con latrati improvvisi i cari sogni
Troncar de la tua dama, ond' ella scossa
Da subito capriccio a ranuiccHiarsi
445 Astretta fosse, di sudor gelato
E la fronte bagnando e il guancial moli 3.
Anco potria colui che si de' tristi
Come de' lieti sogni è genitore
Crearle in mente di contrari obietti
450 In un congiunti orribile chimera,
Onde agitata in ansioso aflfanno
Gridar tentasse, e non però potesse
Aprire ai gridi tra le fauci il varco.
Sovente ancor ne la passata sera
455 La rapita dal gioco aurea moneta.
Non men che al cavalier, suole a la dama
Lunga vigilia preparar: talora
Nobile invidia de la bella amica
438. tra '1 notturno orrore, fra l'orror notturno V. — 440. de' viventi V. (B.) —
441. Poria V. (B., CI., C.) — 442. Con latrato improvviso i cari sonni V. (B., anche CI.
e C. via sogni) — 443. TroLcare a — 444. ranniccbiarse V. (CI., C.) — 447. Come al
t;. 44i — 449. di diverse idee In un congiunte, di nemiclie V. — 451. Tal che agitata
e V. (B., CI., C.) — 454. ne la trascorsa, de la passata V. — 455. La perduta tra '1
gioco — 457. cagionar »
è uno Sgomento che tien del comico. Qui 419 sg. di contrari obietti In db con-
ia satira sorriiie senza acerbità, di tra giunti orribile cliimera: chimera è di-
la fosca pennellata che al p. è piaciuto venuto quasi un uome comuae di stra-
iuterporre. —notte opaca è di Virgilio. nezza fantastica e vana; ma qui il P.
411. Potn'a: poi pensò paria, ch'è in lo adopera con proprietà grande a e-
Dante e nel Petrarca (p. es. Canz. Ghia- sprimere uno spauracchio accozzato di
re fresche e dolci acque st. 2 v. li) e parti repugnanti, quali sono spesso i
in altri: ma ora è disusato. fantasmi sognati, e qual era il mostro
441. Da Slibito capriccio: qui per «rac- mitologico (jj/jaiga), leonino caprino e
capriccio, bi-ivido di spavento improv- serpentino, nato di Tifone e di Echidna,
viso». e ucciso da Bellerofonte : Iliade x 521.
446. il gnancial molle: soflTice, mor- 454 sg. ne la passata sera La rapita
bido. dal gioco aurea moneta: cioè «l'aver
447 sg. colui che si de' tristi Come de' perso al gioco nella sera innanzi »; Te-
lii'ti sogni è genitore : non è Morfeo, spressione è squisita, ma la coUocazio-
ma il Sonno, durante il quale tutti i so- ne del primo compimento un po' sfor-
gai si generano buoni e cattivi. Nel zata.
passo cit. del lib. XI delle Memmor/'05i, 457. Lunga Tlgilia: in volgare «ve-
certo ben noto al P., Morfeo è nominato glia », cioè insonnia. — preparar: come la
insieme con altri fratelli; il Sonno lo causa prepara l'effetto; quindi « cagin-
chiama a sé « e populo natorum mille uare ».
guorum », 458. Nobile inridia : naturalmente.
IL MATTINO ' 25
Vagheggiata da molti, e talor breve
460 Gelosia n' è cagione. A questo aggiugni
Gl'importuni mariti, i quali iu mente
Ravvolgendosi ancor le viete usanze,
Poi che cessero ad altri il giorno, quasi
Abbian fatto gran cosa, aman d'Imene
465 Con superstizion serbare i dritti
E de l'ombra notturna esser tiranni,
Non seuz' affanno de le caste spose,
Ch'indi preveggon tra pochi anni il fiore
De la fresca beltade a sé rapirsi.
470 Or dunque ammaestrato a quali e quanti
Miseri casi espor soglia il notturno
Orror Is dame, tu non esser lento,
Signore, a chieder de la tua novelle.
Mentre che il fido messagger sen riede, r
475 Magnanimo Signor, tu non starai
Ozioso però. Nel campo amato
Pur in questo momento il buon cultore
Suda, e incallisce al vomere la mano,
Lieto che i suoi sudor ti fruttin poi
480 Dorati cocchi e peregrine mense.
Ora per te l'industre artier sta fiso
Allo scarpello, all'asce, al subbio, all'ago :
Ed ora in tuo favor contende o veglia
Il ministro di Temi. Ecco te pure,
460. arroge V. (CI., C.) — 461. a cui nel capo, i quai nel capo Vv. {adottarono la
2* CI. e C.) — 464. Aggiau fatto gran cose V. — 466. dell'ombre notturne — 467. Ahi
con qual noia V. (B., CI., C.) — 468. fra non molto V. (CI., C.) — 469. Di lor f. b. a
sé rapito V. (B., CI., C.) — 474. si attende (B., C.) — 476. Nel dolce campo (CI.) —
480. pellegrine V. — 483. a tuo
r aggiunto è ironico; che invidia nobile 481 sg. l'industre artier : espressione
non può darsi se non per nobile og- generale, che s' individua nel v. sg. 6e-
getto. coudo le varie arti, designate dai loro
460 sg. in mente RaTTOlgendosi: < a- strumenti. — asce, o ascia, deMegnaiuo-
vendo ancora per il capo »; ricorda le li ; s:ibbio (il legno rotondo intorno a
espressioni latine ♦ in pectore versans, cui si ravvolge la tela), de' tessitori,
corde volutans ». 483 sg. contende o veglia li ministro
46I-"69. aman d' Inipnc Con snpersti- di Temi: il contendere è proprio del-
zYon ecc.: chiaro il senso e il sarcasmo, l'avvocato che tratta e perora le cause ;
471 sg. 11 notturno Orror: «l'ombra, il veyliare, del giudice che deve curare
la tenebra della notte ». - l'osservanza della legge; all' uno e al-
474. Mentre clie... sen rleJe : cioè nel V altro può esser comune la perifrasi
tempo che il servo impiega tra andare di ministri di Temi (che altrove nel P.
e tornare. La lez. si attende era men designa i giudici solo, il bisogno v. 55).
felice, perché troppo geneiica essendo Può anche darsi che qui il poeta pen-
un solo l'aspettante. sasse solo all' avvocato, a quel forense
[L MATTINO
485
Te la toilette attende: ivi i bei pregi
De la natura accrescerai con l'arte;
Si che oggi, uscendo, del beante aspetto
Beneficar potrai le genti, e grato
Ricompensar di sue fatiche il mondo.
Ogni cosa è già pronta. All' un de' lati
Crepitar s'odon le fiammanti brage.
Ove si scalda industrioso e vario
Di ferri arnese a moderar del fronte
Gl'indocili capei. Stuolo d'Amori
Invisibil sul foco agita i vanni,
E \<ev entro vi soffia, alto gonfiando
Ambe le gote. Altri di lor v'appressa
Pauroso la destra, e prestamente
Ne rapisce un de' ferri: altri rapito
485. La tavoletta or chiama, La tavoletta attende, Te la teletta aH«n-i^ v ,.
la /• B., la 2- C, la «• CI.) - 486. illustrerai V. (CI ) _ 487 o„h^" Vv. «en««
490
496
di cui sopra al v. 165 sgg.: a cui anche
il veglia può convenirsi, in quanto stu-
dia le cause e coglie l' occasione di mo-
ver le liti.
485. la toilette: le due varianti pen-
sate in appresso per fare italiana la
parola sono entrambe poco felici, e inol-
tre tavoletta costringe a uscir di luogo
il te cosi opportunamente ripetuto a
principio del verso, e teletta fa con esso
cattivo suono. Per queste ragioni, e
perché la parola è rimasta nelia par-
lata comune, ho seguita la lezione ori-
ginale, non ostante che il trovar qui
ai)presso v. 513 la tavoletta dovesse
forse far ritenere questa per la forma
che in ultimo piacque più, o meno di-
spiacque, al P. (certo etimologicam. è
altra cosa da toilette) : e avverti che
tavoletta del v. 513 ha un significalo
più ristretto e preciso. Bene il De Ca-
stro citò la perifrasi di toilette nel Monti,
Feron. m 438:
. . . sacra
Alla beltade, inaccessibil ara
Che non hai nome iu cielo e tra' mortali
Da barbarico accento lo traesti
Cui le Muse abborrir.
4S7. beante aspetto, che rende felice
altrui.
492 sgg. industrioso e rario m ferri
arnese, come a dire un apparecchio di
svariati ferri ingegnosi; che arnese
qui ha senso collettivo (cfr. h^niePurg.
XXIX, 52). Sotto, al V. 619, ritroveremo
ilplur.5r?i arnesi. — a moderar ecc., cioè
atti e fatti per mettere e tenere a freno
i capelli che naturalmente si scompou
gono (indocili). — del fronte: rro)ìte ma-
schile, alla francese, è raro ne' migliori ;
il I'. l'ha anche altrove, il v. 130 e là
A'. 518. Il Caro En. xn 371 « chino il
fronte e grave il ciglio ».
498 sgg. prestamente Ne rapisce un de'
ferri: l'avverbio rinforza il verbo eh' è
nell'accezione del rapere latino, « pren-
dere e portar via in fretta .. É anche
nel Leopardi, La Ginestra260: « desta i
ligliuoli, Desta la moglie in fretta e via,
K'Hi quanto Di lor cose rapir posson,
fuggendo... » — altri rapito, cioè il fer-
ro preso via dalle brage un altro Amo-
rino lo esperimenta (tenta) appressan-
dolo alla punta della sua ala ma senza
toccarla {sospende ndol), per vedere che
non sia troppo caldo, del che sarebbe
indizio r aggrinzarsi o il fumare della
penna. Nel rapito (non solo per il senso
ma per 1' uso cosi fatto del participio)
e nel tenta sou due squisiti latinismi.
— fu:i:c, vedi la n. al v. 107.
IL MATTINO
27
500
Tenta com'arda in su l'estrema cima
Sospendendo! de l'ala, e cauto attende
Pur se la piuma si contragga o fumé :
Altri un altro ne scote, e de le ceneri
Filigginose il ripulisce e terge.
Tali a le vampe dell'etnea fucina,
Sorridente la madre, i vaghi Amori
Eran ministri all' ingegnoso fabbro ,
E sotto a i colpi del martel frattanto
L'elmo sorgea del fondator latino.
A l'altro lato con la man rosata
Como e di fiori inghirlandato il crine
I bissi scopre ove d'idalii arredi
510. con le man rosate V. (B.) — 511. Como, di C. il capo V.
505
510
(B.)
503 sg. ceneri Filigginose: lo stesso
che « fuligginose », cioè nereggianti.
Alamanni, Coltiv. v 135: «Dell'arden-
te camin l' oscura ed atra Filigginosa
polve ».
505-'09. Dal v. 494 al 504 era una spe-
cie di schietto e aggraziatissimo Wat-
teau. Qui entra nella composizione l'ele-
mento sarcastico. Il P.,nell'introdurre la
comparazione, ebbe in mente l'oplopèa
cU'è nel 1. vili dell' Eneide, cioè la fabbri-
cizione dell'armi d'Enea, fatte, per pre-
ghiera di Venere, da Vulcano; della quale
armatura il pezzo più maraviglioso era
lo scudo tutto profeticamente istoriato,
ma Virgilio anche menziona l' elmo,
V. 620 « terribilem cristis galeam flam-
masque vomentem ». Il P., desunta di là
l'imagine, foggia poi la scena a modo
suo e secondo la sua opportunità, so-
stituendo p. es. ministri a Vulcano i
vaghi Amori, dove in Virgilio sono gli
Aetnaei Cycloiìes, v. 410. — L' elmo sor-
gea: veniva fuori, prendeva forma. —
rie] fondator latino: di colui al quale
loccò «Romanamcondere gentem» Ae«.
1 33, che qui latino secondo l'uso nostro
vale per eccellenza romano; è in som-
ma il « pater Aeneas Romauae stirpis
origo », Aen. xii 16G. Rammento del Pe-
trarca, Tr. della Fama ì in f., «Vidi
'1 gran fondator », ma ivi è Romolo, il
condìtor Urbis.
511. Como: lo l'itroveremo nel Mez-
zog. V. 814 presso le mense, eh' è più il
suo luogo. Qui il p. lo indusse alquanto
liberamente, forse, come altri suppose,
avvicinandolo al lat. camere (ordinare
e ornare), ma sarebbe avvicinamento a
orecchio. A'o^/io? è il banchetto (cfr. co-
missari e comissatio). Puoi vedere più
volte Como tra i soggetti proposti dal
P. per ornati o pitture di palazzi nei
Programmi di belle arti, opp. v pag. 30
sg., 83, 92 sg. : vi è detto « dio dei con-
viti » 0 «delle feste e dei conviti». Nel
secondo dei citati luoghi è divisato cosi
(ed è la descrizione più lunga e non
senza rapporto a questo passo): « Como
avrà la figura d'un bel giovinetto dell'età
di quindici in sedici anni. Starà a sedere
quasi in atto d' esser vinto dal sonno :
appoggerà la sinistra mano ad un'asta:
e lascerà negligentemente cadere la de-
stra, nella quale terrà una fiaccola ac-
cesa. Avrà un abito semplice, legato
alla cintura, e che non arrivi fino al
ginocchio. I capelli di lui saranno cion-
dolanti graziosamente, come se fossero
sparsi d'olii odoriferi : e sul capo avrà
come un vago berrettino formato di
fiori ■». La qual descrizione mi par de-
sunta iu gran parte da quella di Filo-
strato, Imag. i 2; ivi il giovinetto dio
Como (e più veramente è una perso-
nificazione che una divinità) è « rosso
dal vino e addormentato in piedi per
l' ebbrezza » : kcS.mo^ in fatti è proprio
la gozzoviglia.
512. idalii arredi : cioè che servono
alla bellezza o, eh' è lo stesso, a Venere,
che già udimmo chiamarsi Malia dea,
28 IL MATTINO
Almo tesor la tavoletta espone.
Ivi e nappi eleganti e di canori
615 Cigni morbide piume, ivi raccolti
Di lucide odorate onde vapori,
Ivi di polvi fuggitive al tatto
Color diversi ad imitar d'Apollo
L'aurato biondo o il biondo cenerino
520 Che de le sacre Muse in su le spalle
Casca ondeggiando tenero e gentile.
Che se a nobile eroe le fresche labbra
Repentino spirar di rigid'aura
Offese alquanto, v'è stemprato il seme
525 De la fredda cucùrbita : e se mai
Pallidetto ei si scorga, è pronto all'uopo,
Arcano a gli altri eroi, vago cinabro.
Né, quando a un semideo spuntar sul volto
Pastala temeraria osa pur fosse,
530 Multiforme di nei copia vi manca
Ond' ei l' asconda in sul momento, ed esca
Più periglioso a saettar coi guardi
Le belle inavvedute; a guerrier pari
518 8gg. Color diversi, o se imitar nel crine D'ApolUne tu vuoi l'aurato biondo,
O il biondo cenerin che de le Muse Scende a le spalle tenero e gentile (Questa var.
seguirono B. e C. ma il 1° legge si vuol per tu vuoi). Color diversi, o se l'aurato biondo
Ami d'Apollo, o se il cinereo biondo Vuoi de le Muse assomigliar nel crine {Questa CI.)
— 522. Che se stamane a te, E se fia mai che a te Vv. (la 1' C., la 2' CI.) — 524 Of-
fenda V. (CI.) — 526. ti scorgi V. (CI. Il C. ei ti scorga ma dev'essere errore di slampa)
— 528. Né quando al naso tuo spuntare o al fronte V. (CI.) — 531. Onde la celi V.
(15., CI., C.)
V, 374. E questi arredi sono sùbito ag- 531. Ond' ci 1" asconda, coi quali nei
presso specificati. egli possa dissimulare e coprire il pic-
514-'18. Sulla (0(7e«e sono le boccette colo male,
belle e variopinte, le spazzoline e i più- 533-'36. Le belle inaTrednte, che non
mini o nappette morbide, le acque odo- si guardano, che non stanno sulle di-
rose, le polveri. Nota le squisite ma- fese. — a gnerrier pari Che ecc. È un
niere : di polvi... Color diversi anziché motivo epico ripreso in rapido e feli-
potvi di color diversi, e fuggitive al ce compendio. Ricorda Enea che, me-
tatto per tenuissime, che sfuggono al dicalo prodigiosamente della ferita di
tatto, quasi impalpabili. freccia, «avidus pugnae suras incluse-
518-'21. Buone anche le due varianti, rat auro Hinc atque bine oditque mo-
ahneno la prima: più franca tuttavia e ras... » e poi « portis sese extuht ingens
originale mi suona la lezione della stani- Telum immane manu quatiens... », Aen.
pa. E inoltre la classica sintassi o se. ., xii 430 e 411. 1 quali particolari il Tasso,
o se..., di cui V. la n. al v. 48, meglio G. ;. xi 75 sgg., rifacendo la scena tra-
è se non si renda stucchevole per troppa duce :
frequenza. Avido di battaglia il pio Goffredo
524. il seme De la fredda cnciSrbita, qì^ ne l'ostro le gambe avvolge e serra,
cioè della zucca: «pomata di semi- e l'asta crolla smisurata e imbraccia
freddi » (Cantò). il già deposto scudo e l'elmo allaccia.
IL MATTINO
29
635
540
545
Che, già poste le bende a la ferita,
Più glorioso e furibondo insieme
Sbaragliando le schiere entra nel folto.
Ma già tre volte e quattro il mio Signore
Velocemente il gabinetto scorse
Col crin discìolto e su gli òmeri sparso,
Quale a Cuma solea l'orribil maga,
Quando agitata dal possente nume
Vaticinar s'udia. Cosi dal capo
Evaporar lasciò de gli oli sparsi
Il nocivo fermento e de le polvi
Che roder gli potrien la molle ente
O d'atroci emicranie a lui lo spirto
537 sg. Ma già velocemente il m. S. Tre volte e quattro il g. se. V. (B., CI.) —
546 sgg. O d'atroce emicrania a lui le tempie Trafigger anco. Or egli avvolto in lino
Candido siede. Avanti a lui lo specchio Altero sembra di raccòr nel seno etc... O di
bel crin volubile architetto. Mille d'intorno a lui volano odori Che etc... L'auretta
dolce, intorno ai vasi
Usci dal chiuso vallo, e si converse
Con mille dietro a la città percossa.
Segue ancora da Virgilio:
E lontano appressar le genti avverse
D'alto il miraro e corse lor per 1' ossa
Un tremor freddo e strinse il sangue in
[gelo.
Poi di suo il Tasso con splendore ome-
rico:
Egli alzò tre fiate il grido al cielo.
Conosce il popol suo I' altera voce
E '1 grido eccitator de la battaglia...
Pili glorioso e foribondo insieme: il Tasso,
ivi st. 78 :
Qui disdegnoso giunge e minacciante,
Chiuso ne l'arme, il Capitan di Francia.
537 sg. tre Tolte e quattro, è il virgi-
liano terque quaterque, per dire più e
più volte, e sta meglio cosi in evidenza
nel primo verso che non trasponendolo
col velocemente com' è segnato nelle
varianti.
539. Abbi l'orecchio alla mirabile va-
rietà del numero e come i suoni e gli
accenti secondino mirabilmente le inia-
gini e i momenti tutti della scena.
540-''12. Qnale a Cuma ecc. Virgilio,
VI 77 sgg. : « immanis in antro Bacclia-
tur vates, magnum si pectore possit
Excussisse deum », ma, per quanto ella
s'agiti e s'aggiri, il dio che l'invasala
costringe a vaticinare. Sulla eflBcacia
ingegnosa di accostare cosi la Sibilla
cumaua e il Giovin signore non biso-
gnano parole e già qualcuna è nella
prefazione. — l'orribil maga: V orribile
che parve « eccessivo » al Cantù non
credo che sia, e non già perché « il poeta
v' attaccasse un' idea men trista della
comune » ma perché in fatti classica-
mente può significare un terrore o spa-
vento sacro senza l' idea inchiusa di
mostruoso e ripugnante. E orribile ap-
parisce veramente nell' accesso del fu-
ror profetico, quando « rabie fera corda
tument» o 1' «os rabidum » si apre al
vaticinio, Virg. 1. e. E puoi vedere an-
che nel lib. v di Lucano, e altrove.
546-'58. La variante nell' insieme è da
preferire, specialmente per la mutazione
fatta nel collocare due gruppi di versi,
secondo apparisce dal raffronto delle due
lezioni, sicché, volta che sia la parola col '
v. 558 al parrucchiere, il p. non se ne
diparte e seguita nei versi successivi a
parlargli. In particolare, il p. consegui
migliore incontro di vocali al v. 546 to-
gliendo via il primitivo d' atroce emi-
crania a lui, e felice fu, credo, non
meno che ardito a dire lo spirto ov' era
le tempie, esprimendo un dolore pene-
trante che non solo affligge una parte
del corpo ma tutte mortifica le attività
30
IL MATTINO
Trafigger lungamente. Or ecco avvolto
Tutto in candidi lini a la gi'and' opra
E più grave del di s'appresta e siede.
550 Nembo d'intorno a lui vola d'odoi-i,
Che a le varie manteclie ama rapire
L'aura vagante lungo i vasi ugnendo
Le leggerissim' ale di farfalla ;
E lo speglio patente a lui dinanzi
555 Altero sembra di raccòr nel seno
L'imagin diva, e stassi a gli occhi suoi
Severo esplorator de la tua mano,
O di bel ci'in volubile architetto.
Tu pria chiedi a l'eroe qual più gli aggrado
560 Spargere al crin, se i gelsomini o il biondo
Fior d'arancio piuttosto o la giunchiglia
O l'ambra preziosa agli avi nostri.
Ma se la sposa altrui cara al Signore
Del talamo nuzial si lagna, e scosse
559 sg. Tu chiedi in prima a lui qual più gli aggrada Sparger sul crin, se il gelso-
mino o (B. ma leggendo nel 2° v. Spargervi sopra, o i gelsomini o) — 563. Che se la
■p. a. e. all'eroe V. (B., Ci., C.) — 564. si duole
della vita. Non cosi opportuna direi
r aggiunzione a la grand' opra E piii
grare del dì (avverti che pin graye è su-
perlativo in quanto vi è sottinteso in-
nanzi l'articolo senza ripeterlo, la gran-
ii' opra e la j^iù grave): che l'irrisione
è troppo scoperta.
547 sg. avvolto Tutto in candidi lini,
cioè ne' grandi accappatoi.
551. ntanteclie, le polveri e le pomate
di cui ha discorso or ora, vv. 517-'27.
553. ale di farfalla : compie e fa più
concreta l' imagiue dell' aura vagante,
con molta convenienza, per la legge-
rezza di entrambe e perché, come la
farfalla tocca molti fiori, cosi quest'aura
molti cosmetici. L'eleganza e la pro-
prietà in questi versi sono perfette.
f58. 0 di bel crin volubile architetto,
« il parrucchiere; volubile ne' moti e
nella moda » (M.). Anche il Gozzi, semi.
gì' Innamorati moderni v. 13 :
... il capolino
Non ba torto un capei, cbé man maestra
A compasso ed a squadra la diviua
Filosa cresta ha con tal arte acconcia
Cbe iuQuiti capei sembran d'un pezzo.
559. La variante ha tolto di qui un a
lui ch'era il terzo o il quarto nel giro
di pochi versi e dava un po' noia.
560-'62. 86 i gelsomini ... : cioè 1' es-
senze tratte dai gelsomini, dal fior d'a-
rancio, e via via; espressione rapida e
pur chiara e bella. — l'ambra prezVosa
agli avi nostri : il profumo eh' era più
pregiato dai nonni; o, forse meglio,
l'ambra di cui gli avi facevano tal conto
che non l'avrebber dissipata in profumi.
563. Ma: logicamente qui bisogna una
avversativa vera e propria, e però, te-
nendo la prima lezione in questo, la
tengo secondo i propositi miei in tutto
il verso, da cui forse il P. avea pensato
a escluder quel cara al Signore per un
Certo che d' anfibologico che 1' espres-
sione potesse avere. Ma è ben chiaro
che non si tratta di Domineddio.
561 sg. Del talamo nnzial si lagna: ha
ragion di lagnarsi, per gli effetti della
superstiziosa tirannide maritale, di cui
sopra vv. 400-469. — e scosse Pur or da
lungo pe^io i rastl lombi: si sgravò; né
altro che lungo peso è la maternità a
madri tali. Scuotere ha egual senso e
costruzione nel Petrarca, son. Or hai
fatto V estremo v. 5, « Or hai spogliata
IL MATTINO
31
5G5 Pur or da lungo peso i casti lombi,
Ah fuggi allor tutti gli odori, ah fuggi ;
Che micidial potresti a un sol momento
Più vite insidiar. Semplici siano
I tuoi balsami allor, né oprai-li ardisci
570 Pria che su lor deciso abbian le nari
Del mio Signore e tuo. Pon mano poi
Al pettin liscio, e con l'ottuso dente
Lieve solca le chiome, indi animoso
Le turba e le scompiglia, e alfin da quella
575 Alta confusion traggi e dispiega,
Opra di tua gran mente, ordin superbo.
Io breve a te parlai, ma il tuo lavoro
Breve non fia peròj né al termin giunto
Prima sarà che da' più. strani eventi
565. il molle lombo — 5G8. Tre vite — 570. aggian V. (B.) — 571. Pon mano poscia
(B.) — 572. e coir — 573 sgg. i capegll ; indi li turba Col pettine e scompiglia; ordiu
leggiadro Abbiano alfin da la tua mente industre — 577 ag. ma non pertanto Lunga fia
l'opra tua, né al t. giunta
nostra vita e scossa D'ogni ornameiUo
e del sovran suo onore », e nel Tasso
Aminta I 2, 191, « il verno ha scossi i
boschi De le lor verdi chiome ». In Vir-
gilio, Aen. VI 353, dicesi « excussa ma-
gistro » la nave ond' è caduto in mare
il piloto : del piloto scossa, avrebber
detto i classici nostri ora citati. Cosi lo
scuotere ha in tutto serbato il senso
dell' excutere, salvo che il costrutto la-
tino pili consueto è quello del virgilia-
no « pectore... excussisse deum », citato
ad altro effetto poc'anzi: al quale ag-
giungo, per affinità di senso a questo
luogo pariniano, Ovidio, fasti i 624 ;
« visceribus... excutiebat ©nus ».
568. Pid vite: prima aveva scritto
tre, ma non era né chiaro né esatto.
Morendo la dama, morrà, poniamo, il
cavalier servente ; ma il marito, è del-
l' indole di questa satira figurarlo si te-
nero e appassionato ? Quanto al figliolo,
poiché non è la madre a nutrirlo, è
chiaro che non muore per il morire di^
lei. Dicendo pid vite non dice né due né"
tre né quattro, e la frase indeterminata
va benissimo.
569. oprarli, adoperarli; in forma più
eletta. — né... ardisci, questa forma inso-
lita d' imperativo, qui, per essere una
parola di mezzo tra la proibitiva e il
verbo, riesce pfù accettabile che altro-
ve: cfr. sotto V. SII e la nota ivi.
571. Del mio Signore e tuo : vedi man-
suetudine con che il poeta si mette alla
pari, quasi compagno di servizio, con
un parrucchiere. Peccato, avrà pensato
il Signore, un tal servo non poter licen-
ziarlo !
573-'76. Al P. dovè dispiacere che
pettine si ripetesse al v. 574, essendo
già nominato due versi prima. All' in-
fuori di ciò, la prima lezione era otti-
ma; rapida e franca. Nella variante è
bellissimo e al fln da quella Alta confu-
sion traggi ecc. — ordin superbo: proprio
come il mondo dal caos ! In vece opra
di tna gran niente vai meno che la mente
industre della prima stesura per la
stessa ragione detta al v. 549, che la
canzonatura si scopre troppo.
579. da' pia strani eFenti: frase alta
che suscita aspettazione, e gli eventi
saranno poi la incontentabilità e le fu-
rie del Signore cosi ben ritratte se-
condo lor modi e gradi ne' versi se-
guenti. Avverti che la lezione comune
e senza varianti è da più strani eventi,
ma mi è parso di aggiungere un apo-
strofo: il superlativo s' intende, ma per
il comparativo non vedo il termine di
confronto.
32 IL MATTINO
680 S' inveiva o tronchi all'alta impresa il filo.
Fisa i guardi a lo speglio, e là sovente
Il mio Signor vedrai morder le labbra
Impaziente ed arrossir nel viso.
Sovente ancor, se artificiosa meno
585 Fia la tua destra, del convulso piede
Udrai lo scalpitar breve e frequente,
Non senza un tronco articolar di voce
Cbe condanni e minacci. Anco t'aspetta
Veder talvolta il cavalier sublime
590 Furiando agitarsi, e destra e manca
Porsi nel crine e scompigliar con 1' ugna
Lo studio di molt'ore in un momento.
Che più? Se per tuo male un di vaghezza
D'accordar ti prendesse al suo sembiante
695 Gli edifici del capo, e non curassi
Ricever leggi da colui che venne
Pur ier di Francia, ahi quale atroce fólgore,
Meschino, allor ti penderla sul capo!
Tu allor l'eroe vedresti ergersi in piedi
600 E per gli occhi versando ira e dispetto ,
Mille strazi imprecarti, e scender fino
Ad usurpar le infami voci al vulgo
Per farti onta maggiore, e di bastone
Il tergo minacciarti, e violento
580. Turbisi o tronchi a la tua impresa (B. ma S' inveiva) — 581 sg. I lural &Uo
speglio, e vedrai quivi Non di rado il Signor morder — Fisa il guardo B. — 584 sg. so
men dell'uso esperta Parrà tua destra V. (B., CI., C) — 589. il mio Signor gentile —
591. Porsi a la chioma, e dissipar con l'ugue V. (B., CI. e anche C. lìia tenendo scom-
pigliar) — 595 sg. L'edificio del capo ed obliassi Di prender legge da colui che giuuse
Oli edifici del criue B. Ricever legge B. — 599. Cbé il tuo Signor vedresti ergers' iu
— 600. versando per gli occhi
580. 8'lnTOlTfl, cioè s' avviluppi o ag- sospiro ». Qui l'abbiamo già visto ai vv.
grovigli. Dicendo 11 filo, sono scelti verbi 416 e 467.
rispondenti alia metafora. Anche il tur- 589. il eavaller sublime, che contrasto
6f*i era tale. tra tale appellazione e la scena! Anclie
584. artificiosa meno : meno del solito la prima lezione a mio Signor gentile
e del bisogno, s' intende bene: men del- (beli' emistichio che ricordo eguale noi
ruso esperta è pur modo elegante ma Boiardo) tornava bene, pugnando in-
più comune. sieme la gentilezza e la balorda volga-
587. Non senza: in luogo di con, dà ef- rità dell'atto : ma il P. avrà osservato
ficace rilievo. Cosi il non sine de' latini che gli occorreva un po' troppo spesso
si propagò agli scrittori nostri anche più di ripetere la parola Signor.
schietti : « non sine multis... lacrimis » 595. Gli edifici del capo : 1' opera dei-
Orazio e. ni 7, 7, e il Cellini, Vita ii 66 1' architetto che sappiamo, v. 558.
« non senza lacrime al mio solito rin- 599. Anche il verso, con gli spessi ac-
graziai il mio Iddio». E altrove lo stes- centi, assorge minaccioso : per poco non
80, 1 68 « non senza qualche amoroso viene a mente il Farinata dantesco!
IL MATTINO
33
C05 Rovesciare ogni cosa, al suol spargendo
Rotti cristalli e calamistri e vasi
E pettini ad un tempo. In simil guisa,
Se del Tonante a l'ara o de la dea
Che ricovrò dal Nilo il turpe Fallo^
610 Tauro spezzava i raddoppiati nodi
E libero fuggia, vedeausi a terra
Vibrar tripodi tazze bende scuri
Litui coltelli, e d'orridi muggiti
Commosse rimbombar le arcate vòlto,
615 E d'ogni lato astanti e sacerdoti
Pallidi a l'urto e a l'impeto involarsi
Del feroce animai, che pria si queto
Già di fior cinto e sotto a la man sacra
Umiliava le dorate corna.
G20 Tu nonpertanto coraggioso e forte
Dura, e ti serba a la miglior fortuna.
Quasi foco di paglia è il foco d'ira
In nobil petto. Il tuo Signor vedrai
607. In cotal guisa — 611. vedeansi al suolo — 616. involarse V. (CI.) — 621. Soffri
e ti serba — 622. è foco d'ira C. — 623. In nobil cor. Tosto il Signor vedrai
606. calamistri, lat. i ferri da fare i
riccioli. Cicerone disse iu metafora « ca-
lamistris inurere » significando il dare
a uno scritto un' eleganza ricercata.
607-'19. Magnifico tratto, menzi(>nato
già nel discorso di prefazione. — Se del
Tonante a l'ara o de la dea Che ecc.: di
Giove, o d'Iside, il culto della quale
originario d' Egitto fu introdotto anche
a Roma co' suoi emblemi {<paXkóg); quindi
Iside ricoTrò dal Kilo, incaperò, riprese
dall'Egitto il suo rito. Dice Lucano P/tar.
vili 831 « Nos iu tempia tuam [Aegj pti]
Romana accepimus Isim ». — a terra
Vibrar: si vede van lanciati a terra; vi-
brai- esprime lo scotersi e il cader re-
pentino. Tuttavia dice il M. : « non è
qui verbo proprio ; e il P. corresse poi
Cader; variante non registrata dal Rei-
na, ma comunicatami dal Salveraglio ».
— Neil' enumerazione seguente il suc-
cedersi di tanti nomi senza né una con-
giunzione né un' elisione sembra ren-
dere r ammucchiarsi alla rinfusa de-
gli oggetti caduti iu terra. — Mtnl: la-
tinismo; ora significa trombe, ora, come
qui, bastoni : erau proprio le bacchette
Pabiki — Albini
degli àuguri. — rimbombar : guest' infi-
nito non è retto espressamente da altro
verbo che da vedeansi, ma è facile sot-
tintendere verbo più adatto. I grandi
scrittori non rifuggono da queste che
paiono negligenze (e realmente inesat-
tezze sono), quando c'è da acquistare
rapidità senza perder chiarezza. — a
l'nrto e a l'impeto, quasi agli urti im-
petuosi; bell'esempio di quel che i gram-
matici chiamano endiadi. Ma nota piut-
tosto come anche i suoni del verso ur-
tano e scattano. — che pria si qneto Già
ecc.: e qui le imagini e i suoni, dopo il
precedente trambusto, rendono la ador-
na e placida solennità del rito; nota il
verso ultimo, stupenda chiusa di un pas-
so stupendo. — la man saera, cioè del
sacerdote, il « popa » de' latini.
621. Dura: reggi, resisti, tollera. È
felice traduzione del virgiliano Aen. i
207 « Durate, et vosmet rebus servate
secundis ». Il P. che stampò So/fri dovè
poi sentire che qui era meglio l'imita-
zione fedele e scoperta del testo classico,
ove Enea parla ai compagni esuli e nau-
fraghi: nell'applicazione che parodia!
9
134
IL MATTINO
Mansuefatto a te chieder perdono,
625 E sollevarti oltr'ogni altro mortale
Con pregili e scuse a niun altro, concesse :
Onde securo sacerdote allora
L'immolerai qual vittima a Filauzio,
-Sommo nume de' grandi, e pria d'ognaltro
630 Larga otterrai del tuo lavor mercede.
Or, Signore, a te riedo. Ah non sia colpa
Dinanzi 'a te s' io traviai col verso.
Breve parlando ad un mortai cui degni
Tu degli arcani tuoi. Sai che a sua voglia
635 Questi ogni di volge e governa i capi
De' più felici spirti; e le matrone,
Che da' sublimi cocchi alto disdegnano
C2G. Con prieghi B. — C27 sg^. Tal che, Becuro o E tu securo sacordolc, a lu; Im-
molerai lui stesso, e pria d'ogualtro Larga etc. Vv. {la i' CI., C, la 2' B.) del tuo
fiivor C. {ma è certo errore di stampa) — G36. De' semidei pili chiari V. (B., CI.)
621 sgg. & te chieder perdono E solle-
Tarli ecc.: un altro eccesso; in ciò si
rileva la leggerezza e la nessuna dignità
intima e vera del carattere,
627-'30. Onde securo sacerdote ecc. Tor-
nando col pensiero alla scena sopra de-
scritta del sacrificio taurino, dice il p. al'
parruccliiei'e : «tu, reggendo alle fune
del tuo Signore simili a quelle del toro
slacciato, finirai per sacrificare, senza
correre i rischi del sacerdote sacrifi-
cante il toro, il tuo signore a Filauzio,
cioè air Egoismo, eh' è il maggior dio
('.e' siguori, e cosi, prima ch'egli beati-
l.ichi fili altri con la vista sua abbellita
))er tua opera, godrai tu le grazie e il
premio di questa ». — Filànzlo disse il P.
da <pi?.uvTÌa cioè 1' amor di sé stesso —
i'. qual sentimento (qnlFiv éavTÓv, qiikavrov
slvai, TÒ (pO.avrov) è da Aristotele ££/i. vni
distinto in buono e cattivo — : e se altri
avea usato quel grecismo, p. es. Palla-
vicini lelt. 3, 129 « puro afifetto di carità
senza infezione di fìlautia », il P. fa-
cendo una persona e una divinità scelse
un maschile, certo perché maschili sono
per noi amore ed egoismo. Ma non par
hello né chiaro : tanto più che non s' in-
tende bene come al dio s' abbia a im-
molare proprio un suo seguace. A ciò
rimedia la variante a lui Immolerai
Ivi stesso, nume e vittima a un tempo,
in quanto costui dopo l' ira bestiale si
fa umile e dolce innanzi al servo, con
preghi e scuse a niun altro concesse.
Ma quell'apposizione sommo nume de'
grandi tiene troppo degli spiriti eoe
che il P. scrisse da prima questi versi,
perché io abbia creduto di poter abban-
dona.re la lezione primitiva: è la stessa
cosa che feci e notai al v. 355 e seguenti.
Del resto, anche con la variante, questo
passo è, oso dire, troppo ingegnosa-
mente ricercato e sottile. L'espressione,
qual è in essa variante, ritorna simile
in un luogo ùéìVAscanio in Alba, par-
te II, se. 4* ; ove Silvia dice :
.... E s'anco ei fosse [Ascanio],
Vegga che fu lui stesso
Sagrificato a lui
E l'amato sembiante ai inerti sui.
fi33 sg. Breve parlando, cioè per un
poco ; ad nn mortai cui degni Tn degli
arcani tuoi, e però mortale si, ma non
il primo venuto. — degni, tieni e fai de-
gno ; lat. dignaris con la stessa co-
struzione cfr. Virgilio bue. iv G3 « Nec
deus Imnc mensa, dea nec dignata cubili
est ».
635. i capi, veramente i capelli ma,
dato il genere delle teste, il p. tra il
fuori e il dentro non fa distinzione. —
Dei pili felici, meglio dotati, spirti, e-
spressione petrarchesca che qui quadra
bene all' ironia trattandosi di gente che
non carezza né cura se non il corpo. Il
IL MATTINO 35
Chinar lo sguai'do a la pedestre turba,
Non disdegnali sovente entrar con lai
G40 In festevoli motti, allor ch'esposti
A la sua man sono i ridenti avori
Del bel collo, e del crin l'aureo volarne.
Però accogli, ti prego, i versi miei
Tattor benigno e come possi ascolta
G45 L'ore a te render graziose, intanto
Che il pettin creator dona a le chiome
Leggiadra o almen non più veduta forma.
Breve libro elegante a te dinanzi
Tra gli arnesi vedrai che l'arte aduna
650 Per disputare a la natura il vanto
Del renderti si caro a gli occhi altrui.
Ei ti lusingherà forse con liscia
Purpurea pelle onde fornito avrallo
O mauritano conciatore o siro;
655 E d'oro fregi delicati, e vago
Mutabile color che il collo imiti
De la colomba, v'avrà sparso intorno
Squisito legator batavo o franco.
638. Volgere il guardo — 643 sgg. Perciò... Tuttor benigno, ed odi or come possi.,
mentre Dal pettin creator tua chioma acquista Però m'odi benigno or ch'io t'ap-
prendo L'ore a passar più graziose, intanto Che il pettin creator doni a le chiome V.
(CI.) dona alla chioma C. — 648. Pieciol — 653. vestito V. (B,, CI., C.) — 655. dilicati
— 656. imite V. (CI., C.) — 657. v' avrà posto
P. cercò poi altra parola, forse perché ritorna nel V. 135 e nella iV, 616, e che
gli parea spirti non escludere le donne, nella squisitezza della dizione non può
di cui fa cenno dopo distintamente; ma riuscire ambiguo.
per ciò appunto è impossibile non in- 649-'51. Tra gli arnesi vedrai che ecc.:
tendere esatto. tra gli oggetti raccolti sulla toilette.
644. possi : questa desinenza va di- arnesi, v. sopra il v. 493 e la nota, che
susando, ma era la più legittima in ori- l'arte adnna Per dlspntare a la natura
gine e qui giovò al P. per chiarezza e ecc. : ripete, ma con più ricchezza e
per evitare la cacofonia possa ascolta. novità, quel che disse ai versi 485-86.
615. graziose, gradevoli, piacevoli. Ri- 652-658. ti lusingherà, ti alletterà, t'in-
cordati Dante Piirg. xiii 90, «Ditemi, viterà si che tu lo prenda.— con liscia
che mi fia grazioso e caro ». Purpurea pelle, cioè con la sua bella e
646. 11 pettin creator ; quale aggettivo morbida legatura in marocchino. — for-
a qual nome! , nlto: poiché qui si designa il concia-
647. leggiadra o almen ecc. : mordace pelli, e il legatore vien dopo, meglio è
e acuta restrizione : tra leggiadria e questa prima lez. che la pensata poi
novità spesso è gran divai'io, piccolo vestito. Nota che conciapelli e legatori
tra novità e stranezza. sono entrambi esotici: il primo a dirit-
648. BreTC libro: non già corto ma tura d'Africa o d'Asia (nianritano ... o
«piccolo»; e pieciol era la prima le- siro), il secondo di Olanda o di Francia
zione. Poi il P. pensò al latinismo, che (bataTO o franco).
36
IL MATTINO
E forse incisa con venereo stile
660 Vi fia serie d'imagini interposta,
Lavor che vince la materia, e donde
Fia che nel cor ti si ridesti e viva
La stanca di piaceri ottusa voglia.
Or tu il libro gentil con lenta mano
6G5 Togli e non senza sbadigliare un poco
Aprilo a caso o pur là dove il parta
Tra l'uno e l'altro foglio indice nastro.
0 de la Francia Proteo multiforme,
Scrittor troppo biasmato e troppo a torto
6ri9. Questo e i quattro versi seguenti sono aggiunti. — 6<)4. Ora il Tu quel V. (B.)
— 667. Tra una pagiua e l'altra — G68. moltiforme B. — 669. Voltaire troppo biaamato
659. incisa, accorda con serie, anzi-
ché con iniagini: ipèrbati 0 scambi fre-
quenti, segnatamente in poesia. — con
lenereo stile: Venerius è di Venere o
spettante a Venere ; ad es. per l^Iauto
i Oiovini signori romani erano Ve-
nera nepotuli. In italiano 1' aggettivo
ha pochi usi e pochi nomi a cui si uni-
sca, non belli né lieti: per ciò a punto
se ne valse il P. , il cui venereo stile,
cioè bulino sacro a Venere, incide ijna-
gini più ancor licenziose che belle.
661. Lavor clie TÌnce la materia: «Ma-
teriam superabat opus » disse Ovidio
Met. u 5 descrivendo la reggia del Sole.
661-*66. con lenta mano ..., non senza
sbadigliare un poco ..., Aprilo a caso ... :
• tutti particolari che rilevano quale im-
pegno volenteroso e quanta serietà di
propositi abbia colui nelle sue letture.
Per il non senza vedi la nota al v. 5S7.
657. indice nastro: cioè, posto per se-
gno. Indice qui serba elegantemente il
suo valore di aggettivo, ciie nell' uso
spesso perde sostantivandosi con vari
significati.
668-79. 0 de la Francia Proteo multi-
forme, Scrittor ecc. : Voltaire (1694-1778);
e Voltaire era la l'iez. in vece di Scrit-
tor, ma assai opportunamente mutata,
perché egli è benissimo designato senza
nominarlo (se si trattasse d' un poema
antico, si direbbe che la lez. Voltaire
è dovuta a una glossa marginale), e an-
che perché Voltaire più correttamente,
come sarebbe nel verso francese, dovreb-
b' esser trisillabo. — Siccome il Proteo
favoloso si tramutava rapidamente in
tutte le forme {« formas in omnes ».
Virg. Georg, iv 411 e vv.precc), il P. ha
denominato cosi lo scrittore francese
che fu tutt'insieme celebrato come scien-
ziato e filosofo, storico e critico, novel-
latore, poeta lirico, epico e drammatico.
Federico II lo metteva nel numero di
quegli uomini « qui ont uni en eux les
sciences qui devaient donner une occu-
pation sufflsante à quarante tétes pen-
santes » e soggiungeva : « il n' y a au-
cùne science qui n'entre daus la sphère
de son activité ; et, depuis la geometrie
la plus sublime jusqu' à la poesie, tout
est soumis à la force de son genie. Mal-
gre une vingtaine de sciences qui par-
tageiit M. de Voltaire ... » etc. Le qua-
ranta teste e le venti scienze bastereb-
bero a dar ragione al P. del giudicare
il Voltaire troppo lodato ; ma anche trop-
po biasmato lo giudica, ben lontano egli,
nell'equità del suo alto discernimento,
dall'unirsi a chi, per timorata coscienza
e cieco odio dello spirito voltairiano,
avviliva queir ingegno mirabilmente
versatile e acuto, T autore delle pièces
fugitives e di tanta vivissima prosa. =—
Che sai con novi modi, con attraente ori-
ginalità. Imbandir ne' tnol scritti eterno
cibo, che non perde sapore o che sem-
pre trova chi lo gusti, Al semplici pa-
lati, cioè di chi facilmente abbocca; e
se' maestro A' color che a sé flngon di sa-
pere, che si danno a credere d'esser sa-
pienti, o Di coloro che mostran di sa-
pere, cioè lo danno a credere altrui, se-
IL MATTINO
37
G70 Lodato ancor, clie sai con novi modi
Imbandii" ne' tuoi scritti eterno cibo
Ai sempb'ci palati, e se" maestro
Di color che a sé fingon di sapere ;
Tu appresta al mio Signor leggiadri studi
GTS Con quella tua fanciulla all'Anglo infesta.
Onde l'Enrico tuo vinto è d'assai,
L'Enrico tuo che in vano abbatter tenta
L'italian Goffredo, ardito scoglio
Contro a la Senna d'ogni vanto altera.
673. Di coloro clie mostran — 675. agli Angli a l'Anglo B. — 67G ag. Che il
grande Enrico tuo vince d'asaal, L'Enrico tuo che non peranco abbatte
coudo la 1" lez. meno squisita ma non
meno accettabile. L'uso proprio al Vol-
taire di condire ogni cosa d' arguzie e
di volger tutto in ridicolo serve bene a
dissimulare il difetto di una soda dot-
trina, e uno crede facilmente di trion-
fare quando con la beffa ha evitato di
rispondere a un argomento o elusa la
necessità dell' esattezza. Un senso non
dissimile è nella espressione dell'Alfieri,
sat. XI 13:
Ogni impudente ottuso cervelluzzo
S'iuvolterizza, o tosto ha l'occhio aguzzo.
Del quale fa anche a proposito, non mi
par dubbio, quella pagina, in II princ.
e le lett. Ili 5, ove si discorre di « una
certa semi-filosofìa universalmente se-
minata in questo secolo da alcuni scrit-
tori leggiadri, o anche eccellenti quanto
allo stile, ma superficiali o non veri
quanto alle cose. I libri di costoro, an-
dando per le mani di tutti stante la loro
seducente facilità, imprestano una certa
forza d' ingegno a chi non ne avea per
sé stesso nessuna ....».— Con qnella
tna fancinlla ecc.: la Pucclle d'Orléans
(Giovanna d'Arco , infesta agi' Inglesi
contro ai quali combatté per la patria
e dai quali fu arsa, nel 1431) moralmente
e civilmente è poema da non dilettar-
sene altri che il Giovin signore, ma
pur tra Y indecente parodia ricco di ar-
guzia e di vena (dal Monti tradotto con
la sua splendida facondia in ottave). —
l'Enrico tuo, cioè la Henriade che ce-
lebra Enrico IV: è in dieci canti di ales-
sandrini rimati e con questo titolo usci
nel 1726 a Londra, dove già era uscita
tre anni innanzi con titolo la Ligue. Un
decennio di poi il princ. di Prussia, pen-
sando a farla ristampare, degnò scri-
verne la prefazione, alla quale appar-
tengono i passi sopra citati e questo che
aggiungo: «il conduit sa Henriade à
un point de maturité où je ne sache pas
qu'aucun poème soit jamais parvenu ».
Altri, pur senza tanto esagerare, teneva
che con la Enrichiade anche la Francia
moderna avesse il suo poema epico, ciò
che r Italia ha con la Gerusalemme li-
berata, e forse meglio. Ma l'italian Gof-
fredo è ardito scoglio che l'acque della
Senna non buttano giù: il che volentieri
assevera il P. al cui austero ingegno si
affaceva singolarmente il poema del Tas-
so co '1 bel disegno armonico e l'alto
eloquio squisito, cfr. v. 915 sg. Quanto al
Voltaire, ben gli riusciva trattare con
letteraria decenza qualunque genere ma,
come scarsa la forza drammatica, cosi
lo spirito epico non ebbe affatto, né i
suoi tempi o i suoi ammiratori senti-
vano in ciò molto innanzi, compresovi
il gran Federico (di lui vedi quel che
scrisse in proposito il Leopardi, il Pa-
rìni ovv. della Gloria e. 2). Basti ri-
cordare il principio della protasi, non
certo d' intonazione eroica. Nel 1723 di-
ceva cosi :
Je chanto les combats et ce rei généreux
Qui for^a les Fraudala à devenir heureux :
e si narra che certo Dadiky di Smirne
dicesse al Voltaire : « io sono della pa-
tria d' Omero. Omero non cominciava
i poemi con un' arguzia o con un indo-
vinello ». Nel 1726 corrèsse:
18
IL MATTINO
680
685
Tu de la Francia onor, tu in mille scritti
Celebrata da' tuoi, novella Aspasia,
Taide novella ai facili sapienti
De la gallica Atene, i tuoi precetti
Pur detta al mio Signore : e a lui non meno
Pasci l'alto pensier tu che all'Italia,
Poi che rapirle i tuoi l'oro e le gemme,
Invidiasti il fedo loto ancora
Onde macchiato è il Certaldese e l'altro
Per cui va si famoso il pazzo conte.
681. Celebrata Ninon n. A. — 684. Pur dona
685. Pasci la nobll mente o tu eh' a Italia
Tu pur detta al mio eroe V. —
Jo chante ce héros qui regna sur la France
Et par droit de conquète et par droit de
[uaìssauce;
e il Leopardi {Vari pensieri, XI) ci
notava con tutta ragione un « tecnici-
smo, pessimo in poesia». — Puoi leg-
gere una breve pagina di Victor Hugo
su Voltaire, Postscriptum de ma vie
75, che incomincia: « Voltaire n'est pré-
cisément ni un grand poète ni un grand
philosophe : c'est un grand représentant
de tout ».
6S0-''84. Tu de la Francia onor: nien-
temeno ! Ninon de Lenclos morta no-
vantenne sul principio del secolo xix.
Questa Annetta parigina ebbe i liberi
costumi e il vivace ingegno di un'etèra
ateniese. Sue lettere al Saint-Evremond
furono pubblicate nel 1751 ; e altre apo-
crife si stamparono e si lessero cupi-
damente sotto il nome di lei. — da'
tnol, variante che cacciò di luogo, op-
portunamente anche qui, il nóme Ni-
non eh' era nella prima lezione. Av-
verti che se a da' tuoi non seguisse vir-
gola, dovrebbe intendersi: celebrata da'
tuoi come una nuova Aspasia ecc.; ma
la virgola ci sta bene, e gli appellativi
di Aspasia e di Taide segue a darli per
suo conto il poeta. Di queste due cele-
berrime, la prima che fu amica e con-
sigliera di Pericle rimase a significare
la più squisita coltura e la seconda la
più licenziosa scostumatezza. — al f.i-
cili sapienti, cioè per que' saggi di cui
al V. 673, De la gallica Atene, di Parigi;
cosi per es. si disse Ateue d'Italia Fi-
renze, presa Atene per antonomasia
come sede di ogni eleganza e di ogni
beli' arte. Qui all' espressione non man-
ca qualche colore d' ironia.
685-'89. tn che a l'Italia ecc. Giovanni
de la Foutaine (1621-1695), l' autore delle
Favole che vanno tra i più eleganti e
insigni testi francesi nelle quali l' in-
venzione fiorisce cosi felice e la filoso-
fia fruttifica si spontanea che Victor
Hugo, op. cit. p. 74, n' ebbe questa ima-
gine « La Fontaine, c'est un arbre de
plus dans le bois, le fablier ». Scrisse
anche con pari leggiadria galanti e li-
cenziosi Racconti. Mediante i quali,
dice il p., la Francia che, già fin da
Carlo Vili e Luigi XII, aveva portato
•via tesori all' Italia, le invidiò anche,
cioè volle avere anch' essa, il fango, il
fedo lodo, di che son macchiati il De-
cameron e r Orlando Furioso ; e de-
signa questi due nostri capolavori, pri-
ma perché si convengono coi racconti
del francese in certe lubricità, e poi
perché da quelli son tratti parecchi ar-
gomenti di questi. E il Boccaccio e l'A-
riosto furono de' modelli a lui più cari,
come trovo aver detto egli stesso, épl-
tre à Huet 77:
Je chéris l'Arioste, et j'estimele Tasse;
Plein de Machiavel, entèté de Boccace,
J'en parie si souvent qu'on en est étourdi.
690-'98. Benché i particolari nella de-
signazione degli autori non sian voluti
porre con troppa esattezza (il Reina
nota dopo questo gruppo di versi: «si
accennano romanzi e novelle di vario
genere »), pure è manifesto che i niil-
l'altri son quelli divisati di poi nellQ
proposizioni seguenti. E primo de' pri-
IL MATTINO
39
690 Questi, o Signore, i tuoi studiati autori
Fieno, e mill' altri che guidaro in Francia
A novellar con le vezzose schiave
I bendati sultani, i regi persi
E le peregrinanti arabe dame;
695 O che con penna liberale ai cani
Ragion donaro e ai bai'bari sedili,
E dier feste e conviti e liete scene
Ai polli ed a le gru d'amor maestre.
Oh pascol degno d'anima sublime [
700 Oh chiara, oh nobil mente ! A te ben dritto
E che si curvi riverente il vulgo
E gli oracoli attenda. Or chi fia dunque
Si temerario che in suo cor ti befifi,
Qualor, partendo da si gravi studi,
705 Del tuo paese l'ignoranza accusi,
E tenti aprir col tuo felice raggio
701. s' incurvi V. (B.) — 702. fie V. (CI.) — 703. iu suo cuor CI., C, si boffo V. (CI.)
704. da si begli
mi, cioè di quei ohe gniJaro in Francia
A nOTolIar con le T«zzose sobiave I ben-
dati snltani ecc., viene a essere indub-
biamente il Galland (s' intende che quel
che importa son le opere non gli au-
tori), volgarizzatore francese negl'inizi
del 1700 della celebre raccolta araba delle
Mille e una notte, nella quale, come tutti
sanno, il filo che lega insieme i rac-
conti è a punto il novellare che fa una
giovine bella al sultano (e un'altra gio-
vine assiste) : aggiungi Petit de la Croix
che fece francesi i Mille e un giorno.
Il P., si badi, non poteva disconoscere
la ricchezza fantastica e inventiva di
quei libri, ma si disconosceva il diritto
di montar sul tripode a chi non d'altro
avea nutrito la propria dottrina. Cosi
pure dovea far differenza tra chi attri-
buiva i-agioue e altri caratteri e usi
umani alle bestie, e chi faceva ragio-
nanti e parlanti i barbari sedili, se con
ciò ei volle dire (ma forse volle dire i
divani o il divano iu più lato senso)
le sopha di Crébillon figlio, romanzo
(1745) d'un uomo che è stato sofà, cioè
la cui anima nell' intervallo tra 1' una
e l'altra incarnazione per metempsicosi
fu in un mobile, anzi in parecchi dei
mobili cosi detti, e narra i suoi casi.
Dato poi che in questi versi anche si
alluda a libri come \e Lettres persanes
(1721) del Montesquieu, ne' quali un o-
rieutale fa satire e caricature, in forma
di lettere, de' costumi e della società
d'occidente, qui pure nell' intenzione del
p. bisognerebbe guardare con discerni-
mento: egli, come severissimo che qui è
(ricorda le osservazioni fatte in propo-
sito nella prefazione), riproverebbe di
quei libri il tono spesso irreligioso e
licenzioso, affatto caratteristico della
Reggenza, ma non già il fondo e la so-
stanza satirica. — bendati, cioè rav-
volti il capo nel turbante. — con penna
liberale, che attribuisce facilmente al-
trui ciò che non gli spetta; cfr. v. 718.
705. Tocco verissimo, e fatto più vero
dall' espressione del tno paese cosi usi-
tata in questo senso. Fu ed è proprio
di quei cotali spregiare la patria e ciò
che fa in patria: nota il Cantù che quelli
per i loro studiati autori dimentica-
vano Dante il Machiavello Galileo il
Vico; puoi aggiungere, a proposito del-
l' ignoranza inerzia italiana, i grandi
e laboriosi eruditi tra i quali era pur
allora mancato il .Muratori.
706-'08. E tenti, inchiude il senso:
ma pur troppo non ci riesci. Quel che
40
IL MATTINO
La gotica caligine che annosa
Siede su gli ocelli a le misere genti ?
Cosi non mai ti venga estranea cura
710 Questi a troncar si preziosi istanti
In cui del pari e a la dorata chioma
Splendor dai novo ed al celeste ingegno.
Nonpertanto avverrà che tu sospenda
Quindi a pochi momenti i cari studi
715 E che ad altro ti volga. A te quest'ora
Condurrà il merciaiol che in patria or torr.a
Pronto invòntor di lusinghiere fole
E liberal di forestieri nomi
A merci che non mai varcaro i monti.
7'20 Tu a lui credi ogni detto: e chi vuoi che ose
Unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
Ei fia che venda, se a te piace, o cambi
711 sg. In cui non meno de la docil chioma Coltivi ed orni il penatrante ingegno
(B.) — 714. Quindi a poco il versar de' libri amati V. (13., CI., C.) — 716. merciaiuol
— 720. osi (B.)
segue è di perfetta eleganza e maestria :
nota l'aprir, il felice raggio, il siede, e
la metafora cosi bene continuata: il v.
707 non Ila bel suono ma atto a dir cosa
non bella e noiosa, e il 70S col suono
cadente accompagna l'idea. — gotica
caligine: dei popoli invasori d'Italia
non so se alcun altro fuor che i Van-
dali e i Goti lasciasse al linguaggio frasi
stereotipe, come vandalismo e barba-
rle gotica; i primi per verità con più
ragione dei secondi. Ma anche noi, per
definire il non bello stile di qualche
dotto italiano, non abbiam di meglio
che chiamarlo uno scrivere ostrogoto.
— caligine, nebbia folta, ombra, notte.
— annosa, da molti anni.
709. Cosi, desiderativo : lat. sic.
714. La var. il versar, cioè l'aver tra .
mano leggendo, e rileggendo, potè esser
pensata un momento dal P., perché, ve-
nendo subito a mente l'oraziano « vos e-
xemplaria graeca Nocturna versate ma-
nu, versate diurna > a. p. 269, dal con-
trapporre e sostituire i libri amati agli
esemplari greci scoppiava l'ironia. Ma
sarebbe stato un «crudo latinismo» (M.),
quale p. es. sobole per prole eh' è in un
bel frammento di un idillio (opp. ITI
p. 217) al V. 38, e diflìcilmente il P. 1' a-
vrebbe tenuto.
7ir)*-19. A te (inosf ora Condurrà il
niercìainol: l'ora fatta soggetto dell'a-
zione è vivace e classica eleganza. lOd
è tutta naturalezza la figura del mer-
cante, prodigo di bugie che allettano a
comprare (lusinghiere fole) e di nomi
sonori. Cfr. nella terza egloga Riescalo-
ria (voi. cit. p. 231) al v. 124:
Un picciol nappo di corallo avrai
Che viene in fin dall' ludica marina,
Se '1 ver mi disse quegli onde '1 comprai.
— liberal: ricordati la penna liberate
del v. 695. — che non mai raroaro i monti,
cioè fatte in casa, nostrane ; ricorda in
Orazio il vino citra mare natum.
720 sgg. Tn a Ini credi ogni detto : credi
è imperativo; il p. al solito dà come un
precetto suo ciò eh' è un fatto e un uso
del suo povero eroe. E al precetto fa
seguire la ragione di esso, una ragione
ch'è il sommo della canzonatura: echi
Tuoi che ose...? Il vero è che il mercante
sfacciato ha buon giuoco innanzi alla
dabbenaggine di tale che non ^intende.
722-'25. Ei fla che Tenda, se a te pia-
ce, ecc.: per opera tua, cioè raccoman-
dato da te o dal tuo esempio, potrà fare
molti buoni affari con altri. Sembra
un' altra ragione per cui il mereiaio
non inganni il Giovin signore: ma iu
realtà lo inganna, e a buon conto si fa
IL MATTINO
41
1-21
730
735
740
Mille fregi e lavori a cui la Moda
Di viver concedette un giorno intero
Tra le folte d'inezie illusti-i tasche.
Poi lieto se n'andrà con l'una mano
Pesante di molt'oro; e in cor gioiellilo,
Spregerà le bestemmie imprecatrici
E il gittato lavoro e i vani passi
Del calzolar diserto e del drappiere ;
E dirà lor : Ben degna pena avete,
0 troppo ancor religiosi servi
De la Necessitade, antiqua è vero
Madre e donna dell'arti, or nondimeno
Fatta cenciosa e vile. Al suo possente
Amabil vincitor v' era assai meglio,
O miseri, ubbidire. Il Lusso,' il Lusso
Oggi sol puote dal ferace corno
Versar su l'arti a lui vassalle applausi
E non contesi mai premi e ricchezze.
723. fregi e gioielli — 727. dovizie
aiutare d;i lui a ingannai'e altri. — im
giorno intero: detto con vivace ironia
come se una vita effimera fosse durata
lunga. E avverti la originale bellezza del
verso seguente.
720 sg. Poi lieto, quasi trionfante. —
con r una mano Pesante di molt' oro, è
«il gravis aere... dextra » di Virgilio,
bue. I 30.
728-30. Spregerà ecc.: questo ciur-
madore, che gabba il bel mondo e n'ha
il favore (come suole avvenire a' pari
suoi in tutti i mondi belli e brutti), hi
fa beffe del povero calzolaio (diserto,
propriam. danneggiato dal non poter
riscuotere la sua mercede) e del sarto
(questo drappiere è il villano sartor...
non ben pago D'aver teco diviso i ric-
chi drappi V. 162); 1 quali, dopo aver
datole lor fatiche e la lor merce, sciu-
pano i passi andando a' palagi per il
prezzo, costretti a partirsene a mani
vuote e maledicendo inutilmente.
731-40. E dirà lor: Ben degna pe-
na ecc.: il senso puoi riepilogare cosi:
ben vi sta, o voi che continuate a ser-
vire al bisogno e per bisogno, quando
r utilità delle cose veramente necessa-
rie non si conta per nulla, e solo le
pompesuperliue e le bagattelle luccicanti
fanno piovere oro a chi le spaccia. —
O troppo ancor religiosi, che perseve
rate a essere timidi, superstiziosi, servi
De la Xecessitade, a doppio titolo, cioè
in quanto lavorano a cose necessarie
altrui e per provvedere a sé il neces-
sario (cfr. Mezzog. 329 sg.), antiqna è
Tcro Jladre e donna dell'arti, che il bi-
sogno fece gli artefici : puoi veder que-
sto pensiero in Aristofane Pluto 533-34
e in Teocrito id. xxi che incomincia :
Sola la povertà, Diofanto, suscita l'arti:
essa è de la fatica maestra.
— Al suo possente Amabil Tincitor: qual
sia, è detto sùijito appresso, ma non
come soggiunzione, anzi staccato e vi-
brato. Cosi la Necessità e il Lusso vengo-
no a essere i due termini contrapposti,
significando quella le utilità naturali
della vita e questo le artificiali esigenze;
ond' è che quella in certa società si ri-
duca concicsa e Tile e questo trionfi ir-
resistibile e applaudito. — T'era assai
meglio, cioè «vi sarebbe stato»: l'in-
dicativo per il condizionale; uso rapido
ed efficace, classico (lat. satius fuit) e
sempre vive: Tasso Am. Ili 2, 107 « Bello
e dolce morir fu certo allora Che uc-
cidere io mi volsi ». De' moderni è usi-
42
IL MATTINO
L'ore fien queste ancor, che a te ne vegna
Il delicato miniator di belle,
Ch' è de la corte d'Amatunta e Pafo
Stipendiato ministro, atto a gli affari
745 Sollecitar de l'amorosa dea.
Impaziente or tu l'affretta e sprona,
Perché a te porga il desiato avorio
Che de le amate forme impresso ride,
Sia che il pennel cortese ivi dispieghi
750 L'alme sembianze del tuo viso, ond' abbia
Tacito pasco, allor che te non vede,
La pudica d'altrui sposa a te cara.
Sia che di lei medesma al vivo esprima
Il vago aspetto, o, se ti piace, ancora
755 D'altra bella furtiva a te presenti
741 8g. L'ora fia questa ancor che a te couduca II dilicato — 743. Che de la corte
d'Amatunte uscio (B., CI., C, ma B. e C. Amatunta) — 745. diva V. (B., CI., C.) —
746 sg. Or tu l'affretta Impaziente e sprona Si che V. (B., CI.) impaziente tu l'affretta
e sprona Si che C. — 749. O che — 750. aggia V. (B.) — 753. O che — 754. L' imagiu
vaga — 755. D' altra fiamma
tatissimo all'Alfieri — dal ferace corno :
ferace dicesi propriamente la terra, che
porta frutto; qui è per affinità di senso:
e r imagine è presa dal favoloso corno
dell'abbondanza, cornu copiae. — Ter-
sar su r arti a lui yassalle, a lui asser-
vite, applausi : un corno metaforico può
versare anche cose immateriali; del re-
sto questi applausi fanno tutta una cosa
con premi e ricchezze; non contesi mal
questi, a differenza della mercede ne-
gata agli operai e artefici. Su la bel-
lezza elica di questo passo, vv. 715-10,
è parola nella prefazione.
741. Cfr. la nota al v. 715.
742. delicato, aggettivo che si adatta
a colui in quanto miniatore e gli di-
sdice in quanto esercita gli uffici di
cui appresso; e però scelto con la so-
lita felice acutezza. — belle, sostantivo.
743-45. de la corte d'Amatunta e Pafo,
città dell' isola di Cipro e però sacre a
Venere : Virgilio Aen. x. 51: «Est A-
mathus, est celsa niihi Papho ». — La
var. de la corte d'Amatunte uscio fu
segnata dal P. fors'anche per questo, che
gli parve più corretta la desinenza Ama-
tunte che Amatunta, e Amatunte e
Pafo non gli piacque per l' incontro de'
due e. Certo è che il uome di quella
città C AjuaiSovg) appare le più volte ne'
poeti latini, p. es. in Catullo e in Ovidio,
nella {orma. Amathimta dell'acc. greco,
e quindi con tal forma passò ne' poeti
italiani. Proprio in Amatunte apparisce
adunata la corte di Venere nel e. xvi
dell'AdoJie del Marini : non saprei se il
P. ciò avesse a mente, forse no. — atto
a gli alTari Sollecitar : o sìa, a sollecitare,
procurare abilmente gli affari: secondo
r uso elegante d' inchiudere tra la pre-
posizione e r infinito 1' oggetto di que-
sto, come a miracol mostrare, per lui
salvare, loer ver dire.
746. tn l'affretta e sprona : lascia in-
tendere che r altro fa un po' il reni-
tente e il misterioso; si fa itregare.
747 sg.. il desiato aTOrio Che ecc.,
cioè sul quale è miniato il ritratto delia
tua dama. — ride: il Caiitù cita il dan-
tesco « ridon le carte Che pennelleggia
Franco bolognese » Purg. xi 82: quivi
pure si tratta d'un miniatore, e l' espres-
sione è ne' due luoghi fresca e felice.
749-56. Tre casi: o è il ritratto di lui
per la sua dama, o quello di lei, o quello
d'altra beila furtiva, un amoretto na-
scosto, una che si lascia ritrarre con
meno veli. Tuttavia, siccome i tre casi
seguono per queste tre disgiuntive ai
IL MATTINO 43
Con più largo confin le amiche membra.
Doman fie poi che la concessa imago
Entro arnese gentil per te si chiuda
Con opposto cristallo, ove tu faccia
760 Sovente paragon di tua beltade
Con la beltà de la tua dama; o ai guardi
Degl' invidi la tolga e in sen l'asconda
Sagace tabacchiera; o a te riluca
Sul minor dito in fra le gemme e l'oro;
765 O de le grazie del tuo viso desti
Soavi rimembranze al braccio avvolta
De l'altrui fida sposa a cui se' caro.
Ed ecco alfin che a le tue luci appare
L'artificio compiuto. Or cauto osserva
770 Se bene il simulato al ver s' adeguo;
Vie più rigido assai, se il tuo sembiante
Esprimer dènno i colorati punti
Che l'arte ivi dispose. Oh quante mende
Scorger tu vi saprai! Or brune troppo
775 A te parran le guance ; or fia eh' ecceda
J versi 757-767 nella stampa venivano dopo il v. che qui è 814, e con quelle
757
(0(. J- versi «i)<-<K< n..ii>. ».-".i-- » - „ -a r< nn =n
varianti che appariranno dal brano trascritto a suo luogo — Ibi. fia B., O. - ib» s.
Ma poi che al fine a le tue luci esposto Fia il ritratto gentil, tu cauto L artifizio
B. — 770. s'adegui B. risponda
versi 747-8 in cui dunque debbono es- in nobile arnese un di si chiuda ecc.
sere virtualmente compresi tutti, par- vien come a dire : prendine intanto una,
andosi in quelli de le amate forme, può la gemella verrà poi. Nella var. seguita
parere strano che ci debba entrare il da noi si può supporre che fosse già
primo caso, che la miniatura è del ca- venuta. - in sen l'asconda Sagace tabae-
valiere. Ma in fondo poi è verissimo che chiera, accorta, avveduta, che nasconde
colui ama non meno le forme propri'e ciò che non si vuol mettere i° Pubblico;
che quelle delta dama: e i versi 771 sg. è il caso che il ritratto sia della bella
aggiungono il commento. furtiva, o a te riluca Snl minor dito ecc. :
757-'67. la concessa imago, impetrata, m uno tra gli anelli ingemmati che hai
ottenuta; abbiam visto, v. 717-8. che fu nel mignolo; ciò quand' il ritratto è quel
desiderata e fatta desiderare. - per te, della dama. 0 de le grazie ecc. : in un
cioè da te: uso classico di esprimer de' braccialetti della dama,
l'agente come il mezzo. - L'arnese 771-73. Vie pid rigido assai, se ecc.:
gentil, stante il doman che precede, è più che mai rigoroso, quando la mi-
assai probabilmente un medaglione, e niatura figuri te. - 1 colorati pnnti Che
intenderei un medaglione ove siano l'un l' arte... dispose : è precisa descrizione
di fronte all'altro i due ritratti, di lei del mimare.
e di lui. Se no, non vedocom'ei possa 774. tu, non è indifferente che sia
fare quel confronto che il p. dice. Av- espresso o sottinteso; è un tu che e-
verti che quest' intelligenza è confer- scinde ogni altro. Agli altri il ritratto
mata dalla prima lezione di questo pas- parrebbe forse troppo bello,
so : giacché, dicendo questa V imma- 775 sg. or fla eli' ecceda Mal frenata
yine compiuta intanto serba Perché la bocca: troppo larga.
44 IL MATTINO
Mal frenata la bocca; or qual conviene
A camuso Etiope il naso fia.
Ti giovi ancora d'accusar sovente
Il dipìntor, che non atteggi ardito
780 L' agili membra e il dignitoso busto ;
O che con poca legge a la tua imago
Dia contorno, o la posi o la panneggi.
E ver che tu del grande di Crotone
Non conosci la scola, e mai tua destra
785 Non abbassossi a la volgar matita
Che fu nell'altra età cara a' tuoi pari,
Cui non gustate ancora eran più dolci
E più nobili cure, a te serbate.
Ma che non puote quel d'ogni scienza
790 Gusto trionfator, che all'ordin vostro
In vece di maestro il ciel concesse,
E d'onde a voi coniò le altere naentl,
Acciò che possan de' volgari ingegni
Oltrepassar la paludosa nebbia,
795 E, d'etere più puro abitati'ici,
Non fallibili scerre il vero e il bello ?
Perciò qual più ti par loda, riprendi,
776. conviensi (B.) — 777. Al — 778. Ancor ti giovi d'accusar, Anco sovente d'ac-
cusar ti piaccia Vv. {la 2* scelsero B., CI., C.) — 779. atteggi industre — 781. O che
mal tra le leggi (?) a la tua forma V. (CI.) a la tua forma B., C. — 784. scuola, e mai
tua mano — 787. Cui sconosciute (B., C.) — 789. d' ogni precetto — 792. Ed onde —
793. dell' umau confine V. (B.) — 795. E d'aere — 797. Però... loda o riprendi V. (B.,
CI., C. ma B. e riprendi)
777. A camuso Etiope, a un moro dal 786. neir.iltra età, per l' innanzi,
naso schiacciato. E t io 2Je è fatto piano 787. Cui non gustate: il dativo coi pas-
per comodo del verso, licenza non in- sivi a esprimer T agente è classicismo
frequente. squisito: p. es. Georg. Ili 6 «Cui non
778 sg. Ti giovi, piacciati. — indù- dictus Hylas ... •? ». Cosi un' espressione
stre, valeva: con arte. peregrina sottentra all'altra un po' trita
783 sg. del grande di Crotone Non co- cui sconosciute.
nosci la scuola: vale a dire, non sai di 789-96. È un pensiero analogo a quelli
pittura, non te n' intendi. La designa- che vedemmo ai vv. 244-51. all' ordin
zione il grande di Crotone non con- vostro: ordine in questo senso è lati-
viene affatto ad Apelle : può in vece nismo. E d' onde a voi coniò ecc. : e col
adattarsi a Zeusi, nato veramente a Era- qual gusto die forma alle vostre menti;
elea (V sec. av. e.) ma chiamato dai Cro- a dirittura il gusto fu lo stampo onde
toniati per i quali fece opere insigni. uscirono. — la paludosa nebbia, aere pili
785. non abbassassi a...: espressione puro: anche quest'espressione e tutta
forse non molto eletta per sé stessa, ma la metafora richiamano un luogo pre-
deli' uso e del sentimento di quei tali; cedente, vv. 706-08. — Non fallibili, cioè
comunissima tuttora. Del resto, anche senz' esser soggetti a errore,
uella già cit. egl. pese. v. 5 «or t' ab- 797. loda, riprendi: efficacissimo que-
bassi a venir meco in contesa ». sto asindeto eh' è nella prima lezione e
IL MATTINO 45
Non men fermo d'allor che a scranna siedi,
Raffael giudicando, o l'altro egregio
800 Che del gran nome suo l'Adige onora;
E a le tavole ignote i noti nomi
Grave comparti di color che primi
Furo ne l'arte. Ah! s'altri è si procace
Ch' osi rider di te, costui paventi
805 L'angusta maestà del tuo cospetto.
Si volga a la j)arete, e mentre cexxa
Por freno in van col morder de le labbra
A lo scrosciar de le importune risa
Che scoppian da' precordi, violenta
810 Convulsione a lui deformi il volto,
E lo affoghi aspra tosse, e lo punisca
Di sua temerità. Ma tu non pensa
Ch'altri ardisca di te rider giammai,
E mai sempre imperterrito decidi.
816 Or giunta è al fin del dotto pettin l'opra,
E il maestro elegante intorno spande
799. o l'altro eguale — 803. Fui- tra' pittori. ne l'arti B. — 804. pavento V. (CI.)
— 806. mentr' ei cerca — 812. non pensi C. Dopo il v. 814 Or l'immagin compiuta in-
tanto serba Perché in nobile arnese un di ei chiuda Con opposto cristallo ove tu facci
Sovente paragon di tua beltade Con la beltà de la tua Dama, o agli occhi Degl' invidi
la tolga, e in sen l'asconda Sagace tabacchiera, o a te riluca Sul minor dito fra le gemme
e l'oro, O de le grazie del tuo viso desti Soavi rimeuibranze al braccio avvolta De la
pudica altrui sposa a te cara — 815. Ma — 816, Già il
conforme all' uso classico di metter vi- va ad alti argomenti, e. Il l, 37.
cine senza congiuntive o disgiuntive due 804-12. paventi L'angnsta maestà ecc.
parole esprimenti concetti opposti, per Sembra che voglia dire: si astenga dal
esempio velis nolis, serius ocius. ridere per rispetto. Ma che! segue, giu-
799 sg. Raffael gindicando : Raffaello sta un uso classico e singolarmente vir-
Sanzio, il divino de' pittori modenii, n. giliano, una coordinata che determina
a Urbino l'a. 1483, m. a Roma il 1520. il senso: SI volga a la parete. Ecco in
— r altro egregio Che ecc. : Paolo Ca- qual modo si dee « paventare » dell' e-
liari, detto Paolo Veronese, gloria di roe; ridere si, di lui, ma voltandosi in
Verona sua patria cui T Adige bagna; là. E gli sforzi per contenere il riso e
mori, circa sessantenne, nel 1588. lo scoppiare infrenabile di esso, coi
801-02. E a le tavole ignote i noti nomi moti e la tosse che ne seguono consi-
Grare comparti ecc. É un tratto siiigo- derati quasi punizioni dell'irriverenza,
larmente gustoso, e sempre vivo, almeno allargano e compiono la maravigliosa
finché il dilettantismo imperversi : spes- corbellatura.
so in fatti capita incontrare di tali al- 812. Ma tn non pensa, per: « non pen-
legri presuntuosi, facili dispensatori di sare », ma non è dell'uso vivo, né caro
battesimi eroici. ai nostri classici (in latino si: ne j^lora,
803. procace: sfacciato; propriam. si ne Urne, ne roga, aXìdXo a. ne molestus
dice di sfacciataggine impudica, ma an- sis, ne feceris...). Vedremo altri esempi
che di chi fa ciò che per lui è troppo gran a vv. 979, 984 etc. Anche nell'Alfieri,
cosa: iJrocaa; era per Orazio la sua Musa p. es. Filippo I 2, i7, «dolor si caldo
quando, lasciati gli scherzi, s'arrischia- Dunque non u' abbi ».
46 IL MATTINO
Da la man scossa polveroso nembo,
Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.
D'orribil piato risonar s'udio
820 Già la corte d'Amore. I tardi vegli
Grinzuti osar coi giovani nipoti
Contendere di grado in faccia al soglio
Del comune Signor. Rise la fresca
Gioventude animosa, e d' agri motti
825 Libera punse la senil baldanza.
Gran tumulto nascea ; se non che Amore,
Oh' ogni diseguaglianza odia in sua corte,
A spegner mosse i perigliosi sdegni ;
E a quei che militando incanutirò
830 Suoi servi apprese a simular con arte
I duo bei fior cbe in giovenile gota
Educa e nutre di sua man natura ;
Indi fé' cenno, e in un balen fur visti
Mille alati ministri alto volando
835 Scoter lor piume, onde fioccò leggera
817. un polveroso — 822. Già contender V. (CI., C.) — 823. Del comune lor dio V.
(B., CI., C.) — 827. disuguaglianza B. — 830. impose d' imitar apprese ad imitar V.
— 831. giovanile B. — 832. nudre V (B., CI., C.) — 835. Scoter le piume, e lieve indi
fiocconne Scuoter B.
817. Da la man scossa , scotendo la 826. nascea, cioè « era per nascere,
mano; polveroso nembo, una nuvola di sarebbe nato» (ricorda la osservazione
polvere (anche in lat. pulveream nu- al v. 736), ma più rapido e vivo.
beni, pulveris nimbum) ; onde, con la 829 sg. Se s' interpungesse E a quei,
quale. A dichiarare che polvere sia e c?ie militando incanutirò Suoi servi,
perché cosi si usi, segue sùbito un epi- apprese etc. (cosi il Bramieii , suoi
sodietto dal v. 819 al 841. servi verrebbe a essere un predicato,
819. D' orribll piato : una gran lite, e e significherebbe quelli che si fecer vec-
propriamente di quelle che si risolvono chi servendo lui; ma a ciò bastali mi-
in giustizia 0 a corte. L' oggetto della litando. E poi qui, dove il p. contrap-
lite è raccontato nel seguente periodo. pone i due partiti presi da Amore per
822. Contendere di grado, contendersi i giovani e peri vecchi a fine di dar loro
il primo luogo, ma è costrutto più scelto uu aspetto comune, suoi servi si unisce
e tutto classico. In un prologo teren- manifestam. a QMet, da cui per eleganza
ziano, Hecyra 41, vi è un « pugnant de è staccato : « a quei suoi servi che sotto
loco ». la sua insegna sono invecchiati ». — mi-
823 sg. la fresca Gloren tilde animosa: litando: ricorda il notissimo ovidiano
avverti la euritmica rispondenza al « Militat omnis amans ».
tardi yegU Grinzuti ; precisamente la 831 sg. I dno bei fior..., il roseo delle
freschezza si contrappone alle rughe, guance. Avverti come con abbondante
la vivacità alla lentezza. — d'agri motti, eleganza è espresso ciò che è spontanea
spiacevoli, ofifensivi : agro si dice prò- opera di natura, non simulazione arti-
priam. di un sapore, quello del limone. liciosa.
825. Libera, senza nessun riguardo, 831. Mille alati ministri: gli Amorini
multa cum liberiate. — la senil bai- che servono Amore.
danza, pur ora divisata. S35 sg. leggera Candida poire: la ci*
IL MATTINO 47
Candida polve che a posar poi veune
Su le giovani chiome, e in bianco volse
E il biondo e il nero e 1' odiato rosso,
L' occhio cosi ne 1' amorosa reggia
84.0 Più non distinse le due opposte etadi,
E solo vi restò giudice il tatto.
Tu pertanto, o Signor, tu che se' il primo
Fregio ed onor dell' acidalio regno,
I sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
84.5 Già da provvida man la bianca polve
In piccolo stanzin con 1' aere pugna,
E degli atomi suoi tutto riempie
Egualmente divisa. Or ti fa' core,
E in seno a quella vorticosa nebbia
C50 Animoso ti avventa. — Oh bi'avo! oh forte!
Tale il grand' avo tuo tra '1 fumo e 'i foco
Orribile di Marte, furiando
Gittossi allor che i palpitanti Lari
De la patria difese, e ruppe e in fuga
855 Mise 1' oste feroce. Ei nondimeno,
836. a posar si venne B. — 838. Il biondo il nero e l'o. r. (CI., C.) — 842. Or tu adunque,
o Signor, — 843. dell'amoroso de l'acidalio B. — 845. Pria — 855 Bl non pertanto.
pria. — a posar poi Tenne : come legge- in quanto com' è detto, è in balla dei-
rissima che è, lentamente si posa; e Tarla che la porta e sparge; ma l'espres-
questo il p. significò col poi, che altri- sione, come ognun sente, inadeguata
menti il suono e .1' uso gli avrebber fa- serve al sarcasmo, non meno che Tanl-
cilmente dettato a posar si venne: cfr. moso ti avventa: e ambedue conducono
il v. 845. air ammirazione e alla comparazione
838. E il biondo e....: il polisindeto seguente.
par render bene la uniformità che av- 853. I palpitanti Lari : i Lari erano
volse i colori. propriamente divinità protettrici della
839. COSI : cioè dopo che i vecchi eb- casa, e son nominati per le case stesse
bero i pomelli delle gote rubicondi e i («Lares et urbem» dice Orazio nel carme
giovani le teste bianche. secolare) ; ma anche « praesunt moeni-
843. De l'acidalio regno: cioè del re- bus urbis» Ovidio, Fast. V 135, come
gno di Venere, la quale è detta acidalia, i Penati. Il p. li determina con l'aggiunta
(v. « Matris Acidaliae » nella Ae>i. I 720) De la patria, e li chiama palpitanti, tra-
da una fonte di Orcomeno in Beozia, sferendo a essi la trepida angoscia de'
lavacro della dea e delle Grazie. Il p. cittadini stretti da grande pericolo,
non ha approvato la I' lez. de V amo- 855. 1' oste feroce : il nemico che si
roso regno, perché quattro versi in- accampava minaccioso. Ma oste nei no-
wdinzì e' è^ ne l'amorosa reggia Q^evché stri classici vale esercito; la determi-
qui il verso avea troppi r. nazione dei nemici qui è sottintesa.
846-'48. Con l'aere pngua: per la sua 855-'65. Ei nondimeno ecc.: il sarca-
levità quella polvere riman sospesa ed smo del p., non contento d'aver messa
errante nelT aria, dalla quale è diffusa, di pari la lustra flguretta del nipote con
egualmente divisa, per l'ambiente. quella fiera figura dell'avo, anche trova
849 sg. Vorticosa nebbia: vorticosa una cosa, nella quale l'avo cede al uipota.
48 IL MATTINO
Fuligginoso il volto, e d' atro sangue
Asperso e dì sudore, e co' capegli
Stracciati ed irti, de la mischia uscio,
Spettacol fero ai cittadini stessi
SGO Per sua mau salvi ; ove tu, assai più vago
E leggiadro a vederse, in bianca spoglia
Scenderai quindi a poco a bear gli occhi
De la cara tua patria, a cui dell' avo
Il forte braccio, e il viso almo celeste
6G5 Del nipote dovean portar salute.
Ella ti attende impaziente, e mille
Anni le sembra il tuo tardar poc' ore.
Non vedi ornai qual con solerte mano
Rechin di vesti a te pubblico arredo
870 I damigelli tuoi ? Rodano e Senna
Le tesserono a gara; e qui cucille
Opulento sartor, cui su lo scudo
Serpe, intrecciato a forbici eleganti,
Il titol di Monsieur; né sol dà leggi
875 A la materia la stagion diverse,
856. Fuliginoso B., CI., C. — 858. da la mischia — 859. a' cittadini istessl a l cit-
tadini istessl B. — 860. pili dolce — 861. vedersi (B.) — 862. Uscirai — 866 sg. Il C. con
CI. omette questi due versi e qui pone in nota (non certo delle sue buone) : « questo bel-
lissimo brano fino ad Ella ti attende è in gran parte nuovo: in parte rimpastato ». Ma
l" Ella ti attende^ nel suo testo non vien mai: forse volle scrivere : fino a ' Figlie de la
Memoria '. — 868-73. È tempo ornai che i tuoi valletti al dorso Con lieve man ti adat-
tino le vesti Cui la moda e '1 buon gusto [bougusto V] in su la Senna T'abbian tessute
a gara, e qui cucito Abbia ricco Sartor che iu su lo scudo Mostri — 874. Monsù B.,
CI., C. — Non sol dia
E il braccio di quello e il viso di questo Qui per altro, dati immediatamente due
soli pareggiati negli effetti e coordinati. nomi di fiume per soggetto a un verbo
8G6 s?. Questi due versi con l' imagiue come tesserono, ha dell'ardito assai;
dell' impazienza della patria danno il pur senza scàpito di chiarezza imme-
passaggio a narrare il vestirsi dell'eroe. diata. Certo la 1' lez., ove son la moda
869. di vesti... pubblico arredo, cioè e il buon gustai tessitori, è piana e
vesti da uscire in pubblico, da andar bella anch' essa: ma non v'era mento-
fuori : ma è forse più bello di suono e vato altro fiume che la Senna, e conve-
di squisitezza che non di proprietà e niva accennar la città famosa per le
chiarezza. fabbriche di seta.
870 sg. Uòdano e Senna Le tesserono a S72-'74. su lo scndo, l'insegna: e guar-
derà : Lione e Parigi. È consueto a' poeti da com' essa è garbatamente colorita
antichi e a' nostri di porre il nome de' in questi versi.
fiumi per quello delle città ch'essi fiumi S74-'77. né sol dà leggi...: cioè, non
bjignano. Insigne l'esempio del Petrar- solo le vesti son varie secondo le sta-
ca, nella canz. Italia mia: gioni ma anche secondo i giorni e le
Piacemi almen che' miei sospir sien quali «re. Ma con che solennità è detto ciò!
Spera '1 Tevere e l'Arno avverti specialmente il dà leggi a la
E '1 Po, dove doglioso e grave or seggio. materia, e il diverse cosi bea collocato.
IL MATTINO 49
Ma, qual più si conviene al giox-no e all' ora,
Vari sono il lavoro e la ricchezza.
Vieni, o fior degli eroi, vieni: e qual suol©
Nel più dubbio de' casi alto monarca
SSO Avanti al trono suo convocar lento
Di satrapi concilio, a cui nell' ampia
Calvizie de la fronte il senno appare ;
Tal di limpidi spegli a un cei'chio in mezzo
Grave t' assidi e lor sentenza ascolta.
8S5 Un, giacendo al tuo pie, mosti'i qual deggia
Liscia e piana salir su per le gambe
La docil calza: un sia presente al volto,
Un dietro al capo; e la percossa luce
Quinci e quindi tornando, a un tempo solo
890 Tutto al giudizio de' tuoi guardi esponga
L' apparato de 1' arte. Intanto i servi
A te sudino intorno ; e qual, piegato
Le ginocchia in sul suol, prono ti stringa
Il molle pie di lucidi fermagli ;
805 E qual del biondo crin che i nodi, eccedo
Su la schiena ondeggiante in negro velo
I tesori raccoglia ; e qual già pronto
Venga spiegando la nettarea veste.
Fortunato garzone, a cui la moda
900 In fioriti canestri e di vermiglia
876. ma sien qual si conviene — 877. Sempre vari il — 878-94. Sono aggiunti
881. ne l'ampia B. — 834. la sentenza B. — 833. pronto B. ma /orse per errore.
878-'S4. Un' altra originale compara- ® 100:
zione e piena di signilicato : quel che Rivolto ad essi fa' che dopo il dosso
fa un gran re d'oriente per gravissime ti «tea un lume che i tre specchi accenda
cose di stato, nel plii dubbio de' casi, e e torni a te da tutti ripercosso.
il Giovin signore fa per meglio addob- Qfj._ anche ivi ni 10-15.
bare la sua persona; e come intorno 895-'97. L'Alfieri nella Sat. I v. 23 :
al primo stanno i solenni e calvi con-
siglieri, cosi intorno a questo i limpidi Oh nuova cosa, or che il distinguo, è questa,
spcirli. Giovin d'aspetto, ha il crin canuto e folto,
uv-r 'on __ ,1- .....„„_»« «1 .,„!*„ „;^\ ^ 3'd ogni scossa della ricca testa
867-89. nn sia presente al volto, cioè ^. , . ... , , . ,
.'.,.,. , . Di bianca polve la denso nembo è involto ;
davanti agli occhi. - e la percossa ince... p„,^^ ^^j, ^^^^^^^^ .,palle, infra cui pende
tornando : esprime esattissuno come, d^i crin l'avanzo in negra tasca accolto,
cosi disposti i due specchi, per la ri-
flessione dei raggi riesca visibile la pet- 898. la nettarea veste, divinamente
tinatura tutta quanta. Il percolere e il olezzante : ognun sa il largo uso che
tornare in questi significati sono giii presero ne' poeti gli aggettivi ambrosio
ia Dante, Par. ii 89: e nettareo, qualificando ogni cosa per-
. . . color torna per vetro Unente a esseri divini. Ambrosie vesti,
lo qual di retro a sé piombo nasconde, ù/j/ìgota eìfiara, è omerico.
I'àuin'i — Albini 4
50
IL MATTINO
Seta coperti preparò tal copia
D' ornamenti e di pompe ! Ella pur ieri
A te dono ne feo. La notte intera
Faticaron per te cent' aghi e cento,
905 E di percossi e ripercossi ferri
Per le tacite case andò il rimbombo :
Ma non in van, poi che di novo fasto
Oggi superbo nel bel mondo andrai :
E per entro l' invidia e lo stupore
910 Passerai de' tuoi pari eguale a un dio,
Folto bisbiglio sollevando intorno.
Figlie de la Memoria inclite suore,
Che invocate scendendo, i fieri nomi
De le squadre diverse e de gli eroi
915 Annoveraste ai grandi che cantai-o
Achille, Enea e il non minor Buglione,
Or m' è d'uopo di voi; tropp' ardua impresa,
E insuperabil senza vostra aita,
Fia ricordare al mio Signor di quanti
920 Leggiadri arnesi graverà sue vesti.
Pria che di sé nel mondo esca a far pompa.
Ma qual di tanti e si leggiadri arnesi
Si felice sarà che innanzi a gli altri.
Signor, venga a formar tua nobil soma ?
925 Tutti importan del pari. Ecco 1' astuccio,
912. A questo nella stampa precede il tratto che poi l'autore traspose e che qui è ai
versi 114S-68. — 913. vendeste e i feri — 921. di se medeaino esca a (B.) — 922. tra
tanti (B.) — 923. pria d'ognaltro — 925. del par. Veggo
911. Verso di bellezza epica. Ricorda
il parlare degli astanti al .passare di
Elena, II. ìli 154 sg.
912-'17. Figlie de la Memoria..., le nove
Muse : le quali, secondo la teogonia pre-
valente (vedi p. es. Ciò. de nat. deorum III
21, 51), eran figliuole di Giove Saturnio
e di Mnemosine. I poeti epici sogliono
invocare la Musa.o le Muse o la Memo-
ria lor madre non pure a principio de'
poemi, si anclie quando son per narrare
cose di singolare importanza, e special-
mente, eh' è il caso qui designato dal-
l'autore, innanzi a cataloghi e rassegne.
Stando a' poeti qui mentovati. Omero,
Virgilio e Torquato Tasso, tra i luoghi a
cuiil p. nlluse puoi vedere Iliade II 484
6gg., Ae>t. VII Oli *gg., Gerus. lib.lZò:
Mente, degli anni e de l'oblio nemica,
JJe le cose custode e dispousiera,
Vagliami tua ragion si ch'io ridica
Di quel campo ogni duce ed ogni schiera.
Senza l' aiuto delle Muse quei poeti non
sapevan ridire tutti gli eroi, né il P.
tutti i leggiadri arnesi dell'eroe suo.
924. tua nobil soma: soma è carico
grave, e chi la porta ha nome da essa;
però r aggiunto dato a questo nome non
serve che a maggiore efficacia.
925 sgg. Ecco l'astncclo... Sdegnar la
tnrb.i: cioè si fa sùbito notare tra l'altre
bagattelle, attira primo l'attenzione per
la sua grandezza : nota la frase occupar
di sua mole che sarebbe impropria,
tanto è solenne e grave, se non avesse
r intento satirico. Tutto questo passo
IL MATTINO
51
930
935
Di pelli rilucenti ornato e d' oro,
Sdegnar la turba e gli occhi tuoi primiero
Occupar di sua mole ; esso a cent' usi
Opportuno si vanta, e ad esso in grembo
Atta agli orecchi, ai denti, ai peli, all' ugne,
Vien forbita famiglia. A i primi onori
Seco s' affretta d' odorifer' onde
Pieno cristal, che a la tua vita in forse
Doni conforto allor che il vulgo ardisca
Troppo accosto vibrar da la vii salma
Fastidiosi effluvi a le tue nari.
926. pelle rilucente — 928. a mill'uopl — 929. in grembo a lui — in g. ad esao V.
931-'33. A lui contende I primi onori d' odorifer' onda Colmo cristal — 932. onda B-
934. Rechi soccorso... ardisce.
ne richiama a mente (e dovè anche il P
averlo a mente) uno del Gozzi nel già ci
tato sermone gì' Innamorati moderni
Benché assai noto, giova riferirlo, an
che per utili raffronti di stile. Il bellim
busto
traggo
Dalla saccoccia un lucido specchietto.
Inverniciato un bossolo ove chiuda
Poi ver di Cipri, un aureo scatolino
Di nei ripieno, un pettine pulito
Di bianco avorio, un vasellin di puro
Cristal con acqua, onde arrecar ristoro.
Se mal odore il dilicato naso
Offende, o se de' nervi occulto tremito
Fa la dama svenir. Fra mio cor dico:
Oh beati d'amor servi, cambiati
In pettiniere in cassettine e bolge!
Trotta, sesso più nobile e maschile,
Come asinel che sul mercato porti
Forbici cordelline agucchie e nastri
Di qua di là sugl'incalliti fianchi.
È proprio la nobil soma.
928-'31. a cent'nsi Opportuno sì rauta:
cioè, serve a tante cose, ma il p. ado-
pera sempre modi che diano vita e
azione agli oggetti e ai ninnoli che viene
enumerando; e i cent'nsi sono poi sù-
bito esemplificati in quella forbita fa-
miglia eh' è dentro l'astuccio, i lucidi
vara ferruzsuoli, direbbe l'Ariosto. I
cui versi, benché non siano di partico-
lare attinenza a questo luogo ma si al-
larghino a tutto che precede intorno al
vestirsi e lisciarsi, mi sembrano utilis-
simi a l'ecare qui dalle vivaci schiettis-
sime eleganze de la Cassaria, V 3:
Ma che diremo noi de' nostri gioveni,
Che per virtù s'avriauo a far conoscere
Ed onorare ? 11 tempo che dovriano
Spender per acquistarla, anch'essi pèrdono
Non meno in adornarsi e fin a mettere
Il bianco e il rosso. Fan come le femmine
Tutte le cose: han lor specchi, lor pettini,
Lor pelatoi, lor stuccetti di varii
Ferruzzuoli forniti; hanno lor bossoli,
Lor ampolle e vasetti : son dottissimi .
In compor, non eroici né versi èlegi
Dico, ma muschio, ambra e zibetto : portano
Anch' essi i faldiglini che li facciano
Grossi ne' fianchi, e li giubboni empiendosi
Di bambagia nel petto, si rilievano ;
E con cartoni o feltri si dilatano,
E fan larghe le spalle come vogliono :
Molti alle gambe, che ai rassomigliano
A quelle delle grue, con doppie fodero
E le cosce e le polpe anco si formano.
Si che, se in adornarsi s' ha da perdere
Tempo, gli è più escusabil quel che perdono
Le donne.
931 -'36. Sùbito dopo 1' astuccio, col
quale anzi gareggia quasi di precedenza ,
vien la boccettina dell'acqua d' odore, di
odorlfer'onde Pieno cristal: avverti die,
se onda per acqua è comune in poesia,
qui sarebbe sproporzionato e fuor di
luogo, ove non fossero quali ben cono-
sciamo l'intonazione e l'intendimento;
usò il plurale onde per non avere vicino
a s'aff'retta un'egual desinenza; in fatti
prinìa, che diceva contende, aveva usato
onda. Avverti poi che, a determinare i
servigi di quell'acqua d'odore, sceglie
il caso d'un capogiro o svenimento della
dama, e quello particolarmente che a
Né men pronto di quello e a 1' uopo stesso
L' imitante un cuscin purpureo drappo
Reca turgido il sen d' erbe odorate •
940 Che 1' aprica montagna in tuo favore
Al possente meriggio educa e scalda.
Ecco vien poi da cristallina rupe
Tolto nobil vasello. Indi tralace
Prezioso confetto ove a gli aromi-
945 Stimolanti s' uni 1' ambra, o la terra
Che il Giappon manda a profumar de' grr.ndi
L' etereo fiato ; o quel che il Caramano
Fa gemer latte da l' inciso capo
De' papaveri suoi, perché, se mai
950 Nou ben felice amor 1' alma t' attrista,
Lene serpendo per le membra acqueti
A te gli spirti, e ne la mente induca
Lieta stupidità che mille aduni
Immagin dolci e al tuo desio conformi
937. di quella all' — 939. Mostra — 942-'44. Seco vlen pur di cristallina rupe Pre-
zioso vasello onde traluce Non volgare confetto — 942. Seco vlen pur (B.) — 943. Il
non volgar V. (B., CI., C.) — 949. perché, qualora — 951. per li membri acquete V. (CI.
C.) — 953 adune V. (CI. C).
lei cagioni una vicinanza volgare. — vi-
brar, esprime esalazioni acri e disgu-
stose. — da la vii salma, quasi che quei
corpi sian tutta materia, corpus nine
pectore, e la matei-ia più vile. In prin-
cipio al dialogo della nobiltà dice il no-
bile ' Or perché ardisci tu di starmi cosi
Atto alle costole come tu fai? ', e il poeta
risponde: 'Signore, s'io stovvi cosi ac-
costo, incolpatene una mia depravazione
d'olfatto, per la quale, mi sono avvezzo
a' cattivi odori. Voi puzzate, che è una
maraviglia. Voi non olezzate già più
muschio e ambra voi ora. Quanto soii
io obbligato a cotesti bachi che ora vi
si raggirano per le intestina 1 Essi de-
stano efiBuvj cosi fattamente soavi ',
etc.
937-'41. Uq cuscinetto di stoffa pre-
ziosa e pieno di aromi va in compagnia
della boccettina dell'odore e rende gli
slessi servigi. Il cuscinetto Kcca turgido
11 sen, cioè è imbottito, d' erbe odorate
Che.... scalda : due versi mirabili che
improvvisamente allargano la scena da
quelle piccineria artificiose all' aperta
natura in pieno sole, aprica. — possente
meriggio, stupendo aggettivo che ne' due
verbi educa e scalda ha sua esplicazione :
e tra tanto fulgore naturale e schietta
s'insinua, quasi insidioso, queir In tao
favore !
942 sg. da cristallina rnpe Tolto nobil
vasello, cioè, fatto di cristallo di ròcca,
— Indi tralnce, trasparisce da esso.
9t4-'51. Prezioso confetto....: pastic-
che composte di qualche aroma ecci-
tante, p. es. menta o garofano, e di am-
bra o terra catù (la terra Che il Giappon
manda ..), o pure di oppio (qnel che il Ca-
ramauo...). — dall' inciso capo, vale a dire
incidendo e spremendo; uso classico del
participio passato passivo. — perche': al
solito, il fine di tutto è il vantaggio e il co-
modo del Giovin signore. — Lene serpen-
do... : l'oppio diffondendosi per le mem-
bra induce calma, sonnolenza e tra il
dormiveglia una piacevole lusinga di
sogni indistinti. — Lieta stupidità : parole
felicemente significative, trattandosi di
tale a cui secondo il p. ben altro biso-
gnerebbe tli-ì un beato torpore.
IL MATTINO 53
955 A tanto arredo il cannocchial succeda
E la chiusa tra 1' oro anglica lente.
Quel, notturno favor ti pi-esti allora
Che in teatro t' assidi e t' avvicini
Gli snelli piedi e le canore labbra
9G0 Da. la scena rimota, o con maligno
Guardo dell' alte vai logge spiando
Le abitate tenèbre, o miri altrove
Gli ognor nascenti e moribondi amori
De le tenere dame, onde s' appresti
965 A 1' eloquenza tua nel di venturo
Lunga e grave materia. A te la lente
Nel giorno assista, e de gli sguardi tuui
Economa presieda ; e si li parta,
Che il mirato da te vada superbo,
970 Né i malvisti accusarte osin giammai.
La lente ancor, su 1' occhio tuo sedendo,
Irrefragabil giudice condanni
O approvi di Palladio i muri e gli archi,
0 di Tizìan le tele : essa a le vestì,
975 Ai libri, ai volti femminili applauda
«Severa, o li dispregi. E chi del senso
Comun si privo fia che insorger osi
Contro al sentenziar de la tua lente ?
955. eg. A questi arnesi il cannocchiale aggiiigui E la guernìta d'oro — 9.ì8. al tea-
tro V. (B., CI., C.) — 959. O i pie leggeri o lo canore labbra V. (B.) — 960. De la B.
— remota V. (B., CI., C.) — 961. Occhio ricerchi di qualch' alta loggia — 9G2. altronde
V. (B., CI., C.) — 965. Per l'è. tua nel di vicino — 970. accusarti (B.) — 971. La lente
ancora all'occhio tuo vicina — 977. Commuu CI. opporsi uuquanco osi.
955. A tanto anedo, singolare collet- curioso, ma indagatore e malizioso di
tivo : proprio ed elegante, dove la prima chi poi ne avrà gran materia a discor-
lezione A quesH arnesi nou era, qui, l'ere. Di squisita arte sono dell'alte logge
uè l'un né l'altro. le abitate tenèbre e Gli ognor nascenti e
956. la chinsa tra l'oro anglica lente : moribondi amori De le tenore dame.
la lente inglese legata in oro; rocchia- 96S-'70. Economa, dispensatrice avve-
letto, la lorgnette. duta. — e si li parta...: li distribuisca in
958. t'aTTieiiii, parrebbe coordinato a modo, che quelli a cui fai segno di scor-
ti presti deterjiiinando il notturno faror gerii ne abbian cagione di compiacenza,
che rende il cannocchiale, per veder più e non ne abbiano di lagnanza quelli cui
vicine, 0 in una sola efficace parola av- mostri non aver veduti, che di ciò chi
vicinare, le cose. Ma l' insieme del con- ha bisogno d'occhiale è sempre scusato,
testo mostra poi eh' è coordinato a t'as- 971-'78. sedendo, più peregrino che
sidi : lo spettatore per mezzo del can- stando o posando. — Irrefragabil gin-
nocchiale s'avvicina le danzatrici e le dice: assoluto, inoppugnabile: viene a
cantanti. niente VE mai sempre imperterrito de-
960-'64. 0 con maligno Guardo...: non cirfi; anzi, tutto il passo che si chiude con
è il guardare indifferente o solamente quel verso, 797-814, ha con questo luogo
64:
IL MATTINO
Non per questa però sdegna, o Signoro,
930 Giunto a lo speglio in gallico sermone
Il vezzoso giornal; non le notate
Ebui'nee tavolette a guardar preste
Tuoi sublimi pensier fin eli' abbian luce
Doman tra i belli spirti ; e non isdegna
985 La picciola guaina ove a' tuoi cenni
Mille ognora stan pronti argentei spilli.
Oh quante volte a cavalier sagace
Ho vedut' io le man render beate
Uno apprestato a tempo unico spillo !
990 Ma dove, ahi dove inonorato e solo
Lasci '1 coltello a cui 1' oro e 1' acciaro
Donar gemina lama e a cui la madre
De la gemma più bella d'Anfitrite
Die manico elegante, onde il colore
993 Con dolce vainar l' iride imita ?
Verrà il tempo, verrà che ne' superbi
Convivj ogn' altro avanzerai per fama
D' esimio trinciatore , e i plausi e i gridi
970. questi — 080. specchio — 984. tra i begli — 986. Mille stan pronti ognora ar-
gentei spilli — 994. ove — 996. Opra sol fia di lui se ne' superbi — 998. e se l'invidia.
analogia di pensiero e somiglianza di e-
spressioni. — di Palladio... 0 di Tizian...:
nientemeno! l'architetto vicentino (1518-
"SO) e il pittore cadorino (1477-1576), co-
me Raffaello e Paolo Veronese nel passo
Incordato, stanno a significare i grandi
maestri dell'arti ; non v' è grandezza
che ritenga la fatuità insolente dal giu-
dicare con la stessa facilità con che giu-
dica la grazia e l'eleganza delle signoi-e.
E l'inappellabile sentenza è della lente!
979. Non per qnesta però sdegna..., non
isdegnare: v. la nota al v. 812.
980 sg. Giunto a lo speglio...: cioè, e
lo specchio e il giornale francese , ma,
benché sia uso frequente de' classici an-
ziché coordinare più termini esprimerne
taluno come compagnia dell'altro (p. es.
Petrarca, Tr. cl'Am. ui 73: 'Vedi tre
belle donne innamorate, Procri, Arte-
misia con Deidamia '), i termini cosi
enumerati sogliono aver tra loro un
rapporto stretto ; quale non so vedere
tra lo specchio e il giornale. Questo è
detto vezzoso : è opportuno ricordare
che il p. nella sua dedicatoria alla Mo-
da V ha chiamata • vezzosissima dea '.
981 sg. le notate, cioè scritte. — Ebnrnee
tavolette, il taccuino coperto d'avorio, e
l'espressione è derivata dal lat. tabellae.
— a guardar preste, cioè pronte a ser-
bare in quanto appunto noLate.
985. La picciola guaina : L' astuccio
degli spilli, l'agoraio !
990. Ma dove, ahi dove inonorato e so-
lo...: forma enfatica di transizione, di
quelle che ricorrono spesso nelle enu-
merazioni e rassegne de' poemi eroici.
993 sg. la madre De la gemma pid bella
d'Anfitrite: senza perifrasi, la madre-
perla. — Anfitrite, dea del mare, si dice
per il mare; cosi Teti, Nettuno, Nereo
etc. : è p. es. in Catullo lxiv 11.
995. Con dolce variar l' iride imita, è
iridescente. Ricordiamo, v. 655,' il vago
Mutabile color che il collo imiti De la
colomba ' : ov'era da citare, e torna be-
ne anche qui, un'ottava del Tasso, XV 5.
996. Terrà il tempo, verrà..., sarà utile
al suo tempo, ma l' intonazione è so-
lenne e richiama luoghi insigni di poemi,
p. es. della Gerus. lib. xv 30 ' Tempo
IL MATTINO
55
De' tuoi gran pari ecciterai, qualora
1000 Pollo o fagian con la forcina in alto
Sospeso a un colpo il priverai dell' anca
Mirabilmente. Or qual più resta ornai
Onde colmar tue tasche inclito ingombro ?
Ecco a molti colori oro distinto,
1005 Ecco nobil testuggine, su cui
Voluttuose immagini lo sguardo
Invitan de gli croi: copia squisita
Di fumido rapè quivi è serbata
E di Spagna oleoso, onde lontana,
1010 Pur come suol fastidioso insetto,
Da te fugga la noia. Ecco che smaglia,
Cùpido a te di circondar le dita.
Vivo splendor di preziose anella.
Ami la pietra ove si stanno ignudo
lOOO. con le forcine V. (B.) — 1002. Or ti ricolmi alfine D'ambo i lati la giubba ed
oleosa [Il giubbon d'ambo i lati ed oleoso V.] Spagna e Rapè, cui semplice origuela
Chiuda o a molti colori oro dipinto; E cupide ad ornar tue bianche dita Salgan le
anella in fra le quali assai Più caro a te dell'adamante istesso Cerchietto inciso d'amo-
rosi motti Stringati alquanto e sovvenir ti faccia De la pudica altrui sposa a te cara.
verrà che San d' Ercole i segni Favola
vile ai naviganti industri...'.
loco, con la forcina in alto Sospeso:
' Smembrar su la forcina in aria star-
ne', dice non dissimilmente l' Ariosto,
sat. II 143, che dichiara di non posse-
dere né pur quest'arte di cortigiano.
1002. Mirabilmente: efficacissima la
collocazione della parola in fine di frase
e principio di verso; cfr. v. 1154. Petr.
Tr, III 2, 40 ' gli occhi ave' al ciel fissi
Divotamente'. Ed era usitato agli anti-
chi, specialmente agli epici, finire cosi
il pensiero in capo al verso, spesso a
punto con un avverbio o un aggiunto
descrittivo. P. es. Omero Od. VI 219:
cosi bevve e mangiò il paziento divino Odis-
avidamente ; [sèo
Virgilio Georg. I 476:
vox quoque per lucos vulgo esaudita si-
iugens. [lentes
1003. Onde, con che. — inclito ingom-
bro: l'aggettivo suona pregio, il nome
dispregio ; la disarmonia risponde al-
l'intendimento.
100l-"ll. Due tab;icchiere, una d'oro
a smalto — a molti colori oro distluto,
ov'è a notare che il distinguere detto
di colori o di abbellimenti luminosi è
latino —, l'altra di tartaruga con figu-
re lusinghiere. — testuggine, testudo. —
Avverti anche il modo classico di no-
mhiar la materia per l'oggetto, secondo
l'esempio pjeuo se proluit auro. Che
si tratti di tabacchiere si determina so-
lo quando il p. soggiunge che nell'una
sta il rape — fnmido, vaporoso, potente
—, nell'altra lo spagna oleoso, il con-
trario che arido — . (Per la lezione della
stampa, « Origuela città di Spagna som-
ministrava eccellenti radici per fare
scatole » C). L'effetto del tabacco è di
svegliare, scuotere la mente; la noia, il
tedio, di cui già ai versi 8 sgg., vanno
via, ma pur come snol fastidioso insetto,
mosca o zanzara, che, cacciato, ritorna.
1011-"13. Ecco die smaglia...: più co-
mune sarebbe « smagliano (o sia riful-
gono) anelli preziosi di vivo splendore,
desiderosi etc. » ma la qualità prende il
luogo principale. È come a dire: ' Gioca-
sta partorì la forza di Polinice ; l'Averno
rese a Orfeo la bellezza di Euridice ».
1014-"18. la pietra ... opra d' argivi ;
un cammeo greco, col gruppo delle tre
56
IL MATTINO
1015 Sculte le Grazie, e che il Giudeo ti fece
Creder opi'a d' Argivi, allor eh' ei chiese
Tanto tesoro, e d' erudito il nome
Ti comparti prostrandosi a' tuoi piedi?
Vuoi tu i lieti rubini? 0 più. t'aggrada
1020 Sceglier quest' oggi l' indico adamante
Là dove il lusso incantata costrinse
La fatica e il sudor di cento buoi
Che pria vagando per le tue campagne .
Facean sotto a i lor pie nascere i beni ?
1025 Prendi o tutti, o qual vuoi ; ma 1' aureo cerchio
Che sculto intorno è d' amorosi motti
Ognor teco si vegga, e il minor dito
Prèmati alquanto, e sovvenir ti faccia
Dell' altrui fida sposa a cui se' caro.
1030 Vengane alfin de gli orici genamati,
Venga il duplice pondo ; e a te dell' oi-e
Che all' alte imprese dispensar conviene
Faccia rigida prova. Ohimè, che vago
Arsenal minutissimo di cose
1035 Ciondola quindi e ripercosso insieme
1022. e il valor B. — 1030. oiiol B. — 1032. a l'alte B.
Grazie. Somiglia a questo luogo quello
del Foscolo, all'Amica risanata str. 4:
E i monili cui gemmano
Effigiati dèi
Inclito studio di scalpelli achei.
— il Giudeo... a'tiioi piedi : la brutta flgu-
retta è sbozzata vivameute cogliendo i
due particolari più rilevati e in contrasto
tra loro, la sordida truffa e le adula-
zioni smaccate. E il grande conoscitore,
tra le genuflessioni e 1 Vossignoria è
trop2ìo in'elligente..., mi vergognerei
di far notare a Vossignoria .., butta
una somma (nota come eletto ed efficaci
tanto tesoro) in cosa che somiglia a greca
come certe odi pindariche a Pindaro.
1019. 1 lieti rubini : aggettivo propris-
simo al limpido colore rosso chiaro,
veramente allegro, di tal pietra.
1020-"21. l'indico adamante Là doTfi
11 lusso ecc.: il diamante orientale, che
vai più di quanto possa far produrre
alla terra il lavoro di cinquanta paia di
bovi. Ma ciò è espresso con finissimo
studio. — il Inssn incantata costrinse la
fatica e 11 sndor (nota l'endiadi), cioè co-
me per magia racchiuse e fissò in una
gemma il prodotto di tanto lavoro. Al
qual tesoro cosi ridotto in piccolo si con-
trappone l'imagine de' bovi che anda-
vano innanzi e indietro per la campa-
gna suscitando ovunque feracità. — l
beni, la ricchezza utile, le mèssi.
102.ó-"29. qnal: quello che. — 1' anreo
cerchio ecc.: l'anellino d'oro, quasi la
fede dell' infedeltà, deve sempre portar-
si ed essere bene stretto al mignolo.
1030-'"33. de gli orioi ... il duplice
pondo: i due orologi. L'uso di. portar
due orologi è spiegato dal p. con la ne-
cessità che Ila il suo eroe di saper l'ora
giusta e precisa : 1' uuo è riprova del-
l'altro. — rigida prova, per l'aggiunto
cfr. il V. 771.
1034. Arsenal: dal significato suo pro-
prio, di luogo pien di lavoro e di lavo-
ri, la parola è efficacemente, e anche
familiarmente, piegata a indicare, non
senza colore di scherzo, una gran quau-
luà di date cose.
IL MATTINO 57
Molce con soavissimo tintinno !
Ma v'hai tu il meglio? Ah si, che i miei precetti
Sagace prevenisti. Ecco risplende,
Chiuso in breve cristallo, il dolce pegno
1010 Di fortunato amor : lunge, o profani,
Che a voi tant' oltre penetrar non lice.
Compiuto è il gran lavoro. Odi, o Signore,
Sonar già intorno la ferrata zampa
De' superbi corsier, che irrequieti
1013 Ne' grand' atri sospigne, arretra e volge
La disciplina dell' ardito auriga.
Sorgi, e t' appresta a render baldi e lieti
Del tuo nobile incarco i bruti ancora.
Ma a possente signor scender non lice
1050 Da le stanze superne infin che al gelo
O al meriggio non abbia il cocchier stanco
Durato un pezzo, onde 1' uom servo intenda
Per quanto immensa via natura il parta
Dal suo signore. Or dunque i miei precetti
1055 Io seguirò ; che varie al tuo mattino
Tra il V. 1036 e '37 nel B.: Di costi ehe non pende? Avvi perfino Piccioli cocchi
e piccioli destrieri Finti in oro cosi che sembran vivi. Tra il v. 1041 e '42 in B. : E
vui^ de l'altro secolo feroci Ed ispid' avi 1 vostri almi nipoti Venite oggi a mirar. Co'san-
giiìuosi Pugnali a lato le campestri ròcche Voi godeste abitar, truci a l'aspetto E p«r
gran bafiS rigida la guancia Consultando gli sgherri e sol gioiendo Di trattar l'arme che
d'orribil palla Givan notturne a traforar le porte Del non manco [meno V.] di voi ri-
vale armato. Ma i vostri almi nipoti oggi si stanno Ad agitar fra le tranquille dita De
l'oriolo i ciondoli vezzosi; Ed opra è lor se a l'innocenza antica Torna pur anco e
bamboleggia il mondo. — 1054. I miei precetti intanto (B.)
1039. I tre versi che precedevano a in legno senza indugio, i cavalli non più
questi (leggili qui sopra riferiti) sono, trattenuti cesserebbero d'essere iuquie-
ha l'agione il Mazzoni, graziosissimi; ti : il p. li considera baldi e lieti di trarre
ma un po' ingenui e innocenti, e porta- quel peso.
vano qualche lungaggine e distrazione. 1019-"54. Alle parole ch'arino invito
— Ma v'hai tn il meglio? Ah si...: per ascendere seguono queste che sono am-
questo dolce pegno, che è chiuso in monimeuto a indugiare, e la ragione
breve cristallo, intenderei un meda- dell' indugio. — Da le stanze superne, di
glionciuo col ritratto della dama: mi sopra; ma in questo scrivere tale lati-
ricorda Varnese gentil del v. 758. nismo par che voglia dire qualche co-
1040. Innge o profani : è il notissimo sa di più. — al meriggio ... Durato nn
' procul 0 procul este, profani ', Aen. VI pezzo: non abbia dovuto soflFrire lunga-
258. mente il caldo; cfr. v. 621. — Per quanto
1144-"46. Tutto è dal vero e con ma- Immensa via natura 11 parta, di che im-
ravigliosa eleganza espresso : i cavalli meuso intervallo lo separi (e sarebbe
non istanno fermi; il cocchiere or prende pure un verso ma di altra lega),
lartito di farli avanzare, poi li trattiene 1054. Or dunque... : posto per naturale
e li volta a suo modo con arte. e conveniente l'attardarsi dell'eroe.
1047 sg. Se il Giovin signore montasse 1055 sg. v.irle al tuo mattino Portar
58 IL MATTINO
Portar dee cure il variar de' giorni.
Tu dolce intanto prenderai sollazzo
Ad agitar fra le tranquille dita
Dell' oriuolo i ciondoli vezzosi.
lOGO Signore, al ciel non è cosa pili cara
Di tua salute ; e troppo a noi mortali
E il viver de' tuoi pari util tesoro.
Uopo è talor che da gli egregi affanni
T' allevii alquanto, e con pietosa mano
1065 II teso per gran tempo arco rallento.
Tu dunque, allor che placida mattina
Vestita riderà d' un bel sereno,
Esci pedestre, e le abbattute membra
All' aura salutar snoda e rinfranca.
1070 Di nobil cuoio a te la gamba calzi
Pui-pureo stivaletto, onde giammai
Non profanin tuo pie la polve e il limo
Che r uom calpesta. A te s' avvolga intorno
Veste leggiadra che sul fianco sciolta
1075 Sventoli andando, e le formose braccia
' ...
Stringa in maniche anguste, a cui vermiglio
0 cilestro ermesino orni gli estremi.
1057-59. Questi tre versi, come nella i' ed., mancano in B. — 1059. Solazzo CI. /
versi che qui vanno dal 1060 al 1092, poi dal 109G al 1104, nella stampa venivan dopo
a quelli che qui sono 1105-1142, e 1003-1005 precedevano a 1060-1062 : le varietà
son segnate ai luoghi corrispondenti. — 1063. Fia d'uopo ancor che da lo lunghe cure
— 1065. rallenti (B.) — 1071 sg. onde il tuo piede Non macchino giammai — 1074. Leg-
giadra veste che sul dorso — 1075. Vada ondeggiando e tue — 1070. Leghi in manica
angusta — 1077. velluto.
dee cnre il variar de' giorni : 0 sia, le venendo appresso a quel dolce sollazzo
occupazioni mattutine son diverse nei dell' abitare i ciondoli,
giorni diversi. Viene a mente di Giove- 10G6 sg. allor che placida mattina ... :
naie, I 127,' ipse dies pulchro distin- che semplice freschezza! Adatta al caso
guitur ordine rerum ', ma son le cose l'osservazione che facemmo ai versi 910
delle diverse ore. sg.
1057-"59. Tu dolce intanto..., cioè men- 1068. Esci pedestre, cioè a piedi,
tr'io dò precetti, mentre il cocchiere 1070 sg. Di nohil cuoio a te la gamba
aspetta. E l'atto che l'ozioso fa spesso e calzi Pnrpnreo stivaletto: si ripensa alla
involontariamente di giocherellare coi Diana di Virgilio Bue. va 31 ' levi de
ciondoli dell'orologio gli è assegnato marmore tota Puniceo stabis suras eviu-
come un bel passatempo '. età cothurno '.
1060-"65. Già, detto innanzi che se- 1073. Che.raom calpesta: è ammesso
guirà i suoi insegnamenti, qui fa un che qui non si tratta d' un uomo,
esordio particolare: e il parlare della 1075-"77. Sventoli andando, cioè mo-
preziosa salute e della necessità di con- vasi all'aria mentre tu cammini. — « er-
servarla non affaticandosi troppo (e que- mesino, panno sottilissimo, detto da Or-
sto è significato con solenne elegan- nius. .ìnche Benvenuto Cellini aveva una
za) acquista un sapore singolarissimo, Velia vestetta d' ermesino azzurro. Il
IL MATTINO
59
Del bel color che 1' elitroi3Ìo tigne
0 pur d' orientai candido bisso
1030 Voluminosa benda indi a te fasci
La snella gola. E il crin.... Ma il crin, Signore,
Forma non abbia ancor da la man dotta
Dell' artefice suo ; clié troppo fora,
Ahi ! troppo grave error lasciar tant' opra
1085 De le licenziose aure in balia.
Né senz' arte però vada negletto
Su gli omeri a cader; ma, o che natura
A te il nodrisca, o cbe da ignote fronti
Il più famoso parruccliier lo involi
1090 E lo adatti al tuo capo, in sul tuo capo
Ripiegato 1' afferri e lo sospenda
Con testuggine! denti il pettin curvo.
Ampio cappello alfin, cbe il disco agguagli
Del gran lume febèo, tutto ti copra
1095 E a lo sguardo profan tuo nume asconda.
Poi cbe cosi le belle membra ornate
Con artificio negligente avi'ai,
1080. Sottilissima ... ti fasci (B.) — 1086. Non seuz' arte — 1088. da igaota fronte —
1089. lo tolga — 1090. l'adatti — 1091. lo afferri B. — 109G. in tal guisa te medesmo
ornato — 1007. con artificj negligenti V. (CI., C.)
negligé era un altro de' raffinamenti più
moderni ». C.
1078. relitroplo, gr. 7)hoTQÒmoì', il gi-
rasole.
lOSO. Voluminosa benda, un ampio e
abbondante fazzoletto o cravattone: l'ag-
gettivo non suona elegantissimo ma si-
gnificativo.
1081-"85. E il crin... Ma il crin : que-
sta interruzione e ripresa mostra che
veramente il p. sia còlto dal timore, non
l'altro abbia l' imprudenza di uscire a
piedi dopo la pettinatura. — licenziose,
più che libere, e quindi scomporrebbero
gli edifici del capo.
1086 sg. Se non ancor pettinato ne'
modi sopra descritti, non ne segue che
debba essere arruffato e iucomposto.
1087-"90. ma, o che..., o clie... : un'al-
ternativa (e per la forma sintattica con-
fronta i primi versi del poema e la nota
ivi) ingenua all'apparenza e tra cose in-
differenti, ma in vece maliziosissima;
« che i capelli sian veri o finti, tuoi o
d'un altro ». — in sul tuo capo: ripreso
con forza dalle parole che precedono
immediatamente, e con grande signifi-
cazione dopo la distinzione fatta or ora.
1091 sg. Ripiegato l'afferri: lo pieghi
e lo ferrai. Classicamente, delle due
azioni r una è espressa col participio.
— Con testogginei denti il pettin curro,
il pettine di tartaruga.
1093-"95. Questi tre versi compiono
la figurina, tanto men seria questa,
quanto essi più solenni. — tuo nume: il
numen è la divinità, la natura essen-
ziale del dio. Virgilio Aen. 1 48 « numen
lunonis»: Orazio, oltreché per gli dèi
(p. es. carm. iv 1, 26, ep. 15,' 3), lo usa
per Augusto, carm. IV 5, 34 « Laribus
tuum Miscet numen ». Il Foscolo, nel
celebre passo appunto sacro al Parini,
i Sep. 63:
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
Spirar l'ambrosia indizio del tuo nume.
1097. Con artiflcio negligente: anche
qui nome e aggettivo suonan discordi,
ma armonizzano per il senso e per l'ef-
60
IL MATTINO
Esci soletto a respirar talora
I mattutini fiati, e lieve canna
1100 Brandendo con la man, quasi baleno
Le vie trascorri, e premi ed urta il vulgo
Che s' oppone al tuo corso. In altra guisa
Fora colpa l'uscir; però che andriéno
Mal dal vulgo distinti i primi eroi.
1105 Tal di t'aspetta d'eloquenti fogli
Serie a vergar, che al Rodano, al Lemàno,.
AU'Arastel, al Tirreno, all'Adria legga
II libraio che Momo e Citerea
Colmar di beni, o il più di luì possente
ino Appaltator di forestiere scene.
Con cui per opra tua facil donzella
Sua virtù merchi e non sperato ottenga
Guiderdone al suo canto. O, di grand' alma.
Primo fregio ed onor, Beneficenza,
1115 Che al merto porgi e a la virtù la mano!
Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi
Ed al concilio de gli Dei lo aggiugni.
4
1098-1100. Esci pedestre a respirar talvolta L'aere mattutino, e ad alta canna Ap-
poggiando la man — 1101. il volgo (B.) — 1104. Mal distinti dal vulgo (B.) — I versi
1005-"17 mancano in CI. — 1105. ti aspetta (C.) — 1107. A l'Amstel al T. a l'Adria B.
— 1115. ed a virtù (C).
fette. Il singolare dice più e meglio che
Varti/lci negligenti della variante.
1101 sg. premi ed urta 11 Tulgo Che
s'oppone al tuo corso : fa ricordare di
Orazio sat. II 6,28 ' Luctandura in turba
et facienda iniuria tardis ... Tu pulses
omne quod obstat...'.
1105. Tal di': alcun giorno, v' è giorno
clie...
1106 sg. .Serie...: non si tratta d'una
lettera ma di tante. — Rodano Lemano
Amstel Tirreno Adria ; fiumi laghi e
mari a indicar le città, Lione, Ginevra,
Amsterdam, Livorno, Venezia.
1108 sg. 11 libraio che Jloino e Citerea
Colmar di boni, o sia il quale arricchì
con giornali e libri allegri e voluttuosi.
Momo è propriamente il dio schernitore
degli dèi, poi anche degli uomini e delle
cose umane.
1109-"12. L'impresario teatrale, dei
grandi teatri dell'estero: col quale la
giovine cantante per i buoni uffici del
protettore conchiuda una scrittura. —
Saa Tirili merchi- ConliimanUo nel gergo,
essa è una virtuosa, quindi \9.sua virtù
è la sua abilità; ma è incbiuso il senso
che, patteggiando questa, renda a patti
anche la virtù propriamente detta, spe-
cialmente ch'ella è facil donzella. « Non
sono versi chiarissimi, ed erano forse
un po' troppo mordaci; onde, come mi
comunica il Salveraglio, il P. cancellò
tutto questo luogo (vv. 1105-1117) nelle
copie corrette da lui a penna • M. Ben-
ché io non disconosca la estrema mor-
dacità (di quelle che al p. parvero in
séguito eccessive), me ne sa male per
gli ultimi cinque versi.
1113-"17. Dopo le commissioni che.
arricchiscono il libraio, dopo i contratti
procurati alla giovine cantatrice, que-
st' invocazione alla Beneficenza e la glo-
rificazione del Giovin signore nel no-
me di essa son di terribil sarcasmo.
— al concilio degli dèi: anche latino
conciliuni è assemblea di numi, non
che delle rappresentanze cittadine; Ora-
zio e. IV 5, 3 ' patrum Saucto concilio
redi '.
IL MATTINO 61
Tal giorno ancora, o d' ogni giorno forse
Fien qualch'ore serbate al molle ferro
1120 Che i peli a te rigermoglianti a pena
D' in su la guancia miete, e par che invidi
Ch' altri fuor che sé solo indaghi o scopra
Unqua il tuo sesso. Arroge a questo il giorno
Che di lavacro universal convienti
1125 Terger le vaghe membra. E ver che allora
D'esser mortai dubiterai: ma innalza
Tu allor la mente a i grandi aviti onori
Che fino a te per secoli cotanti
Misti scesero al chiaro altero sangue ,
1130 E il pensier ubbioso al par di nebbia
Per lo vasto vedrai aere smarrirsi
Ai raggi de la gloria onde t' investi ;
E di te pago, sorgerai qual pria
Gran semideo che a sé solo somiglia.
1135 Fama è cosi che il di quinto le Fate
Loro salma immortai vedean coprirsi
Già d' orribili scaglie e in feda serpe
Vòlta strisciar sul suolo, a sé facendo
1118. e d'ogni giorno B. — 1119. Den qualch'ore sei-barsi — 1120. il polo a te ri-
geriuogliante — 1122. fuor che lui solo esplori — 1023. Unque V. (B., CI.) a questi —
1125. Bagnar le membra, per tua propria mano O per altrui con odorose spugne tra-
scorrendo la cute. È ver che allora — 1126. ti sembrerà — 1127. e de' grand' avi tuoi
Le imprese ti rimembra e gli ozi illustri. — 1128. infino — 1130-"33. K l'ubbioso pen-
sier vedrai fuggirsi Lungo da te per l'aere rapito Su l'ale de la Gloria alto volanti. Et
indi a poco (E quindi a poco V.) sorgerai qual prima — 1138. Vòlte C. ma è svista,
■non variante.
1118-"2l. Tal giorno...; v' è il giorno innanzi alla gloria di che hai suscitata in
'Che bisogna rader la barba, anzi è me- te la coscienza.
•glio raderla ogni giorno appena rina- 1134. Verso, per i due accenti che si
uscente. — al molle ferro, il rasoio. susseguono su la sesta e la settima,
1121-23. par che inTi'di, non permetta, lento e solenne,
mei senso classico di invidiare. — « Il 1135-"42. Improvvisa, originalissima
rasoio è geloso che nessun altri s' ac- comparazione, da altro terreno che il
corga che tu sei maschio ». classico usitato, e condotta con la per-
1121. lavacro universal, il bagno. Al- fezione consueta. « Ogni venerdì [il di
ìlora non era né pur per i doviziosi cosi quinto] le maghe diventavano serpi, poi
■ frequente o cotidiano com'oggi è. al domani tornavano più belle a cele-
1126. dubiterai ; stupendo ! « Non sarà hrare i loro sabati » C. Io crederei che
■certezza, ma un dubbio pure ti coglierà il p. qui si valesse, con libertà, della
d'esser uomo come gli altri ». Vedi co- leggenda della fata Melusina: essa è
m' era fredda in confronto la prima le- che avea messo il patto allo sposo che
zione. non dovesse cercar di lei il sabato ; e,
1130-"32. II pensier ubbioso, è il dub- quel sabato ch'egli ruppe il patto, la
^bio toccato testé, un' ubbia, una fìsima; vide essere a metà serpe. E la spiò ap-
« ai disperderà, come la nebbia al sole, punto ch'ella era nel bagno : altra cir-
62 IL MATTINO
De le inarcate spire ìmpeto e forza;
114.0 Ma il primo sol le rivedea più belle •
Far beati gli amanti, e a un volger d'. ocelli
Mescere a voglia lor la terra e il mare.
Assai 1' auriga bestemmiò finora
I tuoi nobili indugi : assai la terra
1145 Calpestaro i cavalli. Or via veloce
Reca, o servo gentil, reca il cappello
Oh.' ornan fulgidi nodi : e tu frattanto,
Fero genio di Marte a guardar posto
De la stirpe de' Numi il caro fianco,
1150 Al mio giovane Eroe cigni la spada;
Corta e lieve non già, ma, qual richiedo
La stagion bellicosa, al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d' elso
Immane. Quanto esser può mai sublime
1155 L' annoda pure, onde la impugni all' uopo
La destra furibonda in un momento.
Né disdegnar con le sanguigne dita
Di ripulire ed ordinar quel nastro
Onde 1' elso è superbo. Industre studio
UGO È di candida mano: al mio Signore
Dianzi donollo, e gliel appese al- brando
L' altrui fida consorte a lui si cara.
Tal del fanioso Artù vide la corte
1142. Dopo questo verso la stampa continuava cosi Ciò ti basti per or. Già 1' oriolo
A girtene ti affretta. Ohimè che vago Arsenal minutissimo di cose e i versi 1035 sg. :
poi i tre versi che il B. accoglie dopo il nostro 1036 (e ivi san recati) : poi quelli che
per noi sono 1037-"41, con tutto il passo che dopo il 1041 abbiamo citato da E voi
dell'altro secolp fino a bamboleggia il mondo. Dopo di che seguitava cosi : Or vanne,
o mio Signore, o il pranzo allegra De la tua Dama: a lei dolce ministro Dispensa i
cibi e détta al suo palato E a la sua fame iuviolabil legge. Ma tu non obliar che in nulla
cosa Esser mediocre a gran Signor non lice : Abbia il popol confini ; a voi natura Donò
senza confini e mente e core. Dunque a la mensa, o tu schifo rifuggi Ogni vivanda e
te medesmo rendi Per inedia famoso, o nome acquista D' illustre voratore. Intanto addio
Degli uomini delizia ecc., continuando come qui è dal v. 1219 alla fine, e senza tutto
il passo, aggiunto poi, 1 143-1218. — 1162. La pudica d'altrui sposa a lui cara V.
costanza che mi persuade, per esser la sospesa al v. 1054.
comparazione iutrodotta a proposito del 1151-"5i. Corta e lieve non già, ma ...
bagno, che il p. movesse da quel ri- bellicosa: dopo ciò si aspetterebbe tut-
cordo; con libertà, ho detto, e genera- l'altra determinazione o espressione
lizzando e non curando esattezza di par- che al snol cadènte ; è 1' ànQoaòÓKr,Tov, o
ticolari. — a sé facendo De le inarcate imprevisto, dei retori. — di triplice ta-
spire impeto e forza, cioè inarcando le glio: a' due lati e alla punta. — d' elso
spire traevano, come le serpi, vigoria Immane: per la collocazione v. la nota
al moto e all' assalto. — Mescere,.., lat. al v. 1002. — snblime : alta.
miscere, sconvolgere, metter sossopra. I163-"68. Altra similitudine roman-
1143. Riprende la materia che restò zesca o cavalleresca, intonata di alacre
IL MATTINO 63
Le inflammate d' amor donzelle ai-Jito
11G5 Ornar di piume e di pm-puree fasce
I fatati guerrier, si che poi lieti
Correan mortale ad incontrar periglio
In selve orrende fra i giganti e i mostri.
Volgi, o invitto camplon, volgi tu pure
1170 II generoso pie dove la bella
E de gli eguali tuoi scelto drappello
Sbadigliando t' aspetta all' alte mense.
Vieni, e godendo nel!' uscire il lungo
Ordìn superbo di tue stanze ammira.
1175 Or già siamo all'estreme: alza i bei lumi
A le pendenti tavole vetuste
Che a te degli avi tuoi serbano ancora
Gli atti e le forme. Quei che in duro dante
Strigne le membra e cui si grande ingombra
1180 Traforato collar le grandi spalle,
Fu di macchine autor; cinse d'invitte
Mura i Penati ; e da le nere torri
Signoreggiando il mar, verso le aduste
Spiagge la predatrice Africa spinse.
1166. 8g. onde più ardenti Gisser poi questi ad — 1171. uguali B. — 1172. a l'alte
B. — 1173. ne l'uscire B. — 1175. a l'estreme B. — 1181. machine CI.
baldanza. — del famoso Artii ... l.i corte: — .ilza i bei lumi...: e di qui incomincia
i cavalieri della Tavola Rotonda; ma, il tratto aggiunto su gli antenati, del
poiché il p. li chiama fatati, si vede senso e dell'arte del quale è detto nella
ch'egli nominando il ciclo bretone non prefazione.
esclude il carolingio. La fusione era 1178-"84. La prima figura, un archi-
fatta da tempo, e al p. non potea né tetto militare. — in duro dante Strigne
pur venire in mente di far distinzioni. le membra, ha le cosce strette in pelle
— Nota il verso Le infiammate d'amor di dante. — si grande ingombra Trafo-
donzelle ardito e l'ultimo. — di piume e rato collar: il gran collare di trina alla
di purpuree fasce: e anche di vesti da foggia del cinque e seicento. — e da le
lor tessute e trapunte ; ricordati di Fior- nere ... spinse : è dei luoghi ove la per-
diligi, e delle due tanto belle stanze, fezione della nobile eleganza tocca l'e-
XLIII 155 sg. , dell'Ariosto. — mortala stremo. Quel forte uomo, già potente-
.id incontrar periglio: cfr. il v. 201; di- mente disegnato innanzi a noi, costrusse
stacco non solito alla lingua moderna macchine da guerra, cinse di mura ine-
dell'aggettivo dal nome, ma senza oscu- spugnabili la città, edificò torri litora-
rità né sforzo, anzi acquistando all'ag- nee dalle quali dominando il mare si
giunto efficacia di predicato; il P. non respingevan le incursioni dei predoni
avrebbe tollerato il verso cosi Correano dell'Africa. Ma come tutto ciò è detto !
ad incoìUrar mortai periglio. con che potenza di rappresentazione
1169-"72. 0 invitto campion, .... Il gè- di espressione di suoni! — verso le adu-
neroso pie....: e si tratta di andare a de- sto spiagge, riarse, torride. — la prcda-
sinare. trlce Africa, per i predatori africani, i
1173. il lungo Ordin ...: la lunga fila. barbareschi. — spinse, fu cagione che
1175. all'estreme, alle maggiori sale. fosser re.spinti.
04 IL MATTINO
1185 Vedi quel magro a cui canuto e raro
Pende il crin da la nuca, e 1' altro a cui
Su la guancia pienotta e sopra il mento
Serpe triplice pelo ? Ambo s' adornano
Di toga magisti'al cadente ai piedi:
1190 L'uno a Temi fu sacro; entro a' licei
La gioventù pellegrinando ei ti-asse
A gli oi'acoli suoi ; indi sedette
Nel senato de' padri, e, le disperse
Leggi raccolte, ne fé' parte al mondo:
1195 L'altro saci'o ad Igea; non odi ancora
Presso a un secol di vita il buon vegliardo
Di lui narrar quel che da' padri suoi
Nonagenari udi, com' ei spargesse
Su la plebe infelice oro e salute
1200 Pai-i a Febo suo nume? Ecco quel granda
A cui si fosco parruccon s' innalza
Sopra la fronte spaziosa, e scende
Di minuti botton serie infinita
Lungo la veste. Ridi ? Ei novi aperso
1205 Studi a la patria ; ei di perenne aita
1195. Igeia e sarebbe la forma scritta dal P., secondo il Reina: ma solo in CI. è
tenuta ; B.ha Igea, C. Igia, e sono queste le due forme normali latine di v/eia, e le usitate
in italiano e qui meglio opportune al verso. — 1201. perruccon B.
11S5-1200. Per ragione di varietà, non vecchio quasi centenne che riferisce ciò
che di convenienza tra essi due, qui de- che udi da suoi vecchi novantenni, fa
signa due ritratti insieme: due uomini che la vita del qui celebrato si deter-
di toga e di cattedra, V uno giurecon- mini a mezzo circa il secento. — oro e
sulto insigne, l'altro medico saggio e sainte: benefattore e medico insieme,
benefico. E prima ne dà in pochi tratti r200-"12. Un'altra figura, anche que-
r imagine : quello magro e con pochi sta bravamente lineata : è il magistrato
bianchi lunghi capelli alla nuca, questo civico, il mecenate provvido sagace ge-
grassoccio co' baffi e il pizzo. Poi lave- ueroso. — Ridlì Non è ancora il me-
ste del grado e ufficio loro. Poi l'opere mento che il p. supponga nel suo eroe
e i meriti di ciascuno. — entro a' lied, noncuranza di tali domestiche glorie;
agli atenèi. —pellegrinandoci trasse, fece ma è naturale che lo veda sorridere in-
accorrere quasi in pellegrmaggio. — agli nanzi a quella foggia di vestire cosi
oracoli suol, alla sapiente esposizione lontana dalla sua nuova eleganza. E a
del giure, eh' era quasi parola, responso quel ridere oppone il serio, tutti i me-
di nume. — sedette Nel senato de' padri, riti di quel parruccone; aperse scuole,
patrum: della sua sapienza giovò anche fece làsciti perpetui di beneficenza, ab-
i pubblici consigli. — le disperse Leggi belli la città, le die acquedotti e fontane.
raccolte, ne fé' parte al mondo: giurecon- — portici e vie Stese..., espressione elet-
sulto e senatore insieme, coinparò e com- tissima, secondo il lat. sternere viam. —
pose e pubblicò leggi. Per la forma sin- e da gli ombrosi Lor lontani recessi a lei
tattica cfr. nota al v. 1091. — Presso a dedusse Le pure onde salnbri: anche più
■n secol di rita ... Nonagenari ndi : un che la schiettissima eleganza è notevole
IL MATTINO
65
I miseri dotò; portici e vie
Stese per la cittade, e da gli ombrosi
Lor lontani recessi a lei dedusse
Le pure onde salubri, e ne' quadrivi
1210 E in mezzo a gli ampli fòri alto le fece
Salir scherzando a rinfrescar la state,
Madre di morbi popolari. Oh come
Ardi a tal vista di beatcf orgoglio,
Magnanimo garzoni — Folle! A cui parlo?
1215 Ei già più non m' ascolta : odiò que' ceffi
II ^uo guardo gentil ; noia lui prese
Di si vieti racconti, e già s' affretta
Giù per le scale impaziente. Addio,
De gli uomini delizia e di tua stirpe,
1220 E de la patria tua gloria e sostegno !
Ecco che limili in bipartita schiera
T' accolgono i tuoi servi. Altri già pronto
Via se ne corre ad annunciare al mondo
Che tu vieni a bearlo ; altri a le braccia
1225 Timido ti sostien mentre il dorato
Cocchio tu sali e tacito e severo
1214. a chi B.
il senso della poesia sempre vivo, per
cui il p. uou manca di ligurare auche
il luogo alpestre e boscoso ond' è presa
la vena dell'acqua. — ne' qnadrirl, ne'
crociali delle vie cioè dov' è più gente
e movimento. — alto le fece Salir scher-
zando a rinfrescar la state: maraviglia
di eleganza, squisitissima e pur sincera
e fresca come il lieto zampillare delle
fontane che descrive. — la state, il ca-
lore estivo; Orazio e. I 17, 3 'defendit
aextatem capejlis'. — Madre di morbi
pi)i)0lari, nel gran caldo più facilmente
avvengono epidemie.
1215-";:i0. odiò qnei cef!!.... : profondis-
simo il significato; cosi superbo della
sua nascita eccelsa e privilegiata, colui
è ignaro e incurioso delle ragioni sole
che posson giustificare il privilegio e
costituire un' eccellenza. Dopo ciò, e dopo
il già s'affretta Ciid per le scale impa-
ziente, quell'Addio... scoppia con un' in-
lima veemenza eh' è impossibile com-
mentare, e, tra le gentilezze soggiunte,
si sente che il vero significato è: rom-
piti il collo. Vedi in fatti che finisce a un
di presso cosi l'eloquente pagina del
Carducci St." del G., IV 195: 'Il pre-
cettore deWamabil rito non è l'autore
abate, è un personaggio fatale, è la
plebe stessa italiana che, fatta conscien-
za e testimone e giudice nel suo poeta,
segue a passo a passo il Giovin signore,
gli fa le smorfie dietro, lo accenna col
dito e con l'occhio agli sghignazzamen-
ti, a forza d'inchini lo scorge all'abis-
so, su '1 cui orlo con tutta solennità gli
dà un calcio, gridandogli sopra in versi
elegantissimi : Muori, buffone crudele' !
1221. in bipartita sehicra: non vuol
già dire che iu due file facciano ala al
passaggio del padrone (benché la frase
per sé potrebbe, a dir vero, lasciarlo
credere), si bene che son divisi in due
gruppi per diversi uffici quali ora saran
divisati. Già udimmo al v. 266 del primo
ordine servi, e il simile udiremo poi.
1222 sgg. Altri già pronto...: i lacchè,
anche detti volanti; quali precedono a
corsa la carrozza.
Paeini — Albini
66
1230
1235
IL MATTINO
Sur un canto ti sdrai. Apriti, o vulgo,
E cedi il passo al trono ove s' asside
Il mio Signore: ahi te meschin s' ei perde
Un sol per te de' preziosi istanti !
Temi il non mai da legge o verga o fune
Domabile cocchier ; temi le rote,
Che già più volte le tue meml)ra in giro
Avvolser seco, e^ del tuo impuro sangue
Corser macchiate, e il suol di lunga striscia,
Spettacol miserabile ! , segnare.
12.}1. Temi '1 non mai.
1227. Apriti, o vulgo...: la mossa che
intona la ehiusn.
1229. al trono : alto e ampio, il dorato
cocchio ha del trono ; senza poi dire che
per sé trono (9Qòvog) non altro significa
che seggio.
1231-36. Temi '1 non mai da legge o
Terga o fune Domabile coccliier, cioè con-
tro il quale inutihneiite si son fatte leggi
e m esse sancite pene di colpi di verga
e tratti di corda; di tali editti ne erano
di recentissimi e sincroni quasi ai versi
del p. ma inefficaci sempre, come le al-
tre gride di cui dirà il Manzoni. Il coc-
chiex'e, come spesso il servo del prepo-
tente impunito e immune, paitecipava
della prepotenza inumana. — temi le ro-
te... Già ne lasalabrità dell'aria, a pro-
posito delle marcite entro l'ambito delle
mura, pochi anni prima avea scritto,
V. 79:
K la comun salute
Saei-ificossi al pasto
D'ambiziose mute,
Cbe poi con crudo fasto
Calchin per l'ampio strade
11 popolo che cade.
Qui la nota umana e civile ha un' am-
piezza epica, una tragica potenza. « Mez-
zo secolo fa un generoso vostro concit-
tadino gridava al popolo milanese Temi
'l non mai da legge o verga o fune... »,
scrisse poi il Foscolo, tutta trascrivendo
questa mirabile chiusa, e ricordando
che « il costume di colorare i piedi dei
cavalli e le rote di sangue plebeo era
trapassato in diritto » {Sagg. di un Gaz-
zett. del bel mondo, n." 2; opp. IV 39),
E già, vivo ancora il Parini, esso il Fo-
scolo aveva scritta la lettera al prefetto
di polizia Sopransi (ben la richiamò a
raffronto il prof. Posocco, la Biblioteca
delle scuole class, ital. marzo 1S94) che
incomincia : « Ti scrivo colle mani ba-
guate nel sangue di un vecchio eh' io
raccolsi da terra schiacciato da una car-
rozza.... Il cocchiero.... seguitava indif-
ferentemente il suo corso... ». Ciò in data
3 ventoso I79S: e, per quanto il mondo
sia camminato e molte cose addolcite,
anche oggi si dice che chi va a piedi
ha sempre torto. — e del tno impuro
sangue Corser macelliate e il suol di lauga
striscia, Spettacol misirabilc! , segnaro:
nota, tra, le tante che si potrebber no-
tare, come la naturale e lunga esclama-
zione posta innanzi a segnaro valga quasi
a prolungare innanzi agli occhi nostri
la striscia del sangue. Né è ozioso av-
vertire, come avverti il Borgognoni, che
con questa effusione di impuro sangue
finisce il canto che mosse dal sangue
jji'rissimo celeste. — miserabile, vuol
dire triste per sé e che desta compas-
sione: 'miserabiles Decautes elegos',
scriveva Orazio a Tibullo, e. I 33, 2; e
il Tasso, Ger. lib. IV 25 : 'Beltà dolente
e miserabil pieghi Al tuo volere i più
ostinati petti'.
IL MEZZOGIORNO
10
Ardirò aucor tra i desinari illustri
Sul meriggio innoltrarmi umil cantore,
Poi che troppa di te cura mi punge,
Signor, ch'io spero un di veder maestro
E dittator di graziosi modi
All'alma gioventù che Italia onora.
Tal fra le tazze e i coronati vini,
Onde all'ospite suo fé' lieta pompa
La punica regina, i cauti alzava
Jopa crinito: e la regina intanto
Dal bel volto straniero iva beendo
L'oblivion del misero Siclièo.
Titolo B e e ÌIj Meriggio ; CI. Il Mezzogiorno ma riproducendo la nota del Reina
„ Il M6ri--io'è il titolo dell' ultimo testo ». - 1. fra V. (B., C.) - 2. umil Cantore -
3. Poiclié°— 6. A l'alma B. — 11. Da' begli occhi stranieri. Da begli occhi straniero
C. per mal corretta stavipa.
1-2. tra i desinari illustri, cioè de'
grandi : cfr. il Matt. 1172 ' all'alte men-
se' e nota la rispondenza, in antitesi
chiastica, col seguente umil cantore.
Avverti ancora clie qui il p. non si
chiama precettore ma si cantore: è
più a proposito, e conduce natural-
mente alle idee e comparazioni classi-
che, quali Siam per leggere ai versi 7-19.
3. troppa di te cura mi punge: cioè,
a pigliarmi un tale ardimento mi sforza
il mio grande interessamento per te in
cui ho posta si grande speranza.
5. dittator, potrebbe stare per detta-
tore come dittato per dettato (lat. die-
tata)y e sarebbe un séguito o comple-
mento dell' idea già significata in mae-
stro : ma è assai meglio intendere per
arbitro assoluto, derivandone il nome
dalla suprema e straordinaria magi-
stratura di Roma. Del resto, se il P.
avesse posto questa parola nel primo
significato, difficilmente l'avrebbe poi
lasciata che non la mutasse in dettator,
egli che il dilicato mutò sempre in de-
licato; e qui c'era di più da toglier
via r ambiguità.
7-12. Tal : siamo in piena epopea,
nel mondo degli eroi; gli aèdi cantano
alle mense. E il p. sceglie ottimamente
esempi insigni e notissimi: il primo,
dal banchetto ospitale di Bidone a Enea.
— fra le tazze e i coronati vini, è il
verso dell' Eneide I 721 ' crateras ma-
gnos statuunt et vina coronant ', cioè
(questo è, almeno, il modo in che il P.
intese) inghirlandano e infiorano i bic-
chieri pieni di vino. — i canti alzara lopa
68
IL MEZZOGIORNO
E tale, allor che l'orba Itaca in vano
Chiedea a Nettnn la prole di Laerte,
15 Femio s'udia co' versi e con la cetra
La facil mensa rallegrar de' proci
Cui dell'errante Ulisse i pingui agnelli
E i petrosi licori e la consorte
Convitavano in folla. Amici or china,
20 Giovin Signore, al mio cantar gli orecchi,
Or che tra nuove Elìse e nuovi proci
E tra fedeli ancor Penelopèe
Ti guidano a la mensa i versi miei.
Già dall'alto del cielo il sol fuggendo
17. de l'errante B. — 19. Invitavano al pranzo. Amici or piega — 24. Già dal n
jio ardente da l'alto del cielo B.
crinito ; ivi vv. 740 sgg. ' Cithara crinitus
lopas Personal aurata ', lopa Co' caioei
luìighi e con la cetra d' oro, dice il
Caro. — Dal bel volto straniero, meglio
ctie la prima lezione da' begli occhi
stranieri : Didone bevea amore non da
soli gli occhi di Enea, e limitare il fa-
scino agli occhi, trattandosi d' uomo,
era men bello. — iva beendo : cosi è
reso, come forse non si poteva meglio,
lo stupendo emistichio del v. 749 ' lon-
gumque bibebat amorem '. Vedi quanto
inferiore, pur con la sua franca ele-
ganza, il traduttore cinquecentista:
... E l'infelice Dido
Che già fea dolce con Enea diinora,
Quanto bevesse amor non s'accorgendo,
A lungo ragionar seco si pose.
13-19, E tale... : la seconda compara-
zione è dall' odissea, e l' àmbito del
poema è benissimo descritto per il tempo
che r isola d' Itaca era ancora in desi-
derio, pur dopo la presa di Troia, del
suo re Ulisse, errante per l'ira di .Net-
tuno da lido a lido. — Femio è il primo
degli aèdi che figurano nell'Odissea,
caro e fido alla famiglia d'Ulisse; I 151 :
e l'araldo tra inani la cetra bellissima pose
a Femio che cantava nel mezzo a' proci
[costretto.
La facil mensa ... de' proci : poiché è
chiaro che il P. avea innanzi un luogo
omerico determinato, vale a dire il
banchetto del lib. 1, viene anche di li
il senso eh' ei diede a la facil menst
è la tavola d'un altro, la quale m
costa nulla ed è, in assenza del padron
sicura. Ciò appunto (e non allargo
citazioni) dice Telemaco ad Atena a|
parsagli in figura di Mente, ivi 159;
costoro tali cose si godono, catara e cani
facilmente (èela), mangiando da l'altrui vi
[to sacui
d' un uom le cui bianche ossa su qualcl
[lido giacei^
a la pioggia si macerano, o l'onda pa'l m
[le travolg
So lui, se lui a Itaca vedessero ritornar
8'au;;urerebber tutti d'esser veloci a la con
pili assai che di tesoro doviziosi o di vesK
— i petrosi licori: i vini delle balze it
cesi. Alamanni, la Coltiv. IV:
. . . non son tutti
Simiglianti i terren; quello è pietroso,
Quello è trito e leggieri
il vino fa meglio in quel primo, e p*
rò può anch' esso con ardimento dir
pietroso. — Convitavano In folla: m
senso di allettavano , attraevano. L'
spressione elettissima ha tolto il luq
alia prima, volgaruccia, Invitav
al pranzo.
21-23. Elise: Didone, tutti sanno, s
chiamava anche Elisa o Elissa, — P(
nelopèe : è la forma regolare latina de
r omerico nrjveXóneia ( che propriam
vale tessitrice); poi ntjvsXónt]. E tal nom
venne a significare per eccellenza li
k
wj
■I
IDild
;oI(
IL MEZZOGIORNO
69
25 Verge all' occaso ; e i piccoli mortali
Dominati dal tempo escon di novo
A popolar le vìe eh' all' oriente
• Spandon ombra già grande: a te nuli' altro
Dominator fuor che te stesso è dato,
30 Stirpe di numi; e il tuo meriggio è questo.
Alfin di consigliar.si al fido speglio
La tua Dama cessò. Cento già volte
O chiese o rimandò novelli ornati,
E cento ancor de le agitate ognora
35 Damigelle or con vezzi or con garriti
Rovesciò la fortuna ; a sé medesma
Quante volte couvien piacque e dispiacque,
E quante volte è d'uopo a sé ragione
Fece e a' suoi lodatori. I mille intorno
25. a 1' occaso B. i piccioli — 30. È un v. aggiunto, e da tutti accolto.
aante uopo è volte Chiedette e r. n. o. ; Quante convìen de le a. o.
loglie fedele, di una fedeltà che tollera
assenza, resiste ai pericoli e si difende
•i on r industria dalle insidie.
85 sg. i piccoli mortali Dominati dal
ujliiiipo: la gente minuta che lascia al
i >le il governo delle ore, e queste ore
im a bisogno di mettere a profitto.
27 sg. le vie che all' oriente Spandon
nbra già grande : le vie cittadine nelle
re dopo il meriggio cominciano a om-
ifeggiarsi, e le ombre cadono dagli edi- ,
zi a occidente verso oriente, crescendo
ii|on r avvicinarsi del tramonto. Nulla
particolarm. notevole nell' espres-
ione, pur poeticam. rapida nel costrutto
! vie spandon ombra,
28-30. a te nuli' altro Dominator fuor
he te stesso. . . : nessun altro ; né pure
sole tu riconosci a regolatore del
jmpo, e hai, indipendente da esso, il
IO meriggio, come già il tuo mattino
!fr. il Matt. V. 33 sg.). — è questo, os-
a, a quest'ora, e cosi fatto com'io son
er dire. — Felicissima aggiunzione il
30; compie l'euritmia e l'antitesi col
ensiero precedente — il sole declina,
il volgo esce a sue faccende; ma tu
on dipendi dal sole, e quindi hai altro
leriggio e altre cure — ; e poi richiama
rinnova a punto, e bene a proposito,
luogo corrispondente ora citato del
rimo poema.
31 sg. Alfln...: della toilette del Gio-
vin signore vedemmo largamente il pro-
logo e tutte le scene ; di quella della
Dama non vediam che 1' epilogo. E sta
benissimo, perché, già fu detto, la cura
dell' adornarsi è conveniente alla donna
quanto disdice all'uomo. Ciò non toglie
che, trattandosi di una pudica dama
che fa troppe smorfie e ha troppi ca-
pricci, il p. accolga in breve spazio an-
che di lei una garbata caricatura.
32-34. Manifeste le ragioni dei ritoc-
chi per cui son tolte via le durezze del
Quante uopo è volte e del chiedette, e
certe frasi che tornano in séguito, qui
sono per varietà mutate. — noTelli or-
nati : lat. ornatus, abbigliamenti, ac-
conciature. — de le agitate ognora ...:
incalzate sempre da' comandi della pa-
drona che loro non dà tregua. Non c'è
tanto né solo il senso nostro di agitato
per irrequieto o trepidante, ma ancora
e più dell' agitatus lat. : in frasi come
Orestes actits o agitatus Furiis.
35 sg. or con vezzi or con garriti Ko-
Teselo la fortuna : con lodi e con ram-
pogne ora diede ora tolse favore alle
ancelle, sicché queste rapidamente sali-
vano in grazia e cadevano in disgrazia.
Questo cenno richiama naturalmente al
pensiero, e anch' essi in compendio e
meno eccessivi, gli strani eventi che
narra il Mattino ai vv. 581-626.
37. sg. Cenante volte conrlen..., quante
70
IL MEZZOGIORNO
40 Dispei'si arnesi alfin raccolse in uno
La consapevol del suo cor ministra;
Alfla velata d'un leggìer zendado
E l'ara tutelar di sua beltate;
E la seggiola sacra un po' rimossa,
45 Languidetta l'accoglie. Intorno a lei
Pochi giovani eroi van rimembrando
I cari lacci altrui, mentre da lunge
Ad altra intorno i cari lacci vostri
Pochi giovani eroi van rimembrando.
50 II marito gentil queto sorride
A le lor celie; o s'ei si cruccia alquanto,
Del tuo lungo tardar solo si cruccia.
Nulla però di lui cura te prenda
42. di legge
— 47. da lungi
V. (B., CI., C.) — 43. beltade V. (B., CI., C.) — 45. Intorno ad essa
Tolte è d'nopo...: secondo la mutabilità
e incontentabilità della dama. Il p. al
solito tratta come una convenienza, una
necessità, una legge, ciò ch'è debolezza
o vizio del suo personaggio. E con so-
bria eleganza lascia intravedere la si-
gnora che, facendo sue piccole mosse
innanzi allo specchio, va dicendo: que-
sto mi sta bene, questo no; lo dicevo
io, ateva ragione il tale, e simili.
Pur se dal tuo giudizio
Dissento, il porta in pace :
Negletto e senza studio
Pili il viso tuo mi piace:
dice una canzonetta del Savioli, U mat-
tino, e può essere esempio dei dissensi,
più lusinghieri spesso che i consensi.
Ira la dama e i corteggiatori.
40. raccolse in uno : cioè tutt'insieme,
e propriamente su la toilette designata
appresso.
41. La prima cameriera. E forsu la
solenne perifrasi non vuol dir altro se
non colei che conosce i tuoi gusti; sen-
z' allargarsi a intendere, come nella
canz. del Savioli all' ancella.
Tu pia, tu consapevole
De' più segreti guai. . .
— del suo cor, piccolo cuore che s'agita
e 8' acqueta solo per la toilette e la
moda; degno di que' capi che vedemmo
governati dal parrucchiere, il Matt. 635.
42-44. Alfln. ..: compiuto il lungo la-
voro della pettinatura, la cameriera ri-
pone e ricompone tutto su la toilette e
poi abbassa i veli che la coprono. — d'on
leggfier zendado, emistichio ariostesco,
VII 28. — l'ara, cfr. il Matt. v. 485 e
la nota. — tutelar, in quanto l'opera della
toilette aiuta e mantiene la bellezza
però del gabinetto di toilette diceva il
.Savioli, il matt. 13,
S' erge segreto un tempio
Dell'ampie coltri a lato :
Là tue bellezze aspettano
Il sacrifizio usato.
— la seggiola sacra: quella della toilett
che è ara, però cosa sacra anch' essa
E ivi seduta, con molle abbandono, li
Dama ammette i visitatori convitati
46-49. Suona benissimo la ripetizion
dello stesso verso a rendere la rispon
denza dello stesso fatto : e la prima volt;
il verso precede 1' oggetto, la second
gli vien dopo e fa da chiusa. Avverti aii
cora che il van rimembrando non vuc
certo significare discorsi affatto innocu
ma anzi aspersi di malizie e di scherz,
e in fatti tra due versi son chiamati et
He : da ciò ha sapore il riscontro pe
cui, al tempo stesso che intorno a qut
sta dama si parla d'altri, intorno a
altri si parla di lei.
53. Nulla però ... : non darti dunqu
nessun pensiero di lui. Nulla agg. f
IL MEZZOGIORNO 71
Oggi, o Signore, e s'ei del vulgo a paro
55 Prostrò l'anima imbelle, e non sdegnosse
Di chiamarsi marito, a par del vulgo
Senta la fame esercitargli in petto
Lo stimol fier degli oz'iosi sughi
Avidi d'esca: o s'a un marito alcuna
GO D'anima generosa orma rimane,
Ad altra mensa il pie rivolga, e d'altra
Dama al fianco s'assida il' cui marito
Pranzi altrove lontan d'un' altra al fianco
Ch'abbia lungi lo sposo, e cosi nuove
65 Anella intrecci a la catena immensa
Onde alternando Amor l'anime avvince.
Ma sia che vuol, tu baldanzoso innoltra
Ne le stanze più interne: ecco precorre
Ad annunciarti al gabinetto estremo
70 II noto scalpiccio de' piedi tuoi.
Già lo sposo t' incontra. In un baleno
Sfugge dall'altrui man l'accorta mano
De la tua Dama, e il suo bel labbro intanto
Ti apparecchia un sorriso. Ognun s' arretra
75 Che conosce tuoi dritti, e si conforta
S4. 8' egli a par del vulgo — 59 sg. o se a i mariti alcuno D'anima generosa impeto
resta, V. (B.) — 60. ombra rimane, V. (CI., C.) — 62. si assida V. (B., CI., C.) — 63-
a Iato — 66. annoda. — 67. Pur V. (B., CI., C.) — 69. Per — 70. stropiccio — 72. da
l'altrui B. — 74. T'apparecchia — 75. Che conosce C. e forse bene. 1 tuoi
gifi visto, il Matt. 395 e qui sopra al gnifica la lieve traccia che resta di una
V. 28. cosa. 11 p., nel dubbio qual fosse più
54. del vulgo a paro: cosi il p. mutò proprio, pensò anche OHì&ra; poi, forse
in questo verso il primitivo a par del perché i troppi a gli davan noia, scrisse
vulgo, qual è serbato tra due versi; la variante impeto resta, ove impeto
credo, perché la sua linezza senti che, varrebbe moto, impulso,
dopo le prossime ripetizioni del «an ri- 65. introoci: coordinato a rivolga e
membrando e del ,^i cruccia — e pii'i si assida; è sempre quel tal marito che,
altre simili seguono poco lontane—, era cosi facendo, viene ad aggiungere anelli
più efficace una ripetizione con parole alla catena degli amori,
inverse che non con eguale cadenza. 66. alternando: cioè, con tali avvicen-
55 sg. Per il pensiero, ognuno ricorda damenti.
il Matt. 298-308; e per la frase, la cad. 67. sia che vuol: comunque sia, qua-
83 ' r anima tenti Prostrarmi a terra?' lunque cosa avvenga. Come se si trat-
57-59. Senta la fame tormentarlo, ma tasse di sfidare un pericolo !
tal compimento è dato con una delle 75. si co:.fjrta Con le adnlte speranze,
solite eleganti perifrasi, in cui è detta cioè non più nascenti né incerte ma
la cagione del tormento : sono i succhi bene avviate e con buon fondamento,
gastrici oz'iosi e avidi d' esca, due ag- L' espressione riesce iiiù chiara, prece-
giunti che si compiono V un 1' altro. duta com'è prossimaménte dalle parole
60. orma, come in latino vestigia, si- S/'ugge dall'altrui man l'accorta mano
72 IL MEZZOGIORNO
Con le adulte speranze, a te lasciando
Lìbero e searco il più beato seggio.
Tal colà dove infra gelose mura
Bisanzio ed Ispaàn guardano il fiore
80 De la beltà che il popolato Egèo
Manda e l'Armeno e il Tartaro e il Circasso
Per delizia d'un solo, a bear entra
L'ardente sposa il grave Musulmano.
Ti'a '1 maestoso passeggiar gli ondeggiano
85 Le late spalle, e sopirà l'alta testa
Le avvolte fasce: dall' arcato ciglio
Intorno ei volge imperioso il guardo ;
Ed ecco al suo apparire umil chinarsi
E il pie ritrar l'effeminata occhiuta
90 Turba che d'a]to sorridendo ei sijregia.
Or comanda, o Signor, che tutte a schiera
Vengan le grazie tue, si che a la Dama
Quanto elegante esser più puoi ti mostri.
Tengasi al fianco la sinistra mano
95 Sotto il breve giubbon celata, e l'altra
Sul finissimo lin posi, e s'asconda
Vicino al cor: sublime alzisi '1 petto,
Sorgan gli òmeri entrambi, e verso lei
Piega il duttile collo; ai lati stringi
83. Munsulmano — 84. Nel V. (B., CI., C.) — 85. su per l'alta V. (B., CI., C.) —
8(5. da l'arcato B. — 87. EI volge intorno — 88. E vede al su' apparire — 90. T. che
sorridendo egli dispregia. — 91. Ora imponi, — 92. Si dispongan tue grazie, e a la tua
— 93. ti mostra. — 95. Sotto al V. (CI-, C.) — 98-102. entrambi ; a lei converso Scenda
De la tua Dama: in somma, tra il late [le Arpie]'. — Superfluo è segna-
marito e il servente si prepara luogo a lare la originalità, r efficacia di questa
un terzo. — si conforta, grammatical- comparazione, non che la maestria della
mente, o letteralmente, non può avere fattura; quanto è solenne l'incesso e la
altro soggetto che ognun; ma è facile persona del signore, tanto umilile figure
intendere che, mentre ognun s" arre- e gli atti degli eunuchi che quasi si anni-
tra, soltanto si confortq e spera colui chiliscono e scivolano via innanzi a lui.
che n' ha particolare argomento. 9S sgg. A questo punto la caricatura
78-90. Bisanzio ed Ispaàn : le città ca- richiama in parte quella del maestro
pitali della Turchia e della Persia. — 11 di ballo, il Malt. 190 sgg. — In qucati
grate Mnsalraano: precisam.il Sultano, versi 98-102 non m' è parso che la va-
determinato da' particolari precedenti. riante sia più felice e schietta che la
É un verso che chiude col suono di uno prima lezione. Ma la correzione e ag-
spondiaco latino. — Tra '1 maestoso pas- giunzione che vien dopo, ai vv. 103-108,
■egglar, più bello e descrittivo che Nel è in vece molto opportuna, e toglie quel
maestoso... Cfr. V Inter latino in frasi po' di secco e d'ineguale ch'era nel far
come inter eundum. — Le late spalle, seguire immediatamente alla proposiz.
larghe, ampie: latinismo felicemente la destra Ella intanto ti porga Vailtra.
ripreso. Dante, Jnf. xm 13 ' Ale hanno e molle caschi etc.
IL MEZZOGIORNO 73
100 Lo labbra un poco; vèr Io mezzo acute
Rendile alquanto, e da la bocca poi
Compendiata in guisa tal se u' esca
Un non inteso mormorio. Qual fia
Che a tante di beltade arme possenti
105 Schermo si opponga? Ecco la destra ignuda
Già la bella ti cede. Or via la strignì,
E con soavi negligenze al labbro
Qual tua cosa l'appressa, e cader lascia
Sovra i tiepidi avorj un doppio bacio.
110 Siedi fra tanto; e d'una mano istrascica
Più a lei viciu la seggioletta. Ognaltro
Tacciasi; ma tu sol curvato alquanto
Seco susurra ignoti detti, a cui
Concordin vicendevoli sorrisi,
115 E sfavillar di cupidette luci
Che amor dimostri, o che il somigli almeno.
Ma rimembra, o Signor, che troppo nuoce
Negli amorosi cor lunga e ostinata
Tranquillità. Su l'oceano ancora
120 Perigliosa è la calma: oh quante volte
il duttile collo; a i lati un poco Stringansi i labbri ; vèr lo mezzo acuti Escano alquanto,
e da la bocca poi Compendiata in forma tal sen fugga V. (B.) — 103 ggg. La destra Ella
iutauto li porga; e molle caschi Sopra i tiepidi a. un d. bacio. (CI.) Ve dunque amplia-
vietilo di quattro versi. -^ 104. armi C. — 106. ti crede C. (e Ved. Barbèra 18t>8) stringi
C. — 107. Soave negligenza C. — 109. Sopra — 110 ag. Siedi tu poscia, e d'una niau
trascina Più presso a lei 1. s. Ognuno — 116. o che lo finga — 118. In amoroso cor
V. (B., CI., C.) — 119. Neil' V. (CI., C.) Ne 1' B. — 120. ahi V. (B., CI., C).
101-'03. iexporrecto labello, Persio) frià im23rimi : tutto con languore e con
Compendiata In guisa tal, cioè impiccoliia . calma. Nroi è passione, è smorfia.
e ristretta ne' modi descritti. — Un non 116. o che 11 somigli almeno: la 1* lez.
Inteso mormorio, un bisbiglio indistinto che lo /luya era troppo cruda e sco-
di saluto e compliuiento, un fll di vo- perta.
ce: tratto verissimo di certi delicati. 119-126. È una delle trovate mirabili
105 sg. la destra ignudu («iii la b.lia elle al nostro p. vengono cosi opportune
ti cede, ti abbandona, ti lascia pieudere. e spontanee, e nel mentre che con la
Pretto, e qui dun,', latino saiebbe li sproporzione dei confronti aggiungono
crede, cioè ti affida, ma è lezione che efficacia alla trattazione satirica, per sé
apparisce solo nel Cantù, e forse dovuta stesse arricchiscono la materia di tanta
a inavvertenza o incorsa per caso. poesia. La tranquillità non sia troppa,
107-'09. Qnal tua cosa, più che a l'ap- non troppo pacifico l'amore: anche nel
pressa va strettamente unito a con 8oa\i mare la gran bonaccia è noiosa e dan-
negligenze (questo plurale indica atti di nosa! Il navigare a vela era fatto impos-
8oave negligenza): recati quella mano sibile quando non spirava un' aura, e la
alle labbra con la garbata placidezza di tranquillitas diveniva a dirittui-a, come
chi usa un diritto e una cosa propria; dicean grecamente i latini, maiacia. Alla
altra sarebbe la furia d'un amante fur- mente classica del P. occorsero iiidub-
tivo. Soggiunge e cader lascia..., non blamente ricordi del ciclo troiauo. —
74
IL MEZZOGIORNO
Dall'immobile prora il buon nocchiei'o
Invocò la tempesta ! e si crudele
Soccorso ancor gli fu negato; e giacque
Affamato assetato estenuato
l'25 Dal venenoso aere stagnante oppresso
Fx-a le inutili ciurme al suol languendo.
Però ti giovi de la scorsa notte
Ricordar le vicende, e con obliqui
Motti pungerl' alquanto, o se nel volto
130 Paga più che non suole accor fu vista
Il novello straniero, e co' bei labbri
Semiaperti aspettar, quasi marina
Conca, la soavissima rugiada
De' novi accenti, o se cupida troppo
135 Col guardo accompagnò di loggia in loggia
Il seguace di Marte, idol vegliante
De' femminili voti, a la cui chioma
Col lauro trionfai s'avvolgon mille
E mille frondi dell' idalio mirto.
121. Da 1' B. nocchiere — 125. velenoso (B.) — 126. Tra 1' inutile ciurma — 127.
Dunque a te giovi V. (B., C), — 129. pugnerla alquanto V. (B. ma pungerla, CI. C.)
— 131. straniere — 136. L'almo alunno di Marte V. (CI., 0.) — 137. fominili (B., CI.)
— 138. mille s'avvolgono V. (B., CI., C.) — 139. de 1' B.
Affamato assetato estenuato : formare il
verso di più parole con la stessa desi-
nenza pare aggiungere con l' insisten-
za nel suono intensità all'idea: Gozzi
«Rimbalzando, spumando, rintuonau-
do», Monti ' Tutto strame, letame e pu-
tridame ». — Dal venenoso..., maligno,
irrespirabile: in tal senso insolito pre-
ferì a velenoso la forma più latineg-
giante, anche perché dà suono più a-
dalto a questo verso maestrevolmente
lento. — le inutili ciurme, i marinai chà
non gli posson giovare a nulla: cosi
ne la caduta disse vano il bastone die
non valse a tenerlo ritto. Il plurale poe-
tico ha sua ragione precipua nella vo-
lontà di evitare il concorso di due a
seguendo al s;iol: cfr. qui sopra, v. 107.
127-'29. Però ti giovi .. Ricordar...:
dunque cava tuo profitto dal richiamare
i casi della notte innanzi. Classicamente,
il ricordar le vicende è esplicato dal coor-
dinato successivo pungerla. — con obli-
qni Motti, quelle che si usan chiamare
allusioni, cioè non menzioni espresse e
dirette ma accenni dissimulati e mali-
ziosi.
129-'34. 0 se..., 0 se...: sia che, sia
che. Cfr. il Matt. 48-50 e .la nota ivi.
131-'31. 11 noTcHo straniero, arrivato
di fresco. — De' novi accenti, insoliti, cioè
in lingua straniera. — e co' bei labbri
Semiaperti aspettar....: con tanta vivezza
ed eleganza il P. figura la bellezza, nel-
l'atto stesso di coglierla in fallo. La
dama semhiante labello dà ima:?ine «li
una rosea conchiglia (lat. conc/ta); e,
una volta somigliatala a conchiglia, le
parole che aspetta son dette snarissinia
rugiada. — marina Conca: utile l'aggiun-
to, poiché il nome ha in italiano più
spesso altri significati. Già il Boccaccio,
Dee. g. V nov. 6, ' la giovane un giorno
di state tutta soletta alla marina, an-
dando marine conche con un coltello
dalle pietre spiccando .... ',
135. di loggia In loggia, d'uno in al-
tro palchetto, nel teatro: di visita in
visita: già nel Matt. 961 'l'alte logge '.
136-'39. Il seguace di Marte: poi, in
ih MEZZOGIORNO
75
140 Colpevole o innocente allor la bolla
Dama iinprovviso adombrerà la fronte
D'un nuvoletto di verace sdegno
O simulato, e la nevosa spalla
Scoterà un poco, e premerà col dente
145 L'infimo labbro, e volgeransi alfine
Gli altri a bear le sue parole estremo.
Foi's'anco rintuzzar di tue rampogne
Saprà l'agrezza, e noverarti a punto
Le visite furtive a i cocchi' a i tetti
IljO e all' alte logge de le mogli illustri
Di ricchi popolari, a cui sovente
Scender per calle dal piacer segnato
La maestà di cavalier non teme.
Felice te, se mesta o disdegnosa
135 La conduci a la mensa, e s'ivi puoi
Solo piegarla a tollerar de' cibi
La nausea viniversal. Sorridan pure
147. di tue querele — 148. sovvenir faratti — 149 ag. ai tetti ai cocchi Ed a le
logge — 151. cittadini, — 152. Per calle che il piacer mostra, piegarsi — 153. non
sdegna. — 154. mesta e ^ 155. Tu la guidi a la mensa, o se tu puoi V. (B. ma e se
tu p., CI. ma Tu la guida [err. di stampa certam.] alla) — 156. a comportar.
termini anche più stantii (sempre cnn-
facenti all' intenzione artistica), il p.
pensò la var. L'almo alunno di Marte.
Tra runa e l'altea e' è a un di presso
la stessa differenza che tra le espres-
sioni omeriche Beoùttov "Aorjog e osOs
"Aoijog. — idol Tegliante..., cioè oggetto
dei vigili desidèri; trasferito all'idolo,
con eleganza squisitissima, ciò eh' è
proprio delle adoratrici. — n la cui rhio-
nia... : il bel soldato insieme con le ghir-
lande dei valorosi, l'alloro, ha le ghie-
lande degli amami, il mieto. — idalio,
cioè sacro a Venere, cfr. il Matt. 391. 11
P. senza dubbio aveva in mente il detto di
Virgilio ad Asinio Pollione, bue. Vili 12,
. . . atque hanc sino tempora circum
jnter victrices hederara libi serpere lauros:
se non che, mentre là era un giro d'e-
dera timidamente intrecciato tra molti
lauri trionfali, qui i mirti son mille e
mille! La quale espressione mi sembra
più schietta e franca serbando la gia-
citura delle parole qual fu nel primo
testo, che non variandola in mille si
avvolgono E mille...
111. improvviso, all' improvviso, im-
provvisamente: al sohto, il neutro del-
l' agg. per 1' avv., cfr. il Matt. 86.
143-'46. la nevosa spalla: nivea, bian-
chissima; per il più usitato eburnea.
— li' infimo labbro, il labbro di sotto. —
alfine...: fa spallucce, si morde il labbro,
e da ultimo si volta a parlar con gli
altri. Come bene osservata e condotta
la scenetta di quelle piccole stizze!
149 sg. Le visite furtive, fatte quasi
di soppiatto, ma non si che siano sfug-
gite alla dama; a i cocchi, sul corso;
a i tetti, alle case (ma forse qui tetti
per case sta men bene che nel verso
ultimo de la caduta); E all'alte logge,
in teatro, ove i palchi delle non patrizie
erano negli ordini' superiori.
151. a cui, alle quali mogli.
154-'57. mesta 0 disdegnosa: è meglio
che la I" lez. tnesta e disdegnosa; fa i
due casi, che la bella rimanga afflitta
oppure imbronciata. Neil' uuo e nell' al-
tro, sarà gran cosa potere indurla a
andare a pranzo e più a non aver fa-
stidio dei cibi.
7G IL MEZZOGIORNO
A le vostre dolcissime quei-ele
1 convitati, e l'an l'altro percota
160 Col gomito maligno: ali nondimeno
Come fremon lor alme, e quanta invidia
Ti portan, te veggendo unico scopo
DI si bell'ire! Al solo sposo è dato
Nodrir nel cor magnanima quiete,
165 Mostrar nel volto ingenuo riso e tanto
Docil fidanza ne le innocue luci.
0 tre fiate avventurosi e quattro
Voi del nosti'o buon secolo mariti,
Quanto diversi da' vostr' avi ! Un tempo
170 Uscia d'Averno con viperei crini.
Con torbid' occhi irrequieti e fredde
Tenaci branche, un indomabil mostro.
Che ansando e anelando intorno giva
Ai nuziali letti, e tutto empiea
175 Di sospetto e di fremito e di sangue.
AUor gli antri domestici, le selve,
L'onde, le rupi alto ulular s'udièno
Di femminili strida: allor le belle
Dame con mani incrocicchiate, e luci
IGO. Ahi non di meno V. (B., CI., C.) — 162. mirando V. (B., CI., C.) — 164. In cor
nodrir V. (CI., C.) Nodrire in cor B. — 165. Aprir nel V. (B., CI., C). — 169. da' no-
8tr' avi ! V. (C.) — 173. ed anelando CI., C. — 173. Di sospetto, di C. — 178. feminilì
(B., CI.) stridi.
159 sg. l'nn l'altro percota Col go- 169. da TOBtr' avi : o nostr' avi ? Le
mito maligno: la frase è anche nei sa- due lezioni in fondo si equivalgono. Ma
tirici latini, p. es. Orazio sat. II 5, 42 ne '1 Matt. 312 semplicetti avoli nostri.
' aliquis cubito stantem prope tangens ', 170. con Tipertl crini : ' vipereum cri-
ma nuovo è il gomito maligno, cioè di nem' attribuisce Virgilio alla Discordia,
maligni e che serve a malignità. Aen. VI 281.
162. unico scopo: lo scopo è propriam. 173. ansando e ancliindo : 1' eUsione
la mira, il segno del bersaglio; quindi omessa in e-anelando, con lasciare il
sta benissimo con la specificazione che lor valore a tutti i suoni, fa che l' ultima
segue. parola si scandisca efficacemente.
163-'66. magnanima quiete : eh' è in- 176. gli antri domestici : a prima udita
vece, s'intende, melensa e colpevole ac- può sembrare che il nome e l'aggiunto
quiescenza. — Mostrar...: la var. Aprir, mal concordino insieme, e che forse il
un po' insolita e ricercata, avrebbe un \). scrìvesse gli atrii domestici. Ma in ve-
raffronto nella canzon. del P. ì^er nozze rità sono gli antri che servivan di casa,
V. 37 ' E poi schiudere il sorrisp... '. — le abitazioni nelle grotte: cfr. ai vv. 266-
ne le innocue luci, negli occhi inoffen- '68. Par designata l'età arcaica, vv. 176-
sivi. '78, e quindi il medio evo, vv. 178-'83.
167. 0 tre fiate aTTCnturosl e qnattro: 179 sg. luci Pavide al elei: o sia, oc-
è traduzione del virgiliano Aen. I 94 chi paurosamente vòlti al cielo, ma, cosi
• 0 terque quaterque beati ' : v. anche collocato, al elei non ha bisogno di altra
il Matt. v. 537. aggiunta determinativa.
IL MEZZOGIORNO 77
180 Pavide al ciel, tremando, lagrimando,
Tra la pompa feral de le lugubri
Sale vedeau dal truce sposo offrirsi
Le tazze attossicate o i nudi stili.
Ahi pazza Italia! Il tuo furor medesrao
185 Oltre l'Alpi, oltre '1 mar destò le risa
Presso agli emoli tuoi che di gelosa
Titol ti dièro, e t'è serbato ancora
Ingiustamente. Non di cieco amore
Vicendevol desire, alterno impulso,
190 Non di costume simiglianza or guida
Gl'incauti sposi al talamo bramato;
Ma la Prudenza coi canuti padri
Siede librando il molto oro e i divini
Antiquissimi sangui: e allor che l'uno
195 Bene all'altro risponda, ecco Imeneo
Scoter sua face; e unirsi al freddo sposo.
Di lui non già ma de le nozze amante.
La freddissima vergine che in core
Già i riti volge del Bel Mondo, e lieta
200 La indifferenza maritale affronta.
Cosi non fien de la crudel Megera
Più temuti gli sdegni. Oltre Pirene
Contenda or pur le desiate porte
Ai gravi amanti, e di femminee risse
205- Turbi Oriente; Italia oggi si ride
185. l'alpe V. (CI., C.) — 186. emuli C. — 191. Giovani incauti al V. (B., CI., C.)
— 193. il molt' oro — 195. risponde, — 199. Già volge i riti — 200. L'indifferenza —
204. feminee (B., CI.).
183. Le tazze a. o i n. stili: il veleno ricorda l'epitalamio catulliano, LXI 15,
o il pugnale, talvolta anche a scelta. 'O Hymeu, ... manu Pineam quate tae-
18S. Inginstamente : v. il Malt. v. 1002 dam'.
e la nota. — di cieco amore : qui cieco, e 197. Verso bellissimo e pien di signi-
Incantl tre versi sotto, suonano difetti iìcato.
nell'espressione, ma non neir intenzio- 19S sg. in core Già i riti volge del
ne del p. , giacché, senza tale cecità e Uel Mondo : quanto a riti per usi, co-
tale abbandono, si ha il freddo e Tindif- stunii, cfr. il Matt. v. 7. Qui viene a
ferenza e gli altri mali di cui appresso. mente la 'acerba virgo' di Orazio, e. Ili
189. Vicendevol deslre, alterno impulso, 6, 21, la quale 'incestos amores De te-
la scambievole inclinazione. Il secondo nero meditatur ungui'.
emistichio, come spesso nei classici an- 201. de la crndel Megera: la Gelosia,
tichi, non fa che ripetere il primo con quéiVindomabil mostro di cui ha par-
parola più forte. lato poc' anzi.
193. sg. 1 dirini Antiqaisslmi sangui: 202-'04, La gelosia degli Spagnoli —
cfr. il Matt. V. 3. oltre Pirene — è proverbiale. — gravi
195. sg. ecco Imeneo Scoter sua face: amanti, appunto diflacili e pericolosi.
78 IL MEZZOGIORNO
Di quello ond'ei'a già derisa: tanto
Puote una sola età volger le menti.
Ma già rimbomba d'una in altra sala
Il tuo nome, o Signor; di già l'udire
210 L'ime officine ove al volnbil tatto
Degl'ingenui palati arduo s'appresta
Solletico che molle i nervi scota,
E varia seco voluttà conduca
Fico al core dell'alma. In bianche spoglio
215 S'affrettano a compir la nohil opra
Prodi ministri : e lor sue leggi detta
Una gran mente del paese uscita
Ove Colbert e Richelieu fur chiari.
Forse con tanta maeStade in fronte
220 Presso a le navi ond'Ilio arse e cadéo
Per gli ospiti famosi il grande Achille
Disegnava la cena, e seco intanto
Le vivande cocean sui lenti fochi
Patroclo fido e il guidator di carri
225 Automedonte. 0 tu sagace mastro
Di lusinghe al palato, udrai fra poco
Sonar le lodi tue dall' alta mensa.
209. Signore, il uome tuo V. (B., CI., C.) — 214. al centro V. — (B., CI.) de l'alma
B. — 215. Affrettausi V. (B., CI., C.) — 216. Gravi ministri V. (CI.) — 218. Colberto e
Riaceliù V. (CI., C.) — 221. A gli V. (B., CI., C.) — 227. da l'alta B.
207. Tolger, mutare. sat. i grandi v. 38. — Colbert e Klche-
208 sgg. Ma già... 11 tuo nome...: non lien: ministri questo di Luigi XIII, quello
s' aspettava più che il Giovin Signore. di Luigi XIV, uomini di stato celebra-
210-'14, L'ime ol'.lcine: le cucine, pò- tissimi. «Dalla Francia che ebbe loro
ste nella parte bassa del palazzo : cf. al due è giusto che vengano oggi questi
V. 677 dagl' infimi chiostri. — Degl'in- altri ìninisCri: è un gioco di parole ben
geuui palati: non già semplici, anzi raf- riuscito » (M.).
finali; ma iuf^enwi alla latina vai nobili 219-'25. Nell'Iliade IX 201-21 Achille
o di buona stirpe. — arduo s'appresta prepara, insieme con Pcilroclo e Auto-
Solletico ecc., cf. iC Matt. v. 79 e ivi la medonte, l'imbandigione per Fenice
nota. — Fino al core dell'alma: la frase Aiace e Ulisse venuti alla sua tenda per
bella per sé, e sproporzionata ai gusti placarlo. — Presso le nari, è proprio
della gola, chiude la elaborata perifrasi l'omerico nagà viavai: onde Ilio a. e e,
della cucina siguorile. per opera delle quali navi achèe, cioè
214-'18i In bianclie spoglie... Prodi de' guerrieri venuti con esse, Troia fu
ministri : i cuochi, coi berretti e i grem- distrutta.
biuli bianchi. Prodi è troppo più bello 225 sg. sagace mastro Di... : vedemmo
che gravi perché si possa accoglierne già metaforica una frase simile, il Matt.
il cambio a evitare l'incontro opra prò- 670-72.
di. — e lor sne leggi detta Una gran iti. dall'alta mensa, cioè dalla mensa
mente del paese uscita Ore : a dar legge di quei grandi. Forse il p. ebbe in meute
a ministri, ci vuole un primo ministro; ' toro... ab alto ', nel convito di Bidone,
« dotto Apicio gallico «•, anche nell'AlIieri Aeti. II 2.
IL MEZZOGIORNO 79
Chi fia che ardisca di trovar mai fallo
Nel tuo lavoro? Il tuo Signor fia tosto
230 Campion de le tue glorie: e male a quanti
Cercator di conviti oseran motto
Pronunciar contro te; che sul cocente
Meriggio andran peregrinando poi
Miseri e stanchi, e non avran cui piaccia
235 Più popolar de le lor bocche i pranzi.
Imbandita è la mensa. In pie d'un salto
Alzati e porgi, almo garzon, la mano
A la tua Dama; e lei dolce cadente
Sopra di te col tuo valor sostieni,
240 E al pranzo l'accompagna. I convitati
Vengan dopo di voi ; quindi '1 marito
Ultimo segua. 0 prole alta di numi,
Non vergognate di donar voi anco
Brevi al cibo momenti: a voi non vile
215 Cura fia questa; a quei soltanto è vile,
Che il duro irrefrenabile bisogno
Stimola e caccia. All' impeto di quello
Cedan l'orso la tigre il falco il nibbio
L'orca il delfino e quant' altri mortali
250 Vivon quaggiù; ma voi con rosee labbra
La sola Voluttade inviti al pasto,
La sola Voluttà che le celesti
Mense imbandisce, e al nettare convita
I viventi per sé Dei sempiterni.
255 Vero forse non è ; ma un giorno è fama
228. di trovar pur macchia pur menda V. — 229. 11 tuo Signor Tarassi (C.) — 232.
contro a te V. (B., CI., C.) — 235. cou le — 5!37. almo Signor, — 241. quindi lo sposo
V. (B., Ci.) quindi il marito C. — 244 s^. Pochi momenti al cibo : in voi non sia [sic,
ma forse erroneam. per fia] Vii opra il pasto ; — 249. irresistibile — 249. quaut' altri
animanti Creseon qua giù V. (B., CI., C.) — 2,ól. al pasto appelli V. (B., CI., G.) —
253. Mensa apparecchia V. (B., CI., C.) — 255. Forse vero.
231-'35. Cercator di conriti: parasLti, 217. Stimola e caccia : spinge, incalza
in somma ; e veram. la pittura che se- (Dante Jnf. iv 146} ; ma classicam. il
guadi tali cercatori ci fa sovvenire di pa- concetto è in due verbi,
recclii personaggi della commedia plau- 251. i Tirenti per. sé Dei sempiterni:
lina. — popolar de le lor bocche... : impro- cioè, per lor natura, non per virtù di
prio, diresti, se in vece non fosse felicem. alimenti. Verso da epico antico,
ardito, espressivo e signiOcativo. 2j5. Vero forse non è... Questa forma
23s sg. dolce cadente Sopra di te: che di esitazione e di riserbo introduce più
si abbandona, si appoggia languida- efficacemente per l'interiore ironia l'af-
mente. Per la frase cfr. il Matt. 85 le fermazione di un fatto verissimo. « Ed
coltrici Molle cedenti. — col tuo rnlor: ecco il passo tanto giustamente ammi-
•cji' è forza e prodezza adeguata a ciò. ratp per l'arte e lo stile, e tanto impor-
80
IL MEZZOGIORNO
Che fui- gli uomini eguali, e ignoti nomi
Fur Plebe e Nobiltade. Al cibo, al bere,
All'accoppiarsi d'ambo i sessi, al sonno,
Un istinto medesmo, un' egual forza
2C3 Sospingeva gli umani, e niun consiglio,
Niuna scelta d'obbietti o lochi o tempi
Era lor conceduta. A un rivo stesso,
A un medesimo frutto, a una stess' ombra
Convenivano insieme i primi padri
2G5 Del tuo sangue, o Signore, e i primi padri
De la plebe spregiata; e gli stess' antri
E il medesimo suol porgeano loro
Il riposo e l'albergo e a le lor membra *
I medesmi animai le irsute vesti.
270 Sol' una cura a tutti era comune
Di sfuggire il dolore, e ignota cosa
Era il desire agli uman petti ancora.
L'uniforme degli uomini sembianza
Spiacque a' Celesti, e a variar la terra
275 Fu spedito il Piacer. Ecco il bel Genio,
.. .Ì"-^^"''^f '" ^ ^^''^^' ^- '^•' ^'-^ - ^'^- a^ooPPiarse V. (CI., C.) - 259. Uno i.sti„tf
V. (B. CI., C.) una egual B. - 260. Sospigueva V. (B., CI., C.) - 2G1. Nulla scelta V.
(B., CI., C.) obietti CI., C. - 266 8g. spregiata. I medesm' antri, Il m. suolo offrieno lorc
gli stessi antri E '1 B. - 270. Sola V. (B., CI., C.) commune B. _ 274 a.' ^ va-
nar lor sorte II Piacer fu spedito. V. (B., CI., C.) - 275 sg. Quale già i numi D'Ilio su,
campi, tal l'amico Gemo.
tante alla ragion del poema, come quello rini venne al Foscolo e ad altri moderni,
che, mostrando spiegare le origini della Al verso 31 dei Sep. « Celeste dote è
distinzione tra nobili e plebei, è, pei- negli umani. Sev. Ferrari annotò- «Il
cosi dire, il focolare di tutta l'ironia. Mamiani nella prefaz. alla ristampa delle
- Il quadro - fu detto giustamente - sue Poesie fatta nel 1857 a Firenze di-
nella pittura gareggia coir Albano, né fese questa voce accusata di neologi-
forse è indegno di un socialista nell'in- amo, facendo osservare che era una de-
tenzione [C. Ugonil. - Gli uomini nati i-ivazione pretta dai latini ed allegando
eguali non sapevano da prima che fosse 1' autorità di Cicerone ma più special-
piacere : ma r istinto andò a gradr a mente il testo di Varrone che Nonio ri-
grado trasformandosi in desiderio, e porta: natura humards omnia sunt
ne venne quindi il bisogno e quindi il paria. Si trova poi usato già dal Pul-
piacere: nella lotta del bisogno per il ci, e dal Parini ... ». - ni.in consiglio
piacere vinsero i meglio organizzati: Klnna scelta ...: non deliberazione e non
onde la disuguaglianza tra gli uomini, discei-mmento, apuato perché tutto era
e la nobiltà ereditaria. Ciò viene a dire istinto e fona, tutto intas monstrO'
la favola dei Piacere mandato dai celesti tum.
tra i mortali . (Carducci, op. cit. Il x 264. Convenivano insieme : il vertw diw
® ^''- 1' azione comune de' soggetti, l' avvec
260 sg. gli nmani: gli uomini. Forma bio un rapporto di questi fra loro,'
quasi senza esempio prima, poi dal Pa- quindi non e' è pleonasmo.
IL MEZZOGIORNO
81
Qual già d'Ilio su i campi Ii-ide o Giano,
Lieve lieve per l'aere labendo
A la terra s' appressa, e questa ride
Di riso ancor non conosciuto. Ei move,
230 E l'aura estiva del cadente rivo
E dei clivi odorosi a lui blandisce
Le vaghe membra, e lenemente sdrucciola
Sul tondeggiar dei muscoli gentile.
Gli s'aggiran d'intorno i Vezzi e i Giochi,
285 E come ambi-osia, le lusinghe scorrongli
Da le fraghe del labbro: e da le luci
Socchiuse, languidette, umide fuora
Di tremulo fulgore escon scintille
Ond'arde l'aere che scendendo ei varca.
277. B. e CI. l'omettono: e nella lez. variante da noi seguila, almeno quale apparisce
neW ed. Reina, sarebbe veratri, omesso ; ma, non stmbrando credibile che il P. cancellasse
tal verso, lo serbiamo, come lo serbò il C. — 278. S' avvicina a la Terra ; — 28t. A lui
giran V. (B., CI., C.) — 285. scorrono V. (B., CI., C.) — 286. fragghe B. [certam. per
errore di slampa, come sdrucciolo al v. 2S2j — 287. fuori — 288. tremolo B.
276 sg. d'Ilio sni rampi: le stesse pa-
role, e forse uou a caso, ha il Monti
traducendo a punto uno scender d'Iris,
IL W 170 sgg. :
. . . come sospinta
Dal fiato d'aquilou sereaatore
Dalle nubi talor vola la neve
O la gelida grandine; a tal guisa
D' Ilio sui campi con rapido volo
Tri calessi.
Di Giunone vi sono i cavalli, V 768, che
Infra la terra e lo stellato ciulo
Desiosi volare.
Credo che l'unione Irl«le o Ginno venisse
al P. più specialmente daìV Eneide, ove
Iride è il più sovente messaggera di
quella, a Didone, a Turno, e il cammino
o solco luminoso di lei per l'aria è de-
scritto in mirabili versi, IV 700 sgg., e
particolarm. V 609:.
Illa (Iris) vlam celcrans per mille colo-
[ribus arcum
nulli visa cito decurrit tramite virgo.
Forse, rimeditando su questi suoi versi,
il P. dubitò che, posta in comparazione
anche Giano, nell'altra parte non istesse
bene il verso LloTe lieve por l'aere la-
bendo: ma questo, se mai, fu da vero
uno scrupolo. Il Cantù, pur notando
Questo bel verso manca neW ultima
les. dei P., lo mantenne: i latini dicean
labi, non che dell' acque nel quale uso
lo ripigliò Dante, Par. vi 51 «. V alpe-
stre rocce, Po, di che tu labi » (cfr. Oraz.
ep. 2, 25 « labuntur altis interim ripis
aquae »), delle cose scendenti a volo ra-
pidamente. Il Monti, Feron. Ili :
E come stella che, alle notti estive
Precipite labendo, il cielo fende
Di momentaneo solco :
tradusse, e forse non immemore del P.,
il virgiHano gè. I 365 « stellas... Praeci-
pites caelo labi ». Qui, tra i citati dal
Cantù, è singolarm. a proposito, insieme
coiul'altro di Virgilio « labere, nympha,
polo» il verso di Valer. ¥ìdiCco, Argon.
VII 259, « cura levis a superis ad te modo
laberer auris ».
284. Gli ...: manifesto il ricordo della
Venere oraziana « Quam locus circum
volat et Cupido », e. I 2, 34.
286. Da le fraghe dal labbro, cioè dalle
labbra fresche e vermiglie come fragole;
fraghe, non frequente in luogo della
forma diminutiva invalsa, qui sta bene.
287. Ritrae, applicandolo al Piacere,
r atteggiamento di chi prova uu alto
godimento.
289. Ond'arde: si può intendere tran-
sitivo e intransitivo, ma il P. intese il
Pasini — Albini.
82 IL MEZZOGIORNO
290 Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra,
Sua prima orma stamparsi; e tosto un lento
Fremere soavissimo si sparse
Di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte
Di natura le vìscere commosse:
295 Come nell'arsa state il tuono s'ode
Che di lontano mormorando viene,
E col profondo suon di monte in monte
Sorge, e la valle e la foresta intorno
Muggon del fragoroso alto rimbombo,
300 Finché poi scroscia la feconda pioggia
Che gli uomini e le fere e i fiori e l'erbe
Ravviva riconforta allegra e abbella.
Oh beati tra gli altri, oh cari al cielo
Viventi a cui con miglior man Titano
305 Formò gli organi illustri e meglio tese,
E dì fluido agilissimo inondolli !
Voi l'ignoto solletico sentiste
Del celeste motore. In voi ben tosto
La voglia s' infiammò, nacque il desio :
310 Voi primieri scopriste il buono, il megLo;
E con foga dolcissima correste
A possederli. Allor quel de' due sessi
Che necessario in prima era soltanto,
291. priin' orma — 295. uè l'arsa ostate B. — 299. di smisurato V. (B.) — 300. poi
cade (CI.) — 303. fra gli altri e cari V. (B., CI.) fra gli a., oh G. — 305. gli òrgani
egregi V. (B., CI., C.) — 3Iì9. Le voglie feriueutàr, — 311. Voi con foga V. (B., CI., C.)
— 312. de i duo sessi V. (B., CI., C).
secondo ; n' è prova 1' el. — Nota, per inde, tremor terras graviler pertera-
chiusa dopo i versi che ritraggono la Iptat, et altum
grazia elegante, questo verso che suona murmura percurrunt caelum ;
la divinità. poi
292 Sg. Nota la singolare bellezza di .... sequitur gravis iraber et ubar,
questo verso. — Di cosa in cosa: Manz. omnia utl videatur in imbrem vertier
la Pentec. 41: • [aether.
Come la luce rapida La copia di parole dell' ultimo distico,
Piove di cosa in cosa, nella enumerazione e in quel grupf>o
E i color vari suscita di verbi, seconda vivacemente all' ab-
Dovunque si riposa .... bondanza e agli effetti del fenomeno
295-302. Uno dei mirabili passi che naturale qui descritto,
ritraggono fenomeni di natura: la ve- 301. Titano: qui vale Prometeo che,
rità dell' osservazione in tutti i parti- secondo il notissimo mito, plasmò l'uo-
colai'i, la perfezione dell'arte nelle frasi mo. Propriamente Titani si dissero i gi-
e ne' suoni, non voglion commento. — ganti figli della Terra, trai quali Giàpeto
Alle parole la yalle e la foresta Intorno padre di Prometeo.
Mnggon etc, e quindi Finche' poi scro- 308. Del celeste moto.c: natuialin., il
scia.. , si piiA ricordare Increzio VI 287: Piacere.
IL MEZZOGIORNO 83
D'amabile e di bello il nome ottenne.
315 Al giudizio di Pavide voi desto
11 primo esempio: tra femminei volti
A distinguer s'apprese; e voi sentiste
Primamente le grazie. A voi tra mille
Sapor fur noti i più soavi : allora
320 Fu il vin preposto all' onda, e il vin si elesse
Figlio de' tralci più riarsi, e posti
A più fervido sol, ne' più sublimi
Colli dove più zolfo il suolo impingua.
Cosi l'uom si divise: e fu il signore
325 Dai volgari distinto, a cui nel seno
Troppo languir l'ebeti fibre, inette
A rimbalzar sotto i soavi colpi
De la nova cagione onde fur tocche:
E quasi bovi, al suol curvati ancora
330 Dinanzi al pungol del bisogno andare;
E tra la servitute e la viltade
E '1 travaglio e l'inopia a viver nati,
Ebber nome di Plebe. Or tu, Signore,
Che per mille feltrato invitte reni
335 Sangue racchiudi, poi che in altra etade
Arte, forza, o fortuna i padri tuoi
Grandi rendette, poiché il tempo alfine
Lor divisi tesori in te raccolse,
Godi degli ozi tuoi, a te dai numi
340 Concessa parte: e l'umil vulgo intanto,
Dell'industria donato, a te ministri
315. fu dato V. (B., CI., C.) — 316. femlnei Tutti ma per uniformità di grafia non H
seguo. — 317. e fur sentite V. (B., CI., C.) — 318. Allor tra mille — 320. s' elesse —
325. Da i mortali V. — 326. Giacquero ancor l'èbeti V. (B.) — 331. servitude V. (B.) —
332. E il V. (B., CI., C.) — 333. garzone, V. (B., CI., C.) — 334. feltrato per mille
per mille filtrato B. — 335. poiché. — 339. Del tuo senso gioisci, — 341. sg. ora
ministri A te
■ 315 seg. Precorreste a Paride ch'ebbe 731 sgg., e anche Sallustio Cadi. I ì
a giudicare di bellezza tra le dèe. « pecora quae natura prona atque ven-
320 seg. Virgilio gè. i9 « Poculaque tri oboedientia fìnxit ».
inventis Acheloia miscuit uvis » (tellus), 333-'35. Superfluo richiamare i versi
e anche puoi ricordare che «alte Mitis ili con cui s'intona il Mattino.
apricis coquitur vindemia saxis » II 522. 336-'38. Arte, forza, o fortuna : accor-
326 sg. l'ebeti fibre : ottuse, spuntate. gimento, violenza, o caso, si avvicen-
Frequeute in lat. hebetare detto, non darono ne' padri; gli effetti si raccol-
clie delle armi, dei sensi. Il rimbalzar sere, i divisi tesori confluirono, nel ni-
aggiunge l'idea di elastico a quella di potè,
acuto. 340. Concessa parte, apposiz. a osi
329. E quasi t»Ti... : ricorda il Matt. tuoi.
84 IL MEZZOGIORNO
Ora i piaceri tuoi, nato a recarli
Su la mensa real, non a gioirne.
Ecco splende il gran desco. In mille forme
345 E di mille sapor, di color mille
La variata eredità degli ayi
Scherza in nobil di vasi ordia disposta.
Già la Dama s' appressa, e già dai servi
Il morbido per lei seggio s' adatta.
350 Tu, Signor, di tua mano all'agii fianco
Il sottopon, si che lontana troppo
Ella non sieda, o da vicin col petto
Ahi ! di troppo non prema : indi un bel salto
^ Spicca, e chino raccogli a lei del lembo
355 II diffuso volume, e alfin t' assidi
Prossimo a lei. A cavalier gentile
11 lato abbandonar de la sua dama
Non fìa lecito mai, se già non sorge
Strana cagione a meritar ch'egli usi
360 Tanta licenza. Un nume ebber gli antichi
Immobil sempre, che al medesmo padre
Degli Dei non cedette, allor ch'ei scese
Il Campidoglio ad abitar, sebbene
E Giuno e Febo e Venere e Gradivo
865 E tutti gli altri Dei da le lor sedi
Per riverenza del Tonante uscirò.
3J3. Su la mensa regal, lu.n a gndorne. V. (B., CI., G.) — 344-347 (?/(«/« versi tran
posti dopo quello che qui è 300. E il primo di essi diceva cosi Già s' avanza la mensa.
In mille guise e l'ultimo cosi Scherza no' piatti, e giuat' ordine serba. Del primo una
prima variante fu questa Di già il pranzo s'affretta. — 348-51. Ecco la Dama tua a' ae-
gide al desco: Tu la man lo abbandona; e mentre il servo La seggiola avanzando all' a.
f. La sottopon, — 352. non sia né — 353. Prema troppo la mensa, un picciol s. — 355
sgg. A lato poscia Di lei tu siedi: a e. g. Il fianco — 359. cagion a meritar ch'ei tolga
V. cagione a meritar ch'ei tolga B. — 361. I. s. e ch'alio stesso p. — 362. ch'ei venne.
343. 8u la mensa real, iperbolicamente. luogo del Giovin signore sia di regola
Del resto, è noto che in lat. reges valse fisso, e che è per dire come quello di
spesso a dire « i grandi ». In questo tutti gli altri sia indistinto e mutevole^
senso e' è appunto in Orazio, Sat. ii 2, ripensa al dio Termine. Il quale, quan-
45 « epulis regum ». do fu fatto il tempio di Giove capitolino
344-'47. L'avere antic'iati qui questi e tutti gli altri numi, con l'assenso de-
versi è opportunissimo: J uno sguardo gli àuguri e lor proprio, abbandonarono
generale alle mense, prima della scena i lor sacelli, solo rimase fermo. Leg-
del mettersi a tavola. Senza ciò, si tor- giamo in Livio I 55 « ... non motam
nava poi indietro, importunamente. E Termini sedem unumque eum deorum
le correzioni hanno tolto al passo più non evocatum ... ». E forse il P. ricor-
d'una ineleganza, p. es. quello scherza dava Ovidio, Fast, ii 667 «... novacum
ne' piatti. lierent Capitolia, ... deorum Cuncta lovi
360-'66. Il p. che ha detto come il cessit turba locumquededit.Ternainus...
IL MEZZOGIORNO
85
Indistinto ad ognaltro il loco fia
Al nobil desco intorno ; e s' alcun arde
Ambizioso dì brillar fra gli altri,
G70 Brilli altramente. Oh come i vari ingegni
La libertà del genial convito
Desta ed infiamma! Ivi il gentil Motteggio
Maliziosetto svolazzando reca
Sopra le penne fuggitive ed agita
375 Ora i raccolti da la Fama errori
De le belle lontane, ora d'amante
0 di marito i semplici costumi:
E gode di mirare il queto sposo
Rider primiero, e di crucciar con lievi
380 Minacce in cor de la sua fida sposa
1 timidi segreti. Ivi abbracciata
Co' festivi Racconti intorno gira
368. Presso al nobile desco; All'alta mensa intorno V. (B., CI.). — 373 sg. M.
È. Intorno Reca su 1' ali Malizioso s. r. Sopra le p. V-. (B., CI.) — 376 sg. or degli
amanti Or de' mariti V. (B.). — 382. R. esulta e scherza V. (B., CI., C.)
in aede Restitit et magno cura love tem-
pia teuet». Avverti solennità conche
la comparazione si chiude: è l'esodo
degli dèi innanzi al gran padre.
367. Indistinto, non assegnato, senza
differenze.
363. arde, vivamente desidera.
370. Brilli «Itramente, cioè non per il
luogo occupato : trovi altra via di se-
gnalarsi. — i rari ingegni, le indoli e
gli umori diversi.
371. genial convito, piacevole, dilet"
toso ; in cui è secondato il genius. Ved'
un festum geniale in Ovidio, Fast, ni
523, e ivi descritto il popolo che potai
e accumbit lungo il Tevere. E genialis
hiems è in Virgilio, perché l'inverno è
occasione di adunarsi in lieta brigata
presso il fuoco.
372-'81. Ivi 11 gentil Motteggio, la ur-
bana dicacità : ma questa personifica-
zione, come le seguenti e le più del poe-
ma, non serba di astratto se non quanto
conferisce all'ornato poetico; per il re-
sto è realtà viva. — Sopra le penne fug-
gitive, rapide. — ed agita: precedendo
sopra le penne, qui non è da intendere
« spinge innanzi » (come in agere pe-
cus, agitare feras, e poco innanzi al
v. 34) ma « crolla, scuote », sicché le cose
recate su le ali si spargano intorno. —
i raccolti da la Fama errori: i falli ch'esso
Motteggio ha uditi, appresi dalla Fama.
— i semplici cf)»tnmi: qualche goffag-
gine singolare. — E gode di mirare il
qneto sposo: alla prima potrebbe pa-
rere che fosse stato da dire piuttosto
di mirar gitelo lo sposo ; ma no: quella
placidità è un attributo costante, non
un predicato occasionale; cfr. vv. 412-
'15. — Rider primiero: è il primo a ri-
dere; a cui si adatta a capello l'ora-
ziano «quid rides'? mutato nomine de
te fabula narratur». — e di crncoìar...
segreti : cioè, il Motteggio con lievi ac-
cenni si diletta a metter paura alla fida
sposa (sna, cioè del queto sposo) che si
sveli e scopra qualche segreto di lei.
Ciò è detto assai studiatamente, ma il
senso non par dubbio.
381 -'90, Ivi abbracciata Co' festivi Rac-
conti... L'elegante Licenza: itnagine quan-
to mai felice e opportuna per dire quelle
oscenità, tenute di buon gusto o bon
ton, di che sono sparsi quegli allegri
racconti. — or nnda..., or con leggiadro
velo...: quando più sfacciata e quando
più maliziosa. — e pnr fatica DI richia-
mar etc. : cioè, assidua essa Licenza
s'affatica, s'ingegna, ma non riesce, a
86 IL MEZZOGIORNO
L'elegante Licenza: or nuda appare
Come le Grazie, or con leggiadro velo
385 Solletica più scaltra, e pur fatica
Di richiamar de le matrone al volto
Quella rosa natia che caro fi-egio
Fu dell' avole nostre, ed or ne' campi
Cresce solinga, e tra i selvaggi scherzi
390 A le rozze villane il viso adorna.
Forse a la Bella di sua man le dapi
Piacerà ministrar, che novo pregio
Acquisteran da lei. Tu dunque il ferro
Che forbito ti giace al destro lato
395 Quasi spada sollecito snudando
Fa che in alto lampeggi, e chino a lei
Magnanimo lo cedi. Or si vedranno
De la candida mano all'opra intenta
I muscoli giocar soavi e molli:
400 E le Grazie piegandosi con essa
385. S. vie meglio ; e a' affatica — 387 sgg. Q. r. gentil che fu già un tempo Onor
di belle donne, all'Amor cara E cara all'Onestade; ora ne' campi natia, che caro
fregio Fu de l'avole nostre, a l'amor caro E caro a l'onestade ; ora B. — 391. a la Dama
(C.) — 392 ag. che novi al senso Gusti ottorran da lei V. (B., CI., C.) — 393. Veloce
il ferro — 394. ti attende — 395 sgg. Nudo fuor esca; e come quel di Marte, Scintil-
lando lampeggi: indi la punta Fra due dita ne stringi, e chino a lei Tu il presenta,
o Signore. Or si vedranno — 396 sg. Fa che in alto lampeggi, indi la punta Fra due
dita ne stringi, e chino B. — 400. piegandosi dintorno
fare arrossir le dame, come arrossivano Par. xxni 43 «la mente mia, fatta più
le nostre nonne (cfr. il Matt. 238 « le ac- grande Tra quelle dape, di sé stessa
cigliate gelide matrone ») e ora soltanto uscio»; metaforicamente (come viran-
le conladine. Ma nota di che maravi- da in Purg. xxx 143), per dire le vi-
glioso tessuto poetico è avvolto questo sioni beatifiche. — Forse né pure il Bella
pensiero. — Qnella rosa natia: il natu- della var. qui finiva di piacere al p. :
ralpudore(«pui'pureuspudoi'», Ov. am. ma Dama con dapi vicino gli dava'
I 3, 14); e continuando arditamente la noia, e poi voleva mutare in tutto l'e-
metafora, che... or ne' campi Cresce so- spressioue da quella del v. 437 sg.
Unga etc. — tra i selvaggi scherzi, troppo 395. Quasi spada: avverti come in que-
arditi o sgarbati. — A le rozze Tlllane: sle due parole ha compreso e compen-
qui l'aggiunto è pieno di significato : diato il concetto di prima, utilmente
rozze, e pur più delicate. — La var. al omettendo il paragone e il nome di Marte,
V. 386 sgg. tutt' insieme è buona, special- e anche ha lasciato il particolare indi
mente in quanto ha levato v'x&aWAmor la punta fra due dita ne stringi.
cara E cara all' Onestade, ch'ei'a un 399. I muscoli giocar: in questo senso
commento freddo e inutile. Della prima « il gioco de' muscoli, de' nervi ... » si
lez. era da piacere Onor di belle donne dice comunemente, e la vivace espres-
e più quell'oro- ne' campi che veniva in sione fa qui ottimo effetto,
fine, avversativo asindetico. 400-'05. Orna poeticamente questo pea-
391. le dapi, cioè le vivande, come siero: graziosi son tutti gli atti della
dirà al v. 438: latinismo raro. Dante, dama china e intesa all'opera, e tutte
IL MEZZOGIORNO 87
Vestìran nuove forme, or da le dita
Fuggevoli scorrendo, ora su l'alto
De' bei nodi insensibili aleggiando,
Ed or de le pozzette in sen cadendo
405 Che de' nodi al confin v'impresse Amore.
Mille baci di freno impazienti
Ecco sorgon dal labbro ai convitati;
Già s'arrischian, già volano, già un guardo
Sfugge dagli occhi tuoi che i vanni audaci
4.10 Fulmina ed arde, e tue ragion difende.
Sol de la fida sposa a cui se' caro
Il tranquillo marito immoto siede :
E nulla impression l'agita e scuote
Di brama o di timor; però che Imene
415 Da capo a pie fatollo. Imene or porta
Non più serti di rose al crine avvolti,
Ma stupido papavero grondante
Di crassa onda letea, che solo insegna
Pur dianzi era del Sonno. Ahi! quante volte
420 La dama delicata invoca il Sonno
Che al talamo presieda, e seco invece
Trova Imeneo, e timida s'arretra:
Quasi al meriggio stanca villanella
Che tra l'erbe innocenti adagia il fianco
405. dei nodi — 408. ma uq guardo C. — 414. Di brama, di timor CI., C. — 416. av-
volti al crine — 418 sg. Letèa : Imene e il Sonno Oggi han pari le insegne. Oh come
spesso — 420. dilicata — 42-'. e stupida rimane
le parti della sua mano si mettono leg- di rose,..: a Imene lieto convenivan ghir-
giadrainente in mostra. — su l'alto De' lande di liori lieti e odorosi. Catullo lxi
l)('i nodi : ove le dita s'innestano alla 6 « Cinge tempora floribus Suave olentis
palma, al dosso. — de le pozzette in scn..., anaraci ». Anch'esso il P. in que' suoi
The de' nodi al confin...: cioè negli al- Programmi di belle arti,op^. V p. 15,
vedi o cavi che si formano su la mano pone « Imeneo coronato di rose».
pie;; i(a ti'a i nodi su'ldetti. 417-'l'J. Ma stnpido papavero..., che in-
406. di freno impazienti, che non pa- duce stu|)0.e, torpore, sonnolenza: cfr.
tiscouo freno, che non possono traile- il Mall.v. Ul. Di crassa onda lett'a: den-
nersi. Cfr. morae impatiens. sa (anche « aer grasso » dice Danie), e
410. tue ragion, il tuo diritto. che induce oblio, ch'era proprietà del
414. però che Imene Da capo a pie f.v fiume infernale di Lete. « Lethaea p 4)a-
tollo. Tutti sanno che ne' poemi eroici vera» è in Virgilio,
e cavallereschi si legge di guerrieri falli 420 sg. inroca il Sonno Che al talamo
invulnerabili in tutto 0 in parte per opera presieda : espressione classica secondo
di numi o per virtù d' incanti. Quindi il rito o la credenza che a ogni cosa o
al P. r idea di questa si nuova fata- luogo presiedesse un dio, un genio, un
c/ione : e la felice, acerba trovata gli arbitro.
a pie adito alla digressione che va di qui 423-'30. Nella Eneide, II 378, un guer-
al V. 436. riero greco che, credendosi tra schiere
415 sg. Imene or porta Xon pìd serti amiclie (socia agmina) avea loro rivolta
88
IL MEZZOGIOKNO
425
Lieta e secura, e di repente vede
Un serpe, e balza in piedi inorridita,
E le rigide man stende, e ritragga
Il gomito, e l'anelito sospende;
E immota e muta e con le labb.i-a aperto
Il guarda obliquamente. Abi qunnte volte
Incauto amante a la sua lunga pena
Cercò sollievo, ed invocar credendo
Imene, ahi folle ! invocò il Sonno ; e questi
Di fredda oblivion l'alma gli asperse,
E d'invincibil noia e di torpente
Indifferenza gli ricinse il core.
Ma se a la Dama dispensar non piace
Le vivande, o non giova, allor tu stesso
La beli' opra intraprendi. Agli occhi altrui
Più brillerà cosi l'enorme gemma,
Dole' esca a gli usurai, che quella osàro
A le promesse di signor preporre
Villanamente: e contemplati fièno
I manichetti, la più uobil opra
425. Quota e sicura, e d'improviso — 423. Il cubito V. (B., CI., C.) — 430. Obliqua-
mente il guarda. Oh come spesso — 439. Il bel lavoro improudi. — 440. Più cosi sma-
glierà l'è. g. V. (B., CI., C.) — 443. ed osaervati
430
435
440
la parola e a un tratto s'accorge d'es-
sere invece in mezzo a troiani,
Obstipuit retroque podem cum voce re-
[pressit ;
Improvisum aspris velati qui sentibus '
(anfeuem
Pressit humi nitens trepidusque repeu-
[te refugit
Attollentem iras et caerula colla tumen-
[tem... :
comparazione omerica. Da questa, e da
qualche racconto di dormenti suU'ei'ba
sopraffatti all' impi'owiso da un ser-
pente, il P. ebbe i germi di questo pa-
ragone, ch'egli adattò si conveniente-
mente al suo soggetto e tratteggiò con
tanta verità in ogni particolare.
430-'36. Ahi qiiaute volte..., imocò 11
SouDO : r innamorato sperò di trovar
pace e consolazione nel matrimonio, ma
quegli cui invocò per Imene era il Sonno.
Di fredda cbliviou l'alma gli asperse:
come se il Sonno producesse tale dimen-
ticanza nel marito spruzzandolo di cras-
sa onda letèa, — torpente, torpida, iner-
t3, letargica, a leggere questi versi viene
a mente il principio dell'epodo 1 C di
Orazio:
MoUis inertia cur tantani diffuderìt imi9
Óblivionera sensìbus,
Pocula Letliaeos ut si ducentia soranos
Arente fauce traxerim...
437 sg. nou piace... o non giova: se dif-
ferenza è ti-a i due verbi, certo è ben
sottile, poiché, non apparendo qui dal
contesto che giova possa avere il senso
italiano di « è utile», dev'essere il so-
lito latinismo che equivale press' a poco
a « piace ».
440-'43. renorine gemma, Dolc'esca a gli
nsnrai, che etc. : è dunque un anello che
qualche volta fu dato in pegno; e la vil-
lania dell' usuraio che preferisce il pe-
gno alla parola, richiama quella dt-1
sai-tore (Il Matt. v. 161 sgg.) non ben
Ijago D'aver teco diviso i ricchi drap-
pi... — Villanamente : cfr. al v. 1S8.
441 sg. I manichett'. Salvini disc. 3,75
«Fiorentino manichini, romano mani-
IL MEZZOGIORNO 89
445 Che tessesser giammai angliche Aracni.
Invidieran tua delicata mano
I convitati, inarcheran le ciglia
Sul diffidi lavoro, e d'oggi in poi
Ti fia ceduto il trinciator coltello
450 Che al cadetto guerrier serban le mense.
Sia tua cui'a fra tanto errar su i cibi
Con sollecita occhiata, e prontamente
Scoprir qual d'essi a la tua bella è caro;
E qual di raro augel, di straìiio pesce
455 Parte le aggrada. Il tuo coltello Amore
Anatomico renda, Amor che tutte
Degli animali noverar le membra
Puote, e discerner sa qual abbian tutte
Uso e natura. Più d'ognaltra cosa
460 Però ti caglia rammentar mai sempre
Qual più cibo le noccia o qual più giovi,
E l'un rapisci a lei, l'altro concedi.
Come d'uopo ti par. Serbala, oh dio.
Serbala ai cari figli. Essi dal giorno
465 Che le alleviàro il delicato fianco
Non la rivider più: d'ignobil petto
445. Che tessesse giammai Anglica Aracne. — 446. dilicata — 448. Al V. (B.) —
450. Dopo questo seguivano i vv. Teco son io, Signor; già intendo e veggo Felice osser-
vatore 1 detti e i moti De' Semidei che coronando stanno E con vario costume ornan
la mensa. Or chi è quell' eroe che tanta parlo : vedi qui al v. 599. E al v. Teco sou
io, Signor; il Reina annota: « In un testo del Meriggio, che certo è l'ultimo riveduto
dall'autore, si trovano, oltre vari cambiamenti, le traslazioni che seguono: dal verso
Che al cadetto guerrier serban le mense si passa al verso Sia tua cura fra tanto errar
su i cibi, dal quale seguendo si va fino all'altro Pur di commercio novellava e d'arti:
indi si retrocede al verso Ma chi è quell' eroe, che tanta parte, e di là ii prosegue
fino al verso Da le vittime umane isti superba, con cui si lega il seguente Né senza i
miei precetti o senza scorta ». — 457. De gli animanti annoverar V. (B., CI.) animanti
noverar C. — 458. aggian V. (B., CI., C). — 463. d'uopo a te paro. Oh dio, la serba
V. (CI., C.) — 46'). Che alleviare B. dilieato
Ghetti ; i Sanesi gli chiamai! rimberci, ciante a tavola. Abbiamo udito or ora,
perché figurano la rimboccatura da v. 395, quasi spada...
mauo della camicia » (in tale, o simile, 455-'59. 11 tuo coltello Amore Anato-
significato usa oggi x>olsinÌ). Le ca- mloo renda : Amore ti guidi la mano, in-
micie del Gioviu signore vengon di fuo- segni al tuo coltello una dissezione sa-
ri: tessuto e ricamo inglese. — Aracni: pienteeopportuna. — Amor che tntte ecc.
dal nome della mitica tessitrice lidia forse sta a giustificare come possa
che provocò Minerva e fu mutata in Amore rendere anatomico il coltello;
ragno. ma anche forse può parere un po' lunga
450. al cadetto guerrier s. le m. : in- la giunta, un po' strana la scienza at-
tendo, che ai primogeniti della casata, tribuita ad Amore.
o a quelli del ceppo vecchio, erano ser- 463-'66. Serbala, oh dio. Serbala al cari
baie già altre armi; a costoro, il triu- fljliJ Dopo questo affettuoso grido si
90 IL MEZZOGIORNO
Esaurirono i vasi, e la ricolma
Nitidezza lasciar© al sen materno.
Sgridala, se a te par eh' avida troppo
470 Agogni al cibo, e le ricorda i mali
Che forse avranno altra cagione e cli'elLi,
Al cibo imputerà nel di venturo.
Né al cucinier perdona a cui non calse
Tanta salute. A te ne' servi altrui
d75 Ragion fu data in quel beato istante
Che la noia o l'amore ambo vi strinse
In dolce nodo, e pose oi'Jini e leggi.
Per te sgravato d'odioso incarco
Ti fia grato colui che dritto vanta
480 D'irapor novo cognome a la tua Dama,
E pinte sti'ascinar su gli aurei cocchi
Giunte a quelle di lei le proprie insegno :
Dritto sacro a lui sol, eh' altri giammai
Audace non tentò divider seco.
485 Vedi come col guardo a te fa cenno
Pago ridendo, e a le tue leggi applaude,
Mentre l'alta forcina intanto ei volge
Di gradite vivande al piatto ancora.
468. serbavo — 470. Al cibo agogni V. (B., CI., C.) — 474. sui servi (C.) — 475,
donossi in quel felice — 476. o l'amor vi strinser arabo — 477. e dier o. e 1. — 479. Ti
fle V. (CI., C.) — 481. trascinar — 483. Dritto illustre per lui,- e ch'altri seco — 484.
divider mai. — 485-'88. Sono aggiunti (B., CI., C.)
aspetterebbe di udir soggiungere : « tu il Matt. note ai vv. 569 e 812. — a cni non
sai ch'ella non li parte mai da sé, sai calse: importò, stiè a cuore. Tanta sa-
di che assidue cure li circonda », o altra Iute: cioè cosi preziosa,
cosa simile. In vece : Kssi dal giorno Che 471 sg. ne' servi, equivale a sui servi
le alleTiàro (alleggerirono, sgravarono) della 1' lez., ma piti eletto e di miglior
il delicato fianco Non la rhldcr pio: che suono. liaglon fn data, diritto, auto-
forza in questa semplice e improvvisa rilà.
soggiunzione! Di tali mosse impensate 478-'88. Per te, per opera tua, sgra-
vedremo, tra il v. 739 e prece, e il v. 740 vato d'odioso incarco, dispensato da un
e segg., un altro splendido esempio. ufficio increscioso (d'invigilare e rego-
466-'68. d'ignobil petto, cioè di balia lare l'appetito e la gola della moglie),
plebea. Esaurirono i vasi, nel proprio si- Ti fla grato colui che ecc. : acei'bissima
gnilicato di « vuotare attingendo, be- perifrasi del marito. Questi è colui che
vendo» e qui «suggendo» (Virgilio gre. dà il cognome alla moglie, questi è che
III 309 « exhausto... ubere»). Nella pa- su gli sporteUi della carrozza congiunge
rola un po' materiale i vasi è l' idea del gli stemmi delle due casate : guai se al-
seno abbondante, e che adempie all'uf- tri osasse, ma nessuno osa, usurpargli
ficio suo, di nutrice contadina: che luce nulla di tah sacri diritti ! Che gelosa lie-
di marmo è in vece nelle parole la ri- rezza ! Ma v' è il terribile sottinteso :
cnlma nitidezza! nessuno osa, perché di ciò a nessuno
473 sg. No al cucinier perdona: cfr. importa; quanto agli altx'i diritti, sacr
IL MEZZOGIORNO 91
Non però sempre a la tua bella intorno
4.90 Sudin gli studi tuoi. Anco talvolta
Fia lecito goder brevi riposi,
E de la quercia trionfale all'ombra
Te de la polve olimpica tergendo, "^
Al vario ragionar degli altri eroi
495 Porgere orecchio, e il tuo sermone ai loro
Ozioso mischiar. Già scote un d'essi
Le architettate del bel crine anella
Su l'orecchio ondeggianti, e ad ogni scossa,
De' convitati a le narici manda
500 Vezzoso nembo d'arabi profumi.
Allo spirto di Ini l'alma Natura
Fu prodiga cosi che più non seppe
Di che il volto abbellirgli, e all'Arte disse:
Tu compì il mio lavoro; e l'Arte suda
505 Sollecita d'intorno all'opra illustre.
Molli tinture, preziose linfe.
Polvi, pastiglie, delicati unguenti
Tutto arrischia per lui. Quanto di novo,
E mostruoso più sa tesser spola,
489-'91. Ma non sempre, o Signor, tue cure fieno A la Dama rivolte: anco talora
Ti fla lecito aver qualche ripoao. — 496. Frammischiar ozioso. Uno gicà scote V. (B.,
C!., C.) — 498. Su la guancia V. (B., CI., C.) — 504. Compisci 'I mio — Tu compi '1
CI., C. — SO.*), dintorno C. a l'opra B. — 507. dilicati
per davvero, oh quelli non sono né in- vi 502, «... altum Aedificat caput». — e
violabili né inviolati. E qui, a compi- ad ogni scossa ... : rassomiglia al « per-
niento della tristemente comica figura, soncino » del Gozzi, gV Innam. mod. 25
il p. rappresenta e mostra il marito ap- sgg., che andando per via
provar co' cenni il servente che tiene , . . una striscia
in dieta la moglie, e intanto esso man- r<ascia indietro d'odor, come canestro
giare, mangiare tra tanti vaporosi se- Di giardiniere, o profumiera ardente
midei con molto umano appetito, lui, ^^' fanticella iu altra stanza apporti,
l'unico che non ne dovrebbe avere. 501-'03. Sottile maniera di significare
492 sg. Due versi eroici, da cose e eh' è un brutt' uomo. Madre Natura gli
frasi ben note. Do la (inorciii trioufalc a largì ogni bellezza allo spirito, sicché per
l'cnibra: Virgilio Aen. vi 772 « umbrata il cOrpo fu costretta accomandarlo al-
geruiit civili tempora quercu », perché l'Arte. A buou conto, di che alto spirito
di quercia erano le corone civiche, de ei sia dotato, s'intenderà poco appresso
la polve olimpica: di cui si coprivano i udendo in quali cose riponga la sua
campioni de' giochi d'Olimpia; « pulve- gloria.
rem Olympicum » in Orazio, e. I 1, 3. 508. Tutto arrischia per lui, cioè dà,
496-500. Già scote un d'essi. Col profu- largisce ; ma detto in modo originale
mato figurino alla moda comincia a in- come se fosser cose da tenere in ser-
dividuare e lumeggiare gli attori della ho e che potessero avere altro uso da
commedia. — Le architettate ecc.; cfr. il quello.
Matt. 5?)&: e i due luoghi possono ri- 509. E mostruoso, lat. «monstrosum »,
chiamarci la espressione di Giovenale, miracoloso, straordinario. Ma già sap-
92
IL MEZZOGIORNO
610 0 bulino intagliar gallico ed anglo,
A lui primo concede. Oli lui beato
Che primo può di non più viste forme
Tabacchiera mostrar! l'etica invidia
I grandi eguali a lui lacera e mangia;
515 Ed ei pago di sé, superbamente
Crudo fa loro balenar su gli occhi
L'ultima gloria onde Parigi oruollo.
Forse altera cosi d'Egitto. in faccia,
Vaga prole di Sèmele, apparisti
520 I giocondi rubini alto levando
Del grappolo primiero: e tal tu forse,
Tessalico garzon, mostrasti a Jolco
L'auree lane rapite al fero drago.
510. Fi'ancese ed A. — 511. O lui (B.). — 512 sg. Che primo ancor di nou pili ^iste
forme Tabacchiera mostrò 1 V. (B., CI, C). — 516. Crudo, fa 1. b. su gl'occhi B. —
522. Tesalico B.-
piamo che il P. si compiace a usar pa-
role le quali, secondo il colore del suo
eloquio, paion latine, e intanto di sotto'
il velo classico mostrano il significato
moderno. Chi qui nel mostruoso non in-
tende il ridicolo a cui suole arrivare la
novità delle fogge? Cfr. il M Ut. v. U.
511-'13. Oh Ini beato Che primo può ...:
costrutto frequente anche nei latini; un
aggettivo esclamativo, seguito dal rela-
tivo con forza dichiarativa (« Felix, qui
potuit rerum cognoscere causas » Virg.
gè. II 490) o causale (« Demeus, qui nim-
bos et non imitabile fulmen Aere et cor-
nipedum pulsusimularetequorum» Aen.
VI 590), eh' è il caso presente.
513. l' etica invidia : tisica ; che si
strugge (Intabescit rtcfendo) innanzi alla
fortuna o al merito altrui.
514. I grandi eguali a lui : e però,
intende, tult'altro che grandi: cfr. v.770.
— lacera e mangia, strazia e consuma,
divora; «rode e lima», direbbe l'Ario-
sto.
516. Crudo, crudele, senza pietà nello
sfoggiare il suo trionfo innanzi a quegli
umiliati consorti.
518-23. A quel bravo signore mette
superbia il suo nuovo gingillo, inutile
in sé, senza merito a possederlo. Ed ecco
due comparazioni eroiche, l'una di una
novità utilissima, l'altra di una conqui-
sta d'altissimo merito : Bacco e la vite,
Giasone e il vello d'oro. Tanto discer-
nimento presiede alla inserzione e scelta
di questi pezzi antichi, i quali a un let-
tore frettoloso potrebber parere lusso
di erudizione decorativa e ricercata oc-
casione a bei versi. — Forse altera cosi,
compiacendosi come tu ora. — d'Egitto in
faccia: perché? o che propriamente vuol
dire ? Intendo : Bacco, allevato a Nisa
neir India (e c'è terra e mare di mezzo,
ma in somma è A" Egitto in faceta), di
là mosse per il mondo. Cosi in Virgilio,
Aen. VI 810:
... qui pampiueis Victor iuga flectit habenis
Liber agens celso Nysae de vertice tigrea.
li puoi ricordare i bei versi del Foscolo,
le Graz, i 118, ov' è detto che Cerere
... d'oltre l'Eufrate
Chiamò un di Baasareo, giovane dio,
A ingentilir di pampini le rupi.
— Taga prole di Sèmele: Bacco, nato
a Giove da Sèmele figliuola di Cadmo;
« proles Semeles Bacchus » è in Tibullo
HI 4, 45, « Thebanae... Semeles puer »
in Orazio o. I 19, 2. —I giocondi rubini
alto levando Del giuippolo primiero, cioè
n primo bei grapftelo colorito : par di
vedere, e forse sovvenne al p., qualche
bronzo antico atteggiato cosi. Anch'egli,
in que' suoi Programmi di belle arti,
IL MEZZOGIORNO 93
Or vedi, or vedi, qual magnanim' ira
B25 Nell'eroe che dell'altro a canto siede
A si novo spettacolo si desta ;
Vedi quanto ei s'aiFanua, e il pasto sembra
Obliar declamando. Al certo al certo
Il nemico è a le porte: ohimè i Penati
530 Tremano, e in forse è la civil salute!
Ma no ; più grave a lui, più preziosa
Cura lo infiamma: « Oh depravato ingegno
Degli artefici nostri ! In van si spera
Da la inerte lor man lavoro egregio,
535 Felice invenzion d' uom nobil degna:
Chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglio
A patrìzio calzar? chi tesser drappo
Soffribil tanto, che d'ornar presuma
I membri di signor che un lustro a pena
540 Conti di feudo? In van s'adopra e stanca
Chi la lor mente sonnolenta e crassa
Cerca destar. Di là da l'Alpi è d'uopo
Appellar l'eleganza: e chi giammai
Fuor che il genio di Francia osato avrebbe
524. Vedi, o Signor,. quanto rn. i. — 52ó. che vicino all'altro siede — 526. A quel
novo — si desta? CI. — 527. Vedi come s'affanna, e sembra il cibo — 528. Obblìar B.,
C, — 531. Ah no; — 532. depravati iugegai — 534, Dall'inerte 1. m. 1. industre, —
637. A nobile — 539. Lo membra — 540. Di feudo couti? — 511 sg. Chi '1 genio lor
bituminoso e crasso Osa destar. Di là dall'alpi è forza — 512. da l'alpi B. dall'Alpi
è duopo CI., C. — 543. Ricercar — 544. avria V. (B., CI., C.)
opp. V p. S2, poneva il dio «con pam- portante; pld prezioga, di maggior va-
pini iu capo, un grappolo nella destra ». lore.
— Tessallco garzon: Giasone, che alla na- 532 sg. Oh dipravato ingegno Degli ar-
tiva Tessaglia riportò dalla Colchide il teflcl nostri! Costui è il dispregiatore
vello. lolcos era città di Tessaglia, e perpetuo di ciò eh' è patrio e paesano,
lolciacus per tessalico è più volte ne' sia pur bea fatto, e l'ammiratore supino
poeti: Ciris 377, Prop. II 1,51. — al fero di ogni cosa che abbia passato i monti
drago : l' idra custode del vello, v. Ovi- o il mare. Anche qui ricorre qualche
dio Met. VII 104-'12. analogia con pensieri veduti ne 7 Matt.
521-26. Or Tedi... A si novo spettacolo: p. es. al v. 705.
si avverta come i personaggi sono ac- 537. A patrizio calzar : poiché d'uom
costati e le scene connesse. La novità nobil era due versi sopra, utile è stata
parigina del primo è cagione al decla- la mutazione qui di nobile iu patrizio
mare del secondo; e cosi tutto riesce, che, dato per agg. a calzar, ha una vi-
esteriormente e intimamente, collegato. vace arditezza.
529 sg. 11 nemico è a le porte : quasi 539 sg. signor che ... : di nobiltà re-
proverbiale, per dire un gran pericolo centissima, nobilitato di fresco,
imminente; dal lat. Hannibal ad por- 512 sg. di là da l'Alpi, da oltre le
tas. Le. parole soggiunte non sono che Alpi; Appellar, far venire,
esplicazione di queste prime. 541 Fuor che il genio di Francia: qui
531. pia graTC a ini: per lui più im- genio, pur col suono classico, pende al
94
IL MEZZOGIORNO
545 Su i menomi lavori i grecH ornati
Condur felicemente ? Andò romito
Il Bongusto finora spaziando
Per le auguste cornici e per gli eccelsi
Timpani de le moli a i numi sacre
550 O agli uomini scettrati ; ed or ne scende
Vago alfìn d'agitar gli austeri fregi
Entro a le man di cavalieri e dame :
Ben tosto si vedrà strascinar anco
Fra i nuziali doni e i lievi veli
555 Le greche travi, e docile trastullo
Fien de la Moda le colonne e gli ardii
Ove sedeano i secoli canuti ».
Commercio alto gridar, gridar commercio
All'altro lato de la mensa or odi
560 Con fanatica voce: e tra '1 fragore
D' un peregrino d'eloquenza fiume,
545. greci B. — ólG. Recar — 517. Buougusto B., C. — 548. Su le a. e. e su —
549. al Nuuie — 550. E agli u. s.; oggi scetrati B. — 551, V. a. di condurre i gravi f.
— 552. Infra le Eatro le B. — 553 sg. Tosto forse il vedrem trascinar anco Su molli
veli e nuziali doni — 559. A l'altro B.
significato neologico; ralTi-oiita v.C!3e
la nota.
545 sg. Sa i raenoml laTori 1 greclii or-
nati Condor felicemente: riprodurre sui
più minuti oggetti fregi e disegui greci.
— grechi, desinenza insolita, ma tutt'al-
tro che ingiustificabile. — Condur: pro-
prio ed eletto il verbo condurre che
significa la diligente fedeltà nel fare
l'opera secondo il modello.
546-'53. Andò romito II Boagiisto fl-
nora, la squisitezza dell'arte stiè solita-
ria, spaziando Per le anguste cornici, le
fronti e i cornicioni solenni degli edi-
lizi sacri e regi, e per gli eccelsi Tim-
pani, o tamburi, termine d'architettura;
le grandi fasce su cui posano le vòlte
e le cupole.
551. d'agitar: mettere in moto, far
andare in giro; cf. v. 371.
553-'57. Ben tosto si vedrà...: il declama-
tore esalta {e il p. ne ride, ben s'intende
e si sente) quel grande appassionarsi di
cose greche, per cui, imitando allacieca,
spesso si offendeva ciò di cui nulla ebbe
più greco la Grecia, il decoro, cioè la
convenienza eh' è condizione e perfe-
zione di bellezza. E chiudono il passo
due espressioni tra icastiche e scultorie
mirabili; strascinate le greche travi tra
un corredo di sposa, e giocherellati tra
i ninnoli alla moda i più solenni mo-
numenti dell'antichità. Avverti la potente
novità del verso di chiusa.
55S-'60. Commercio alto gridar, gridar
commercio...: quasi a preoccupare e
troncare ogni altra discussione, sorge
il grido di chi si crede possedere il vero
segreto, la panacèa universale. — Con fa-
natica voce, propria di chi è invasato o
esaltato da un sentimento o da un' idea.
(Fanaticus da fanum — « fanaticus er-
ror » in Orazio a. p. 454 — per l' insania,
più 0 men pia, che prendeva ai sacerdoti
di talune divinità, di Cibele sopra tutte).'
560-'64. peregrino, in apparenza si-
gnifica raro, eh' è, o può esser, lode,
ma in realtà forestiero, eh' è biasimo :
ciò dice il coutasto, ove subito dopo si
accenna a' neologismi nuovi di zecca. —
Brillantati, luccicanti del falso luccichio
che danno a' pensieri le ambiziose parole
o straniere o nuove. — plcchin lo spirto,
traduce la frase corrente f acciari colpo.
IL MEZZOGIORNO 95
Di bella novità stampate al conio
Le forme apprendi, onde assai meglio poi
Brillantati i pensier picchiu lo spirto.
5G5 Tu pur grida commercio; e un motto ancora
La tua bella ne dica. Empiono, è vero,
11 nostro suol di Cerere i favori,
Che tra i folti di biade immensi campi
Move sublime, e fuor ne mosti-a a pena
570 Tra le spighe confuso il crin dorato.
Bacco e Vertunno i lieti poggi intorno
Ne coronati di poma: e Pale amica
Latte ne preme a larga mano, e tonde
Candidi velli, e per li prati pasce
B75 Mille al palato nman vittime sacre.
Cresce fecondo il lin, soave cura
Del verno rusticale ; e d' infinita
Serie ne cinge le campagne il tanto
Per la morte di Tisbe arbor famoso.
5S0 Che vale or ciò ? Su le natie lor balze
564. Brilantati B. la mente — 565 ag. e la tua Dama Anco un motto ne dica. — 568-
'70. Che per folti... Krgesi altera; e pur ne mostra a pena Tra le spighe confuse V.
(B.) — 571. poggi e il monte V. (B.) — 57G sg. Sorge ... Di verni rusticali V. (B., CI., C.)
566. Empiono, è Taro...: con questa fiori gli si convengano, e spiega cosi i'.
concessiva il p. viene ad affermare, di proprio nome:
fronte alle nuove teoriche, la vecchia ^.t mihi, quod formus unus vertebar in
naturale ricchezza d'Italia, l'agricol- [onmes,
tura. Nomon ab eventu patria lingua dedit.
568-'70. Splendida imagine, degnis- 572-'75. Pale, dea già ricordata (il
sima di un grande antico. Tanto son j^jatt. 41) della pastorizia, dà il latte la
prosperose le mèssi, che Cerere passeg- j^Da le carni.
giando tra esse ne emerge solo in parte 575 gg. Cresce fecondo il lin, soafC cura
col capo, mal distinguendosi la sua dalla pei yemo rusticale. Virgilio, dove tocca
loro biondezza. Orazio, sat. 11 2, 121 « Ac delle occupazioni del contadino nell' in-
venerata Ceres, ita culmo surgeret al- verno, ha i notissimi versi, gè. I 293 :
' ■" *■ . . Interea, longum cantu solata laborem,
571 sg. Racco 0 Tertnnno i lieti p. i. ^^.^^^^ ^„^i^^ percurrit pectine telae.
Ne coronan di poma: ne pronome, dat.
d' interesse ; chiaro, precedendo pochi 577-79. 1» infinita serie: di lunghi filari,
versi sopra il nostro suol. — Bacco pre- il tanto Per la morte di Tisbe arbor fa-
siedeva non pure alla vigna ma anche moso: il gelso, alimento del baco da se-
ai frutteti: e però invocato a principio ta; però l'abbondanza de' gelsi è posta
del lib. II delle Georgiche. — Tertnnno, a significare l'abbondante produzione
dio italico, trasmutabile in ogni forma, serica: tanto... famoso^ peiffhé notissima
simbolo delle stagioni e protettore dei è la bella favola ovidiana, Met.iv 55-166,
frutti diversi. Una bella elegia è consa- di Pi ramo e Tisbe : all'albero era il cen-
erata a questo dio da Properzio, IV 2; veglio d'amore, e dal sangue i frutti
in essa Vertumnus espone con vaghezza bianchi di quello furon fatti e rimasero
di particolari come tutti i frutti, tutti i bruni.
9G
IL MEZZOGIORNO
Rodan le capre: ruminando il bae
Per li prati natii vada; e la plebe
Non dissimile a lor, si- nutra e vesta
De le fatiche sue; ma a le grand'alme
585 Di troppo agevol ben scliife Cillenio
Il comodo ministri a cui le miglia
Pregio acquistino e l'oro: e d' ogn' intorno
Commercio risonar s'oda, commercio.
Tale dai letti de la molle rosa
590 Sibari un di gridar soleva, e i lumi
Disdegnando volgea dai campi aviti.
Troppo per lei ignobil cura ; e mentre
Cartagin dura a le fatiche, e Tiro,
Pericolando per l' immenso sale,
595 Con l'oro altrui le voluttà cambiava,
Sibari si volgea sull'altro lato,
E non premute ancor rose cercando.
Pur di commercio novellava e d'arti.
Ma chi è quell'eroe che tanta parte
600 Colà ingombra di loco, e mangia e fiuta
582. Lungo i prati — 586. Il commodo CI. presenti — 590. Sibari ancor g. 8. ; i
lumi — 595. la voluttà B. — 59G. su l'altro B.
582 sg. la plebe Non dissimile a lor :
ricorda il v. 329. Già sappiamo che si-
mile e dissimile si uniscono al terzo non
meno che al secondo caso, come in la-
tino.
585. DI troppo agerol ben schife, sde-
gnose, da esso aborrenti: schifo, ado-
perato assolatamente, vedemmo già ne
il Matt. 368. — Cillenio: Mercurio, cosi
detto dal monte Cillene in Arcadia, sul
quale nacque, Aeii. viii 138 sg.; dio de'
guadagni e de' commerci.
586 sg. Il comodo, l'agiatezza, gli agi;
ma non so se chiaro del tutto né bello :
ministri, fornisca : a cui le miglia, cioè
la distanza. Fregio acquistino e l'oro, al
qual comodo, alle quali provvisioni dia
valore l'essere importate da lontano e
pagate a caro prezzo.
589-98. Sibari e i sibariti vennero in
proverbio per la mollezza e morbidezza
della vita. Quella celebre colonia greca,
della Lucania, sul fiume Sibari affluente
del Grati, florentissima di commerci, si
abbandonò al godimento; e la città, poco
dopo i due secoli dalla sua fondazione,
nel 510 a. C. fu distrutta dai crotoniati.
— Cartagin dura a le fatiche, cioè indu-
rata ad esse, resistente: Virgilio, gè. ii
170, chiama gli Scipioni « duros bel\i ».
— Tiro, la maggior città fenicia, fiori a
lungo e, risorta dopo la devastazione
assira, durò fino a quella di Alessandro
Magno. — Pericolando, cioè sfidando i pe-
l'icoli, per l'immengo sale, cioè mare: il
latinismo, salion per tnare, è già in
Dante « per l'alto sale ». — Con l'oro altrnl
le Tolnttà cambiava, cioè della ricchezza
non abusava a propria delizia, ma ne
faceva materia a nuova ricchezza. —
Forse in questo passo la eleganza squi-
sitissima della forma illude un poco, io-
solita cosa nel nostro, su la giustezza
intima del pensiero. Danno di Sibari non
apparisce essere stato il commercio,
anzi il non avere in esso perseverato, o
almeno l'avere, a differenza delie due
grandi città chiamate in paragone, fruito
spensieratamente della naturale e ac-
quisita abbondanza.
599-602. Il secondo e il terzo interlo-
cutore ubbiain visto clie sujCiiJoao al
IL MEZZOGIORNO 97
E guata e de le altrui fole ridendo
Si superba di ventre agita mole ?
Oh di mente acutissima dotate
Mamme del suo palato! oh da' mortali
605 Invidiabil anima che siede
Fra l'ammiranda lor testura, e quindi
L'ultimo del piacer deliquio sugge !
Chi più acuto di lui penetra e intende
La natura migliore; o chi più industre
610 Converte a suo piacer l'aria, la terra,
E il ferace di mostri ondoso abisso?
Qualor s'accosta al desco altrui, paventano
Suo gusto inesorabile le smilze
Ombre de' padri che per l'aria lievi
615 S'aggirano vegliando ancora intorno
Ai ceduti tesori : e piangon lasse
Le mal spese vigilie, i sobri "pasti.
Le in preda all'aquilon case, le antique
Digiune rozze, gli scommessi cocchi
620 Forte assordanti per stridente ferro
Le piazze e i tetti : e lamentando vanno
Gl'invan nudati rustici, le fami
Mal desiate, e de le sacre toghe
L'armata in vano autorità sul vulgo.
601. de le altrui cure — 606. Tra la mirabil — 608, Chi piti saggio di lui penetra
— 611. E '1 ferace — 612. Qualora ei viene V. (CI.) Qualora s'accosta C. ma dalla stampa
errata si vede eh' ei stava per la i* lez. — 614. de gli avi V. (CI. C.) — 615. Aggiransi
vegliando ancor dintorno V. (B., CI,, C, ma B. e C. d'intorno) — 618. a 1' aquilon B.
— 624. volgo. C.
primo non senza logica connessione e naturale, o ciò eh' è di meglio in na-
irrompendo focosamente nel discorso, tura; in quanto mangereccio, si sottiu-
II quarto spicca per contrasto, scherni- tende. — chi pld indnstre Conrerte a suo
tore apatico dell'altrui foga, bassamente piacer ecc. : chi gusta in maggior copia
ghiotto, glorioso del suo ventre. uccelli, animali terrestri, pesci? Ma è
603-'07. « Quanto ingegno e quanto detto in alto stile, eroicamente. Anche
sentimento ha colui nelle fauci !», questo in Ovidio, Met. vai 830, un fameHco
dice, ma squisitissimamente, il p. tri- « quod pontua, quod terra, quod educai
buendo mente acntissima al palato e prò- [aer, Posclt ».
prio alle inanime di esso (il palato molle 613 sg. Sao gusto inesorabile, il palato
è una mucosa e non ha papille, ma a implacabile, la gola spietata. — ie smilze
questa mettono capo le ramificazioni Ombre de' padri: smilze non in quanto
nervose: del l'esto, la frase non è né ombre (« domus exiiis Plutonia »,Oraz.
vuol essere scientifica o tecnica), e pò- e. i 4, 17), ma per le vaglie e i digiuni
nendo ira il delicato ordito di esse mam- di cui appresso.
me, cioè nell'apparato del gusto, la sede 615. vegliando ancora: seguitano a far
dell'anima di tale uomo, la quale ivi pi- la guardia,
glia piacere sino a svenirne. 616-'24. Piangon, transitivam., deplo-
60L-11. La natnra lulglioro, la bontà rano, he mal spese ecc. : male spese, da.
Tahpi — Al:i.-;;, 7
98
IL MEZZOGIORNO
625
630
635
L'altro vicin chi fia? Per certo il caso
Congiunse accorto i due leggiadri estremi
Perché doppio spettacolo campeggi,
E l'un dell' altro al par più lustri e splenda.
Falcato dio degli orti a cui la greca
Làmsaco d'asinelli offrir solea
Vittima degna, al giovine seguace
Del sapiente di Samo i doni tuoi
Reca sul desco : egli ozioso siede
Aborrendo le carni ; e le narici
Schifo raggrinza e in nauseanti rughe
Ripiega i labbri, e poco pane intanto
625. Chi siede a lui vicin? — 626. i duo V. (CI., C.) — 628. de l'altro B. — 630.
Làmpsaco C. — 631. giovane V. (B., CI., C.) — 634. Dispregiando Abborrendo B. —
635. raggrinza, in n. r. (B.)
che a iiighiuUii'ue i risparmi dovea giun-
gere un tal diluvio d'uomo. Le in preda
uU'aquilon case, cioè non riparate, pe-
netrabili ai freddi venti. — le antique Di-
giune rózze, i vecchi e magri cavalli.
gii scommessi cocclii ecc., le carrozze
mezzo sgangherate, onde il rumore e il
cigolio empie i luoghi per cui passano.
e lamentando ranno 01' invan nudati rn-
Btici ecc. Da' versi precedenti si direbbe
che il p. parteggia per que' vecchi au-
steri e li ammira : oh si ! Eccoli co-
stretti a trovare inutili, all'appressarsi
di quel ghiottone, non che le proprie
astinenze, ancora le proprie colpe. Si
rammaricano di avere inutilmente an-
gariato i contadini, d'essersi augurati
le carestie per aver meglio obbligata e
soggetta la plebe de' campi (cosi intendo
le fami Mal desiate, atteso quel che pre-
cede e segue immediatamente ; e una
ripetizione de i sobri pasti non può certo
essere), e di avere inutilmente fatto cal-
car la mano alla giustizia sui da meno
(cosi interpreto de le sacre toghe L'ar-
mata in vano autorità sul Tulgo), — In
questo tratto è un gruppo d'esempi di
queir uso che notai ne 'l Matt. ai vv.
2M-'16.
625 sgg. Gli estremi si toccano: ciò
ha suggerito al p. di avvicinare al pre-
cedente questo quinto personaggio.
629-'31. Falcato dio degli orti ecc. :
Priàpo, guardiano degli orti, armato di
una falce (« Bacchi... l'ustica proles, Ar-
matus curva... falce deus » Tib. I 4, 8).
Làmsaco, su le rive dell' Ellesponto, città
originaria del culto di Priapo (« tuus
civis, Lampsace », egli si dice nei Priap.
IV 6). d'aginelli o. s. Vittima degna: vit-
tima, per « olocausti, sacrifizi » (A. Caro
- Aeri. II 202 - «gli offeria d'un gran
tauro ostia solenne»); degna, per certe
convenienze di tal vittima col dio salace.
631 sg. al giovine seguace Del sapiente
disamo: Pitagora, celeberrimo filosofo
del VI sec. a. C, per effetto del suo si-
stema del passaggio delle anime, vie-
tava di uccider bestie per mangiarne, e
prescriveva cibi vegetali, escluse le fa-
ve. Però scrisse Giovenale, xv 173 :
Pythagoras, cunctis auimalibus absti-
Jnuit qui
tamquam liomine, et ventri indulsit
[non omne leguoien...
Sicché questo, che si potrebbe dire l'avo
dei vegetariani, se ncn fosse da risa-
lire a Orfeo e all'orfismo, era più rigo-
roso de' moderni. — i doni tuoi : par-
lando al dio degli orti, s' intende che
sono frutta ed erbe. « Un gran canestro
di erbe e di frutta» il P. colloca presso
a Priapo, ne' Progr. di b. a. p. 82.
635. in nauseanti rughe : nauseare co-
muueni. significa « produrre, cagionare
nausea », ma anche significa bene, come
qui, «avere a nausea, a fastidio». Tra-
sferendo quel eh' è proprio del soggetto
alle smorfie ch'ei fa, il p. disse nau»
seaoti rughe,
IL MEZZOGIORNO
99
Ramina lentamente. Altro giammai
A la squallida inedia eroe non seppe
Durar si forte; né lassezza il vinse
64.0 Né deliquio giammai né febbre ardente:
Tanto importa lo aver scarze le membra,
Singolare il costume, e nel Bel Mondo
Onor di filosofico talento.
Qual anima è volgar la sua pietade
G'15 AirUom riserbi; e facile ribrezzo
Destino in lei del suo simile i danni,
I bisogni, e le piaghe. Il cor di lui
Sdegna comune affetto; e i dolci moti
A più lontano limite sospiig).
6B0 « Pera colui che prima osò la mano
f)38. A la squallida fame — 641, scarse C. — Gli sg. pietate Serbi per l'uomo V. (B.,
CI., C.) — 647. O i bisogni o le piaghe. 11 cor di questo V. (B.) O i bisogui o le pia-
ghe. Il cor di lui CI.
611-'43. Questo epifonema spiega il
metodo di vita di colui : nou segue gi'i
UQ sentimento sincero, ma vuole, come
dicono, distinguersi e farsi tenere in
quella società filosofo. — scarze: ben-
ché etimologicam. scarso non sia dif-
ferente da scarso, apparisce adoperato
nella particolare significazione (anche
il Diez la i-egisti-a) di sottile, snello :
cfr. Mach. Mandr. IV 8, ove dice Nicia
travestito : « Io sto pur bene ! chi mi co-
noscei'ebbe ? Io paio maggiore, più gio-
vane, più scarzo ». — talento : « nel si-
gnificato d' ingegno fu male introdotto
dal francese su lo scorcio del sec. xvn:
qui serve all'ironia, alludendo al fran-
cesismo che prevaleva nella coltura di
quel tempo » (Card, e Brilli).
614. (^ual anima è volgar, qualunque,
ogni anima dozzinale. Di qui è l'avvia-
mento all'episodio della caguolina; il p.
ci fa molto opportunamente un'introdu-
zione, intonandosi ai sentimenti de'suoi
eroi, e l' intonazione alta rende al solito
più intensa la riprovazione dissimulata.
6^L7. 11 cor di lai, del pitagorico sopra
descritto.
618 sg. i dolci moti, gli affetti e imoti;
A pia lontano limile, che non sia il suo
simile ; sospinge, volge e fa pervenire.
Nello spingersi tant' oltre egli trascura
gli stretti doveri, o diciam pure i co-
ìnuni affetti;
K, per un cane eh' è poi sempre un caue,
(come diceva il buon Rassereni) nou
dubita di affliggere gli uomini, che gli
sono, o dovrebber essere, più prossimi.
650. Pera colai che prima. .^, lat. pri-
mum, cioè la prima volta, per primo.
Quanto a simili forme d' imprecazione,
ognuno ricorda esempi classici, p. es.
conti'o chi primo commise le vite al
mare in fragile barca o primo foggiò
il metallo in micidiali armi; e di antica
derivazione classica (dnàXouo, pereat) è
il pira, qui sagacemente ripreso in ser-
vigio dell'esagerato sentimento che vuol
caricatamente esprimere. Vedemmo gif),
il Matt. 325 « Péra dunque chi a te-uozze
consiglia », e ivi è frase colorita d'iro-
nico disgusto.' — osò la mano Armata a.
sa l'innocente a. E sul placido b.: l'arme
contrasta con queir innocenza e placi-
dezza, Negl' insegnamenti di Pitagora
contro l'uso delle carni (jjriJHits... ani-
malia mensis Arguii imponi), quali
sono facondamente amplificati da Ovidio
nel passo che incomincia, Met. XV 75,
Farcite, mortales, dapibua temerare nefan-
Corpora, (dis
a un certo punto si dice che ci potè es-
sere buona ragione o scus* dell' ucci-
100
IL MEZZOGIORNO
Armata alzar su l'innocente agaella
E sul placido bue, né il truculento
Cor gli piegàro i teneri belati
Né i pietosi mugiti né le molli
655 Lingue lambenti tortuosamente
La man che il loro fato, ahimé, stringea! »
Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
Al suo pietoso favellar dagli occhi
De la tua Dama dolce lagrimetta,
GGO Pari a le stille tremule brillanti
Che a la nova stagion gemendo vanno
Da i pàlmiti di Bacco entro commossi
Al tiepido spirar de le prim'aure
Fecondatrici. Or le sovviene il giorno,
665 Ahi fero giorno! allor che la sua bella
654. muggiti B., CI., C. — 657 sg. o Signor; ma sorge in tanto A quel V. (CI.,
C.) o Signore : e s. i. t. A quel B. — 664. le sovvien del giorno, V. (B., CI., C.)
dere, non del mangiare, taluni animali,
come il porco che col grifo guasta i se-
minati 0 il capro che col morso offende
la vite ; ma le pecore, i bovi, che colpa
avevano?
Quid meruistia, oves, placidum pecus... ?
Quid meruere boyes, animai sine fraudo do-
[Hsquo,
Innoeuum, simplex, natum tolerare labo-
[rea?...
6:2. il trnciilento, truce, feroce.
651 sg. le molli Lingue lambenti tor-
tuosamente: uno de' più osservabili tra
questi versi che son tutti una maravi-
glia d' arte. Opportunissimo anche il
suono ripetuto della liquida, il cosi detto
labdacismo. Fu detto che il Manzoni
ebbe forse a mente questo luogo, quando
scriveva, / pr. Sp. XX, « Come la pecora,
tremolando senza timore sotto la mano
del pastore che la palpa e la trascina
mollemente, si volta a leccar quella
mano... ».
656. H loro fato, fatum, la morte; in
alto stile, r- stringea : con rapida vivezza
poetica; ha in pugno la morte di uno,
chi stringe 1* arme che ne deV essere
strumento.
657. e sorge intanto... Come delicato
e sottile il passaggio dalla declamazione
generica a un caso particolare. La dama
fa sùbito l'applicazione di quelle massime
contro la crudeltà a un fatto occorso a
lei e che sempre, a solo ripensarlo, la
commuove. Avverti sorge, spunta: puoi
ricordare il virgiliano lacrimis obortis.
659-'64. dolce lagrimetta, cioè nata di
affetto gentile; cosi « falsae lacrimulae »
in Catullo, non vere. — Pari a le...: da
tutto il p. coglie occasione a vivace fre-
schezza, cf. in nota a il Matt. 429 sgrg.;
quella lagrima è come la gocciolina che
ingemma i tralci a primavera. \ pàlmiti,
latinismo; entro commossi, «è nel suo
significato naturale in arguta relazione
con la coìnrnozione della Dama » (Do-
minici). Gli aggiunti tremule brillanti
ci richiamano il M. v. 44 sg., e tutto il
passo fa ripensare a Virgilio, Gè. II 330 :
Parturit almus ager Zepbyrlque tepentibus
[auris
Laxant arva sious; superai tener omnibus
[umor ;
luqiie novos soles audent se germina tuto
Credere, uec metuit surgentes pampiuua
[austros
Aut actum caelo magnis aquilonibus im-
[brem,
Sed truditgemmasetfrondes explicatomnis.
— Fecondatrici : per la collocazione cfr,
la nota a il Matt. 1002.
IL MEZZOGIORNO
101
Vergine cuccia de le Grazie alunna, , •
Giovenilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con l'eburneo dente
Segnò di lieve nota: ed egli audace
670 Con sacrilego pie lanciolla; e quella
Tre volte rotolò, tre volte scosse
Gli scompigliati peli, e da le molli
Nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando aita aita
675 Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei l' impietosita eco rispose :
E dagl' infimi chiostri i mesti servi
667. Giovanilmente V. (B., CI., G.) — 668. con gli eburnei denti V. (B., CI., C.) —
669. di lievi note B. — 669 tg. e questi audace Col sacrilego pie lanciolla ; ed ella V.
(B., CI., C.) — 672. Lo scompigliato pelo, e da le vaghe V. (B. ma molli, CI., C.) —
677. dall'infime chiostre V. (B. ma da. V, CI., C.)
666. Vergine cuccia de le Grazie alunna,
cioè cagnolina graziosissima; detto con
un verso di squisita eleganza, e non
senza malizia. « Quando nei versi del
P, diveniva immortale la vergine cuccia
come segnacolo di sensibilità barbara,
il conte di Firmian aveva una cagaolina,
a cui morta il gesuita Ferrari buon la-
tinante fece l'iscrizione (G. F., Opp. II
521] e la dicea virguncula » (Carducci,
op. e. p. 87).
G67. GlOTeniliiiente vezzeggiando, fa-
cendo scherzi e smorfie di bestiolina
giovine; ma è detto con tale squisitezza,
che d' una creaturina umana non si po-
trebbe meglio. Segue immediato con-
trasto ti piede villan del servo. Si di-
rebbe che brutalità e umanità tra la
bestia e l' uomo abbiano scambiato sede
(il che, non dico, avviene pur troppo,
ma non è il caso).
638 sg. con 1' eburneo dente Segnò di
lieve nota, col dente d'avorio, bianchis-
simo, morse tanto e non più da lasciarvi
il segno del dente. K'on pare, sotto gli
ornati della frase, ma si capisce che il
morso fu abbastanza forte. Ricorda per
la frase Orazio, e. i 13, 14 «impressit...
dente... notam • e Ovidio, Am. i 7, 42
« deutis habere notam».
070. Con sacrilego pie : Ovidio, nel 1.
cit., ha «sacrilegae... manus », che avean
battuto r amica.
671-'73. Tre Tolte...: cioè più volte,
ma tre è la determinazione classica, di
cui sono infiniti gli esempi. Tra i più
noti, il TQig omerico nell'Orf. XI 206 sg.,
onde il ter virgiliano neìVAen. II 792 sg.
e VI 700 sg., onde il tre volte di Dante
PvA-g. n 80. 4ggiungi dell'Ann. I 116
« illam [la nave] ter fluctus ibidem Tor-
quet agens circurn et rapidus vorat
aequore vortex », di cui è celebre la
versione del Caro: « Quasi stanco palèo
tre volte volta Calessi gorgogliando e
s' affondò ». — Del resto, non«bisognan
parole a mostrare la verità, l'evidenza
della rappresentazione in questi tre versi;
e che la verità è resa con la maggior
proprietà e finitezza di espressione. — la
polvere rodente, che solletica le narici.
674-"76. aita aita : ognun sente che
il p. imita il guaito della caninn, e lo
traduce argutamente in linguaggio uma-
no. E, dicendo poi Impietosita, volle
usar parola che inchiudesse vei-amente
l'eco di quel guaire.
677. dagl'infimi chiostri: da V infime
chiostre corresse poi, ma si 1' una si
r altra forma ha largo uso e varia de-
terminazione nei classici; qui sono i
cortili e le stanze in basso, a cui si
contrappongono poi quelle in alto, le
somme stanze. — 1 mesti servi, cioè tur-
bati, impensieriti: l'aggettivo non ha
bisogno della collocazione quale oggi
porterebbe l'uso (mesti i servi o i servi
mesti) per avere rilievo predicativo.
102 IL MEZZOGIORNO
Asceser tutti, e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
680 Precipitàro. Accorse ognuno ; il volto
Fu spruzzato d'essenze a la tua Dama;
Ella rinvenne alfin. L'ira, il dolore
L'agitavano ancor; fulminei sguardi
Gettò sul servo, e con languida voce
685 Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tener vendetta
Chieder semhrolle: e tu vendetta avesti,
Vergine cuccia de le Grazie alunna.
L'empio servo tremo; con gli occhi al suolo
690 Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre; a lui non valse
Zelo d'arcani ufici; in van per lui
Fu pregato e promesso: ei nudo andonne.
Dell'assisa spogliato ond'era un giorno
695 Venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; che le pietose dame
Inorridirò, e del misfatto atroce
Odiar l'autore. Il misero si giacque
Con la squallida prole e con la nuda
700 Consorte a lato su la via spargendo
681. d'essenze spruzzato V. (B., CI., C.) — 682. alfine. Ira e dolore V. (B.) aian :
i., d. C. — 686. gli corse CI. — 692. uffici B., CI., C. — 694 ag. De le assise spogliato
onde pur dianzi Era insigne a la plebe: e in van V. (B., CI., C.) 698. Il perfido V.
(B., CI.) C. : 'lascio misero, benché il concero porti perfido.'
681. d'essenze, aromatiche. vrea la quale, benché insegna servile,
683 sg. I due particolari, cosi diffe- incute al volgo, come recante in sé qual-
renti, si seguono immediati: fulmina cosa della signorilità. — Dell'assisa spo-.
il servo con gli occhi, e carezza con la gllato parrebbe seguire quasi epesege-
voce ancor malferma la cagnuola. Nota lieo al nudo andonne del v. innanzi; se
ìj verso languido, accentato alla set- non che nudo ha poi ben altra determi-
ti ma. nazione, facendo il paio con nuda del
636. in suo tener, al modo suo, con v. 609, e dicendosi poi eh' è ridotto a
quel brontolio di bestiuola corrucciata. mendicare.
687 sg. e tn Tendetta avesti: il tono 696. le plotose dame: quanto signifi-
alto e reciso prende a dirittura dell' e- cato in tale aggettivo!
pico al ripetersi del verso Vergine cuccia 698. II misero: il per/ldo variò poi,
(le le Grazie alunna. che a ragione il Cantù non volle seguire.
690. la sna condanna, il hcenziamento II p. avrà pensato che all'ironia del tono
su due piedi. perfido rispondeva meglio; ma ciò nelle
691 sg. Merito quadrilustre, il buon tarde fatiche della lima; nell'ora fervida
servigio di vent'auni; e che avea do- della composizione avea sentito e detto
vuto abbracciare cose d'indole delicata, il misero. Del resto, su le lezioni di
Zelo d'arcani nflcl. questo tratto culminante dissi breve-
694 sg. Dell' assisa spogliato, della li- mente nel discorso.
IL MEZZOGIORNO
103
Al passeggiere inutile lamento:
E tu, vergine cuccia, idol placato
Da le vittime umane, isti superba.
Né senza i miei precetti e senza scorta
705 Inerudito andrai, Signor, qualora '
Il perverso desti n dal fianco amato
T'allontani a la mensa. Avvien sovente
Che un grande illustre or 1' alpi or l'oceano
Varca e scende in Ausonia, orribil ceffo
710 Per natura o per arte a cui Ciprigna
Róse le nari, o sale impui'o e crudo
Snudò i denti ineguali. Ora il distingue
Risibil gobba, or furiosi sguardi
Obliqui o loschi ; or rantoloso avvolge
715 Fra le tumide fauci ampio volume
Di voce che gorgoglia ed esce alfine
Come da inverso fiasco onda che goccia.
701. Al passeggero inutili lamenti : V. (B., CI., C.) — 707. Ti allontani — 708 *g.
Che con l'aio seguace o con l'amico Un grande illustre or 1' a. or l'o. Varchi e scenda
V. (B.) Che un g. i. or l'a. or l'o. Varchi e scenda CI., C. — 7U. e sale — 715. Tra
702 sg. Idol placato Da le TÌttlme uma-
ne, proprio come un di quegli idoli cru-
deli che voglion sacrifizio d' uomini. —
isti superba, suggella in fine ciò che in-
nanzi è annunciato con e tu vendetta
avesti. In verità « il Parini ed il Porta
ne fecero la vendetta [di tal passione
donnesca pe' cani], quegli tragica, questi
comica : la pudica sposa sacrifica alla
vergine cuccia le vite umane, la mar-
chesa Travasa sacrifica alla Lilla il ri-
spetto divino » (Carducci, I. e).
704. senza scorta, cioè senza la mia
guida; è chiaro, precedendo senza i miei
precetti.
706. 11 perverso destin: tale aggiunto
venne spesso a significare «cattivo, tri-
sto », ma qui serba anche il senso che
gli è proprio, di cosa fuori e contro l'or-
dine naturale.
708 sg. nn grande lllnstre, un signore
di gran nome. — or l'alpi or l'oceano
Varca, viene da oltre l'Alpi o da oltre
mare: «o dalle nazioni continentali o
dall' Inghilterra : non è da pensare al-
l'America né all'Asia » (M ) ; ricordiamo
« folli iMilordi, « il Matt. 230 ; e a ciò con-
suona anche il seg! scende in Ausonia.
La denominazione primitiva d'una parte
meridionale dell' Italia si allargò a signi-
ficare l'Italia, nei poeti classici, dietro
l'esempio de' quali fu usata e abusata
dai moderni. Allo stesso modo vedremo
al V. 791 Enotria, e la N. 611 Esperia.
709'-12. orribil ceffo Per natura o per
arte: ceffo è propriam. il muso canino
(onde acceffare disse Dante, del cane),
ma si nsa spesso per dire una brutta
faccia. Colui è brutto o dalla nascita o
per l'acconciatura : j^sr natura o per
arte. — a cni Ciprigna, Venere cioè i
vizi di cui ella è fomite. Róse le nari,
0 sale etc. : cf. il Matt. 16-19.
7U-'16. Viene a mente il canoro ele-
fante che « manda per gran foce Di
bocca un fli di voce » {la mus. sti\ I).
Qui veramente la voce è molta ma gorgo-
glia nella strozza ed esce stentata, come
stenta a uscire l'acqua dal fiasco capo-
volto ; Ar. 0. F., XXIII 113 :
L'impetuosa doglia entro rimase
Che volea tutta uscir con troppa fretta:
Cosi veggiam restar l'acqua nel vase
Che largo il ventre e la bocca abbia stretta ;
Che, nel voltar che si fa in su la base,
L'umor che vorria uscir tanto s'affretta
E nell'angusta via tanto s' intrica
Ch'a goccia a goccia fuore esco a fatica.
104
IL MEZZOGIORNO
Or d'avi or di cavalli ora di Frini
Instancabile parla, or de' Celesti
720 Le folgori deride. Aurei monili
E gemme e nastri, gloriose pompe,
L' ingombran tutto ; e gran titolo suona
Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende
Inclita stirpe ch'onorar non voglia
725 D'un ospite si degno i lari suoi?
Ei però sederà do la tua Dama
Al fianco ancora : e tu lontan da Giuno
Tra i Silvani capripedi n' andrai
Presso al raai'ito, e pranzerai negletto
730 Col popol folto degli Dei minori.
Ma negletto non già dagli occhi andrai
De la Dama gentil, che a te rivolti
Incontreranno i tuoi. L'aere a quell'urto
Arderà di faville, e Amor con l' ali
735 L'agiterà. Nel fortunato incontro
I messagger pacifici dell'alma
Cambieran lor novelle, e alternamente
Spinti, rifluiranno a voi con dolce
Delizioso tremito sui cori.
721. E nastri e gemiiie, V (CI., C.) — 726 ag, Ei però col compagno ammessi fieno
Di Giuno a i fianchi: e tu loutan da lei V. (B.). —738. ritorneranno V. (B., CI., C.)
720 sg. Anrei monili E gemme e na-
stri, catene, anelli e fermagli (cf. il V.
69 sg.), decorazioni : gloriose pompe tutte
quante, di quelle di cui 1' antico sati-
rico diceva ad populum phaleras.
72ò-'30. Ei però... : per la degnila sua,
non che ricevere ospitalità, terrà il pri-
mo luogo alla mensa; e poiché siamo
in Olimpo, dice che sederà presso a Giu-
none, soppiantando il Giovin signore.
Nell'assegnare il confine a costui il p.
continua ornatamente la metafora ini-
ziata con la frase lontan da Giuno.
— Col popol folto...: in Ovidio, Met. 1
171 sgg., è distinzione di « deorum no-
bilium » che abitano su la via lattea, e
di una plebs, « Plebs habitant diversa
locis»; indi a poco sono anche nomi-
nati « Faunique Sàtyrique et monticolae
Silvani». Silvanus, come Faitnus, in
origine era dio singolare, dei boschi e
de' campi ; poi furon molti, come i Sa-
tiri. — capripedi, alylnoòeg, capripedes
(l'agg. è in Orazio e in Pi'operzio): l'a-
ver pie di capra era de' satiri, e de' com-
pagni di Pane («Questa, che Pan somi-
glia, Capribarbicoruipede famiglia », di-
ceva il Redi), Panes o Aegipanes (v. il
Vespro 425), a.cui si ragguagliano i Sil-
vani.
731-'39. con l'ali L'agiterà: ventilerà
quell'aria cosi piena di semi d' incendio.
— L' incontro degli sguardi figurato come
l'incontro di due ambasciatori che mu-
tuamente danno e ricevon notizie e poi
i itornano ciascuno a chi li inviò è della
più squisita eleganza nella ricercatezza
voluta. — alternamente Spinti, par signi-
ficare che, giunti a incontrarsi, rimbal-
zano, cioè pe.rcoteadosi incontro, jjo-
scia si rivolge ciascun tornando a re-
tro... — rifiniranno a voi, segnò poi ri-
torneranno che certo è chiarissimo ma
non par più bello della lez. 1* a dir quel
viaggio aereo; con dolce Deliz'ioso tre-
mito sui cori, verso, pur nella raffinata
IL MEZZOGIORNO
105
740 Allor tu le ubbidisci, o se t'invita
Le vivande a gustar che a lei vicine
L'ordin dispose, o se a te chiede invece
Quella che innanzi a te sue voglie punge,
Non col soave odor, ma con le nove
7-15 Leggiadre forme onde abbellir la seppe
Dell'ammirato cacinier la mano.
Con la mente si pascono gli Dei
Sopra le nubi del brillante Olimpo,
E le labbra immortali irrita e move
730 Non la materia ma il divin lavoro.
Né allor men destro ad ubbidir sarai
Che di raro licor la bella strigue
Colmo bicchiere a lo cui orlo intorno
Serpe striscia dorata, e par che dica :
755 Lungi, o labbra profane: ai labbri solo ,
De la diva che qui soggiorna e regna
740. Tu le ubbidisci allora, obbediaci B. ubidisci, CI. — 743. pugne V. 746. De
r B. — 747. si pascono le dive V. (B.) — 749. E lor labbra V. (B., CI., C) — 751. obbedir
B., ubidir CI. — 751. igg. Né intento meno ad ubbidir sarai I cenni del bel guardo allor
che quella Di licor peregrino ai labbri accosta (C, ma, pur tenendo la prima redazione,
accetta per il 2" v. l'altra V. Il cenno de' bei sguardi or che la Dama) — 753, bicchléro
B. — 754. Serpe dorata striscia, o a cui vermiglia Cera la base impronta, e par che dica :
— 755. al labbro solo
maniera, delicatissimo. È assai proba-
bile che il P. si ricordasse del Tasso,
G. Ili). XVI : « E tornò la parola dispe-
rata Più amara indietro a rimbombar sul
cuore ».
740-'46. Allor tn le ubbidisci , cioè
quando con gli sguardi ti lia significato
qualche sua volontà. E di che si tratta?
Quanto più i vei'si precedenti sou pieni
di sottile e quasi vaporosa eleganza,
tanto è più forte contrasto a udire che
il linguaggio appassionato degli occhi
fu speso a parlar di vivande. Cfr. l'os-
servazione fatta ai vv. 463 e sgg. — o
te t'inrita..., o se a te chiede... : v. in n. a
il Matt. 48-52. — con le nove Leggiadre
forme: sono le lusinghe del sagace ma-
stro, già innanzi ricordate, v. 226.
747-'50. Il pensiero somiglia molto,
con una lieve determinazione di più, a
quello che abbiam visto ai versi 252-'51.
Ma, se un po' di ripetizione e' è, la por-
tava naturalmente la materia. A ogni mo-
do credo fosse in ciò la cagione che in-
duceva poi l'autore a pensar di scrivere
le dive in luogo di gli dei, quasi valesse
a far distinzione maggiore. — irrita e
move; il primo verbo nel senso classico
di «stimola, eccita» (p. es. irritamen
amoris è in Ovidio) e classicam. un se-
condo verbo compie e rafforza il primo,
cfr. il V. 514.
751. Tolti via i dieci versi — troppi
in verità, e troppo esagerati, come parve
al Cantù, di pensiei'o, né forse tutti egual-
mente eleganti — che in origine segui-
vano a quello che per noi è il v. 762,
torna utile seguire qui la bella e suc-
cinta variante in cui il cenno de' bei
sguardi si tace; vien poi sùbito al v.
704.
754. e par che dica... Il senso vivo e
fino di tutto ciò eh' è classico assiste
sempre il P. ; qui il fregio d'oro che di-
stingue il bicchiere della signora di casa
gli sembra, dice, che parli, e le parole,
una volta ridotte utilmente e potate, al
pensiero e anche in parte alla forma,
arieggiano un' iscrizione sul bicchiere
stesso, un epigramma dell'antologia.
106 IL MEZZOGIORNO
E il castissimo calice serbato:
Né cavalier con alito maschile
Osi appannarne il nitido cristallo,
760 Né dama convitata unqua presuma
I labbri apporvi, e sien pur casti e puri,
E quanto esser può mai cari all' amore.
Tu ai cenni del bel guardo e de la mano
Che reggendo il bicchier sospesa ondeggia,
765 Affettuoso attendi. I lumi tuoi
Di gioia sfavillando accolgan pronti
II brindisi segreto; e ti prepara
In simil modo a tacita risposta.
Immortai come voi la nostra Musa
770 Brindisi grida all'uno e all'altro amante ;
All'altrui fida sposa a cui se' caro,
. E a te. Signor, sua dolce cura e nostra.
Quale annoso licor Lièo vi mesce,
Tale Amore a voi mesca eterna gioia '
757. Il e. e. si serbi: — 758. con l'alito — 761. Di porvi i labbri; — 762. E'
quaut' e. può mai e. a l'a. B. E quant' esser si può cari Dopo questo verso venivano
i seguenti (ii versi di tal esagerazione, che poi vi die di frego » C, citandoli in nota) :
NesBun'altra è di lei più pura cosa (C più cara cosa) : Chi macchiarla oserà? Le Ninfe
in vano Da le arenose loro urne versando Cento limpidi rivi, al candor primo Tornar
vorrieno il profanato vaso, E degno farlo di salir di novo A le labbra celesti a cui non
lice Inviolate approssimarsi ai vasi Che convitati cavalieri, e dame Convitate macchiar
coi labbri loro. — 763. Tu al cenno de' bei guardi e de la destra V. (B., CI., C.) — 765
sgg. I guardi tuoi Sfavillando di g. a. lieti II b. a. ; e tu ti accingi — 767. secreto B. —
769. Ecco d'estro già punta ecco la Musa V. (B.) — 771. A l'altrui B. — 773. Come
764 sgg. sospesa ondeggia : descrive a fatto umano, anche fuggente, anche efi-
punto l'atto di chi regge il bicchiere in mero, anche iìniente, uu ingegno supe-
alto, insieme cercando con gli occhi e riore ha notato e fermato con l'inten-
aspettando chi risponda e secondi al- dimento del bene e con l'arte del vero,
l'invito. rimane acquistato in eterno al patrimo-
769. Inimortal come voi lanostra Musa: nio morale ed estetico del genere uma-
essendo veramente le Muse tenute e dette no». Cf. la Notte 804-' 10.
immortali, l'espressione di questo nobile 770. Brìndisi grida: al brindisi se-
verso ha l'apparenza della maggior se- greto della dama, alla tacita risposta
rietà. Ma il termine di paragone del- del cavaliere , opportunissimo segue
l'immortalità essendo nel come voi, un brindisi alto e solenne della Musa,
ognun sente bellezza e amabile origina- commento ed enunciato della delica-
lità d'ironia. (Pare incredibile che il p. tezza e della portata di quegl' intimi
segnasse poi una var. a questo luogo, voti.
certo non destinata a soppiantare la 772. sua dolce cara e nostra: cura vale
prima). Non già per altro che l'autore, oggetto di affezione e di premure (Virg.
ii quale mostra parilicare cosi nella du- « raucae tua cura palumbes », Tib. « Sac-
rata efimera i suoi eroi e l'opera sua, chi cura Falernus ager »). Avverti il
non dovesse ricevere dall'intima co- -«osfra per mia come al v. 769, cosi di-
scienza ben altro affidamento. Viene a gnitoso e, per la collocazione, efficace,
mente la giusta affermazione del Car- 774 sg. eterna gioia, eternità discre-
ducei (op. cit. VI IX): «Ciò che d'un tam. intesa, come dirà poi.
IL MEZZOGIORNO 107
775 Non gustata al marito, e da coloro
Invidiata clie gustata l'hanno.
Veli con l'ali sue sagace oblio
Le alterne infedeltà clie un cor dall'altro
Potrieno un giorno separar per sempre ;
780 E sole agli occhi vostri Amor discopra
Le alterne infedeltà che in ambo i cori
Ventilar possan le cedenti fiamme.
Di sempiterno indissolubil nodo
Canti augurj per voi vano cantore;
785 Nostra nobile Musa a voi desia
Sol quanto piace a voi durevol nodo.
Duri fin che a voi piace, e non si sciolga
Senza che Fama sopra l'ale immense
Tolga l'alta novella, e grande n'empia
790 Col reboato dell'aperta tromba
L'ampia cittade, e dell'Enotria i monti
E le piagge sonanti, e s'esser puote,
La bianca Tati e Guadiana e Tuie.
Il mattutino gabinetto, il corso,
795 II teatro, la mensa in vario stile
Ne ragionin gran tempo: ognun ne chieda
Il dolente marito; ed ei dall'alto
La lamentabil favola cominci.
Tal su le scene ove agitar solea
800 L'ombre tinte di sangue Argo piagnente
779. Porièno V. (B., CI., C.) — 781. in ambo I petti V. (B., CI., C.) — 782. Ventilar
ponuo V. (B., CI., C.) — 783 sg. Un sempiterno 1. n. Auguri ai vostri cor volgar cantore;
— 78G. Sol fin che piace a voi — 783. l'ali — 790. de l'aperta B. — 791. de l'Enotria
B. — 79:i. e la mensa V. (B., CI., C.) — 797. da l'alto B.
775. Non gustata al marito, cioè dal di ''QKsavóg: bianca, dalla spuma), il
marito ; uso classico del dativo con par- mezzodì {Guadiana, nella penisola ibe-
ticipi passivi. Cf. il Mate. 7S7. rica) e il nord (Tuie, che identificarono
790. Col reboato: rimbombo, dal re- per l'Islanda: Virg. ultima r/iwJe, « la
boare lat. ; sarebbe ricercatezza non divisa dal mondo ultima Islanda »).
bella, se non servisse a voluta e mani- 797 sg. 11 dolente marito: far narrare
festa caricatura. — dell'aperta...: ag- proprio al marito quell'amorosa cata-
giunto che descrive e distingue. La trom- strofe e fingerlo dolente è dell'estrema
ba della Fama è a larga bocca. ironia. — dall'alto, con questo inciso
791. Enotria, come Ausonia al v. 709: vuol far ripensare il notissimo virgiliano
Oenotri viri, Oenotria tellus in Virgi- « toro pater Aeneas sic orsus ab alto ».
lio, Aen. I 532, vii 85. La lamentabil favola, la compassionevol
792. E le piagge sonanti, aggiunto epico tragedia.
e sempre nuovo; tutto il litorale, so- 799-811. L'avere adoprato la parola
nanfe perché lo batte fonda. favola con accezione classica induce il
793. Vuol dire il restante del mondo: p. a determinarne il senso nel suo più
r Oceano (La bianca Tetl, TrjOvg moglie classico uso, cioè di opera drammatica
108
TL MEZZOGIORNO
805
810
Squallido messo al palpitante coro
Narrava, come furiando Edipo
Al talamo corresse incestuoso ;
Come le porte rovescionne, e come
Al subito spettacolo risté,
Quando vicina del nefando letto
Vide in un corpo solo e sposa e madre
Pender strozzata; e del fatale uncino
Le mani armossi, e con le proprie mani
A sé le care luci da la testa,
Con le man proprie misero strapposse.
come V. (B., CI., C.) - 805.
803. sen corse V. (B., CI., C.) — 804. rovescionne
ristette V. (B.) — 809. armosse V. — 811. strappossi B,
o azione scenica; e cosi quel galante
dissidio è paragonato a una grande tra-
gedia, e precisam. àlVEdipo re di So-
focle ; per cui il P. aveva tanta e ben
degna ammirazione. « Dicono che par-
lando dalla cattedra s'accendesse della
sua stessa parola e dell'esser li, come
una fiaccola che agitata moltiplica le
fiamme, e segnatamente quando espo-
neva le tragedie di Sofocle, e tra queste
r Edipo», scrisse il Giusti; il cui dicono,
forse, a volerlo individuare, avrebbe tra
i suoi soggetti il P. stesso, che del ca-
polavoro sofoclèo e della esposizione che
ne faceva nella scuola scrisse la nota
strofe de la gratitudine, ove ricorda il
di che tra gli scolari sopraggiunse e as-
sistè benigno e attento il card. Burini ;
Onde osai seguitar del miseran lo
Di Labdaco nipote
Le terribili note
E il duro fato e i casi atroci e il bando.
Quale all'attiche genti
Già il finse di colui l'altero carme
Clie la patria onorò trattando l'arme
E le tibie piagnenti,
E de le regie dal destin converse
Sorti e dell'arte inclito esempio offerse.
Come in tale strofe si può dire che la
perifrasi per designare Sofocle sarebbe,
a rigore, più propria a designare Eschilo
(« tinse Eschilo pria [prima di scriver
tragedie] Ne' Medi fuggitivi il greco ac-
ciaro » Card.), cosi nel passo qui del
poema si potò facilmente notare un'ine-
sattezza : la scena deW Edipo re è a Tebe,
non ad Argo. Se non che mi par diffì-
cile ammettere che il P., con lo studio
che avea di quel dramma, prendesse
equivoco né poi se ne accorgesse; e però
credo eh' ei volesse dire soltanto « nel
teatro greco » o « su la scena tragica »
ma, poeticamente imrticolareggiando,
nominò Argo che ben fu alle tragedie
luogo e materia: basterebbero le due
prime parti dell'Oresféa. Anche può es-
sere che qui Argo sia per «la Grecia»,
come più spesso argivi per greci, cfr.
la Notte 449 « le genti D'Argo ». Quanto
al passo del dramma sofoclèo che qui
il P. segnala, è ai versi 1228-"69, che
sono parte del racconto che un messag-
gero fa al coro ; e il compendio è fedele.
Contentiamoci a notai'e alcuni partico-
lari. Edipo : la pronunzia piana di que-
sto nome si giustifica daU'accento gre-
co, non già dalla quantità (ti giovi ri-
cordare il V. 8 della tragedia ó jidai
K^Etvòg Olòinovg KaXov/nevos); e in modo
essa era invalsa, che scrissero anche
Edippo, come puoi vedere p. es. nella
versione di Stazio del Bentivoglio e nel-
l'Alfieri, Polin. I, 1 « infelice ed inno-
cente Edippo, Privo del di, carco d' infa-
mia, giace...» [privo del dì, appunto
perché si era sepolti gV\ occhi «in eterne
tenebre di pianto »]. — Al talamo, alla
camera nuziale. — del fatale nneino : si
valse al triste fatto delle fibule d' oro
ch'ei tolse alle vesti di Giocasta morta,
(XQvGrjXarot, neQÓvai). — le care luci, gli
occhi suoi; l'aggettivo può bene inten-
dersi, in quanto niente carius est oou-
lis, ma qui ha il colore del tplXov ome-
rico. — Con le man proprie, ripetiz. en-
fatica.
IL MEZZOGIOENO 109
Ecco volge al suo fine il pranzo illustre.
Già Como e Dionisio al desco intorno
Rapidissimamente in danza girano
815 Con la libera Gioia: ella saltando,
Or questo or quel dei convitati lieve
Tocca col dito; e al suo toccar scoppiettano
Brillanti vivacissime scintille
Ch'altre ne destau poi. Sonaa le risa;
820 E il clamoi'oso disputar s'accende.
La nobil vanità punge le menti;
E l'Amor di sé sol baldo scorrendo,
Porge un scettro a ciascuno, e dice: regna.
Questi i concilj di Bellona, e quegli
823 Penetra i tempj de la Pace. Un guida
I cojadottieri : ai cousiglier consiglio
L'altro dona e divide e capovolge
Con seste ardite il pelago e la terra.
Qual di Pallade l'arti e de le Muse
C30 Giudica e libra: qual ne scopre acuto
L'alte cagioni; e i gran principj abbatto
Che creò la natura, e che tiranni
Sopra il senso degli uomini regnare
Gran tempo in Grecia, e nel paese tosco
812. Ma già volge V. (B., CI., C.) — 813. E Como B. —820. Il clamoroso V. (B., CI.,
C.) — 821. pugne V. (CI., C) — 832. Cui creò — 834. e ne la Toaca terra
Hfene
K
813-'19. Como, V. la nota a ii 7l/a«. 515. giudicano di guerra e di pace (Bellona,
— e Dionisio, propriam. Dioniso (iióvo- dea della guerra; gaudens Bellona
005), latinam. Bacco. — Le squisitezze crMe««w),e, in ri^spondenza a ciò, danno
e i vini più abbondano come più il pran- consigli a capitani e governanti, e in-
zo illustre volge al fine; ed è il mo- somma cambiano faccia alla terra e al
mento che nasce ne' convitati quella ec- mare, dividendoli a lor voglia. — Con se-
citazione alacre e romorosa, dal p. ri- ste ardite, con audaci compassi, vale a
tratta ornatamente con le solite mitologie dire con le chiacchiere vane. Questo mo-
e personificazioni. Noi diciamo elettri!- tivo, del discorrer chiassoso e del senten-
za», in simili casi: e si direbbe che il ziare coraggioso a tavola, fu poi trattato
contemporaneo del Galvani e del Volta dal P. nell'ode la recita dei versi, str. 2-
significhi per tali que' convitati che al 4, per contrapposto alla discreta e vere-
tócco della Gioia mettono scintille; ma conda delicatezza che la poesia richiede ;
saranno state scintille sotto 'l focil, non e incomincia appunto, con vivezza e leg-
della pila che a quegli anni era pros- giadria lirica, da propositi di guerra :
sima a inventarsi, non inventata. V'ha chi al negato Scaldi
822. l'Amor di sé sol. cte.il Matt.&29> Con gli abeti di Cesare veleggia ...
sg. : qui tale amore si manifesta nel de-
siderio di segnalarsi e primeggiare. ^ finisce .
821-28. In quell'ora fervida i com- Tal sedendo confida
ensali gareggiano nell'audacia dei loro Ciascuno, e sua ragion fa de le grida,
scorsi : essi danno legge al mondo ; 829-'35. Insieme coi discorsi politici
110
IL MEZZOGIORNO
835 Rinacquer poi più poderosi e forti.
Cotanto adunque di saper fia dato
A uobil capo? Oh letti oh specchi oh mense
Oh corsi oh scene oh feudi oh sangue oh avi,
Che per voi non s'apprende? Or tu, Signore,
840 Co' voli arditi del felice ingegno
Sovi'a ogualtro t'innalza. Il campo è questo
Ove splender più dèi: nulla scienza,
Sia quant' esser si vuole arcana e grande,
Ti spaventi giammai. Se cosa udisti
845 0 leggesti al mattino onde tu possa
Gloria sperar, qual cacciator che seguo
Circuendo la fera, e si la guida
E volge di loutan, che a poco a poco
A le insidie s'accosta e dentro piomba,
850 Tal tu il sermone altrui volgi sagace
Fin che là cada ove spiegar ti giove
Il tuo novo tesoro. E se pur ieri
836. di sapei' è dato C. — 836 sgg. di sapere è dato A nobil meute? Oh letto, oh
specchio, oh mensa, Oh coi'so, oh scena, — 840. Col volo ardito — 8tt. T' ergi sopra
d' ogualtro. — 813. Sia quant' esser mai puote arcana o grande V. (B. via e grande,
CI., C.) — 845. onde tu deggia V. (B., CI., C.) — 819. S' avvicina a le — 851 tgg. Fin-
ché là cada ove spiegar ti giovi II tuo novo tesor. Se nova forma Del parlare appren-
desti, allor ti piaccia
quelli su l'arte e le arti di Pallade e de
le Mnse: le belle arti e in particolare le
belle lettere. Giova ricordare che il trat-
tato pariniano De' principj delle Belle
lettere è diviso in due parti, della prima
delle quali il titolo pieqo è Be' principj
fondamentali e generali delle Belle let-
tere applicati alle Belle arti, della se-
conda De' principj particolari delle
Belle lettere. — Giudica e libra, è quel
che i grammatici chiamano posterius
prius; in fatti, prima si pesa, poi si
giudica : benché per certi giudici, e dove
ben pensarlo il P., non fa differenza. —
i gran principj abbatte Clic creò la na-
tnra, e che tiranni ... : se sono grandi
principi naturali, come possono esser ti-
ranni e sopraffattori ? e se sono tiranni,
come possono essere grandi principi na-
turali? I poeti satirici mettono talvolta
insieme nella loro espressione ciò ch'è
il loro pensiero e ciò che essi dicono se-
condo la mente dell'avversario. —Sopra
il senso degli uomini, il discernimento,
>1 sano giudizio; cf, Ar. 0. F. 1 56 « Forse
era ver, ma non però credibile A chi del
senso suo fosse signore». — in Grecia:
e il P. cOnduceva gli alunni « Dietro
agl'inviti De la greca beltà » la gratitiid.
st. 19. — nel paese tosco, bella var. della
1" lez. ne la losca terra : il bel sonetto
dell'Allìeri L'Arno già ..., dell'a. 17S1,
chiude con le parole « dal bel paese
tòsco ». Kinacquer poi... : benché il suono
della parola ci faccia pensare a quel che
propriamente si dice Rinascimento, non
credo che l'espressione del p. sia limi-
tata ad esso; la poesia nuova d'Italia,
diciam pure di Dante e del Petrarca, con
tutta la sua originalità serbava in sé e
ravvivava gli stessi grandi pr Inditi-
836-'39. Il passo ha qualche analogia
di pensiero con quello de 'l Matt. 690-
712. Mirabile questo cumulo di esclama-
tivi, specialmente coi nomi al plurale
secondo la var. che anche danno miglior
suono, in cui si enumerano i modi e i
fonti, onde l'eroe ha attinto un si largo
e profondo sapere.
852 sg. pur ieri Scesa in I. peregrina
IL MEZZOGIORNO
IH
Scesa in Italia peregrina forma
Del parlar t' è già nota, allor tu studia
855 Materia espor che, favellando, ammetta
La nova gemma: e poi che il punto hai colto,
Ratto la scopri, e sfolgorando abbaglia
Qual altra è mente che superba andasse
Di squisita eloquenza ai gran convivj.
BGO In simil guisa il favoloso mago
Che fé' gran tempo desiar 1' amante
All'animosa vergin di Dordona
Da i cavalier che l'assalien bizzarri
Oprar lasciava ogni lor possa ed arte;
- 865 Poi ecco in mezzo a la terribil pugna
Strappava il velo a lo incantato scudo,
E quei sorpresi dal bagliore immenso
Ciechi spingeva e soggiogati a terra.
Se alcun di Zoroastro e d'Archimede
870 Discepol sederà teco a la mensa,
860 ss. il favoloso amante Dell' animosa vergin di Dordona (C. avverti come errore
in che il P., lavorando a memoria, fosse incorso, di attribuire a Ruggero l' artifizio del-
l' Atlante ariostesco) — 833 sg. Ai e. che 1' a. superbi Usar — 865. Poi nel miglior de
la — 866. Svelava il don dell' amoroso mago — 867 sg. dall' immensa luce Cadeano
ciechi sogiogali CI. — 839. Talor di V. (B., CI., C.)
forma, uà francesismo o inglesismo di
fresca importazione.
859. squisita, qui iuchiude propriam.
il senso di « ricercata », tratta da fuori.
b60-'6S. L'effetto della nova parola
straniera pareggiato a quello dello scudo
di Atlante è uno de' soliti impensati e
felici accostamenti, e opportunamente
preparato dalle parole sfolgorando ab-
baglia. — il faTOloso mago Clie... : giusta
perifrasi dell'Atlante ariostesco, l' incan-
tatore, il necromante, che lungamente
sequestrò Ruggiero dalla vita e dal-
l'amore della eroica Bradamante. Dai
cuTalier che l'a. bizzarri, con furia, fo-
cosamente, Oprar, schietto e squisito per
«adoperare, usare»; cfr. Dante Purg.
xxvm 15 «operare ogni lor arte», e il
Matt. 569. — Poi ecco...: la natura e l'effi-
cacia dello scudo d'Atlante è narrata dal-
l'Ariosto al e. II st. 55 sg. e al e. xxii
85 sg.; dice nel primo di essi luoghi; .
Come avesse non so tanto sofferto
Di tenerlo nascosto in quella veste,
Qlj' immantinente che lo mostra aperto,
Forza è, chi '1 mira, abbarbagliato resta
E cada come corpo morto cade
E venga al necromante iu potestade :
ove si può vedere che il P. ha tratto di
qui il pensiero eh' è nel distico Ai ca-
valier... Oprar lasciava, e il restante
ha ripreso e compendiato stupendamen-
te. Donato lo scudo dal mago a Rug-
giero,
... sol tre fiate bisoguolli,
K certo in gran perigli, usarne il lume :
ma di solito gli bastava il suo valore, e
teneva coperto
Lo spaventoso ed incantato lampo
AI cui splendor cader si convenia
Con gli occhi ciechi.
869 sg. Zoroastro, il grande savio an-
tico a cui, pur tra mistero e leggende,
risalgono le dottrine religiose, o almeno
le forme in che prevalsero e si defini-
rono, della Persia, e che, essendo quella
' una tal religione che voleva bastare a
render ragione di tutto, ebbe la scienza
degli a^gtri § della natura. — Archlinedo,
112
IL MEZZOGIORNO
A lui ti volgi, seco lai ragiona,
Suo linguaggio ne apprendi, e quello poi
Quas' innato a te fosse, alto ripeti :
Né paventar quel che l'antica fama
875 Narra de'lor compagni. Oggi la diva
Urania il crin compose: e gl'irti alunni
Smarriti vergognosi balbettanti
Trasse da lo lor cave ove pur dianzi
Col profondo silenzio e con la notte
880 Tenean consiglio; indi le serve braccia
Fornien di leve onnipotenti ond'alto
Salisser poi piramidi, obelischi
Ad eternar de' popoli superbi
I gravi casi: oppur con feri dicchi
871. Tu a lui ti volgi, V. (B., GÌ., C.) - 873. Qual se innato V. (B., CI., C.) —
875. Narrò de' suoi e. — 878. de le lor cave C. — 878 sgg. ove già tempo Tenean con-
siglio, e le servili braccia V. (B., CI., C, ma pure serbando tutti il v. 879) — 884. con
gravi dicchi B.
uno de' più vasti e poderosi ingegni del-
l'antichità, matematico e astronomo,
fisico e meccanico sommo, con la sua
unica arte (Liv. xxiv M) muni e armò
Siracusa stretta da Marcello 1' a. di R.
539, e quivi poi fu ucciso come tutti san-
no da un soldato ignaro mentr'era as-
sorto in suoi alti problemi. — di Zoroa-
stro e d'Archimedo Discepol: per la de-
terminazione che vien poi mediante il
nome di Urania, s'intenderebbe special-
mente un astronomo e, per le opere o
applicazioni designate appresso, un in-
gegnere; in somma, vuol dire un ma-
tematico, ovunque fosse volta la sua
scienza.
874-'80. Né parentar ... de' lor compa-
gni: che cosa propriamente, risulta poi
esplicato da quel che segue, cioè la so-
litaria selvatichezza, oggetto più che
bastevole di spavento per l'elegante ca-
valiere. — la diva Urania, la musa del-
l'astronomia, il crin compose, si pettinò ;
quasi che ella innanzi portasse incom-
ptam comam, in quanto Irti erano gli
studiosi di lei. — Smarriti vergognosi
balbettanti: viva pittura di quegli uo-
mini portati a un tratto dall'ombra alla
luce, dalla raccolta meditazione in mezzo
alla gente. — cave, grotte; tane e rin-
tanali diciamo volgarmente. — Col pro-
fondo silenzio e con la notte Tenean oon-
sigllo, ossia gli studi loro facevano in
disparte, fuor dei clamori e della luce
del mondo : e in silenzio e tiotte si può
vedere un'endiadi, quasi tacita oscu-
rità. È. un verso che ci fa venire a
mente quello de le ricordame « Lamen-
tai co' silenzi e con la notte II fuggi-
tivo spirto»; forse il Leopardi l' avea
negli orecchi.
880. le serve braccia, cioè de'servi,
degli schiavi.
882. leve onnipotenti, le quali cioè ser-
vono a effetti maravigliosi, potentissimi.
Vien bene la menzione di leve onnipo-
tenti poco dopo nominato Archimede, al
quale si attribuisce il notissimo : Datemi
un punto d'appoggio, e vi sollevo il
mondo.
88 (. I gravi casi: i grandi avveni-
menti ? Può essere ; ma classicam. casus ,
e tanto più con quest'aggiunto yravis,
suona sventura, danno. E certi trofei
presso il vincitore sono appunto segui
perenni della iattura toccata al vinto e
della altezza da cui la sconfitta lo fece
cadere.
SS1-'9C». con firi dicchi, forti bastioni
a riparo del fiotto. — dicchi, da dijk olan-
dese, è in trecentisti e nel Chiabrera;
più comunemente dighe. — contro igran
IL MEZZOGIORNO
113
885 Stavan contro i gran letti; o di pignone
Audace armati, spaventosamente
Cozzavan con la piena, e giù a traverso
Spezzate, rovesciate dissipavano
Le tetre corna, decima fatica
890 D'Ei'cole invitto. Ora i selvaggi amici
Urania ingentili: baldi e leggiadri
Nel gran inondo li guida, o ti'a '1 clamore
De' frequenti convivj, oppur tra i vezzi
De' gabinetti ove a la docil Dama
895 E al saggio Cavalier mostran qual via
Venere tenga e in quante forme o quali
Suo volto lucidissimo si cambi.
888. dissipate rovesciavano — ?91. incivili: — 895. E al caro (V. CI., C.)
B. — 896. e quali B., CI., C. — 897. si cangi V. (B., CI., C).
al fido
letti, del mare: cosi l'aggiunto e il fatto
sembrano dichiarare. La versione latina
di Carl'Ant. Merendi (1792) ha per altro
latos ... fluniinis alveos, e ferìs dlscis
instabant ftuminis alveo quella di Ign.
Guerrieri (1825); poco autorevoli, del
resto, neir interpretazione, cerne pece
eleganti nella versione. — pignone, forte
costruzione sporgente dall'argine contro
l'acqua per reggere e voltare la corren-
te; a cui si appropria bene l'aggettivo
audace. — Le tetre corna, le onde torbide,
ribollenti, minacciose. E considera la
bellezza efficace del verso innanzi, e le
ragioni sottili per cui il P. ebbe a pen-
sare la variante di una prima lez. pur
buona. — decima fatica D'Ercole invitto.
La lotta di Ercole col fiume Acheloo, il
quale tra la zuffa prese dopo altre forme
quella di toro a cui Ercole ruppe un
corno (« ferus Alcides Acheloia cornua
fregit » Heroid. xvi 265) e fu il corno
dell'abbondanza, è accennata in prin-
cipio delle Trachlnie di Sofocle e rac-
contata da Ovidio nei primi cento versi
del IX delle Metamorfosi; e come espres-
s'one mitica d'una fiumana costretta in
nuovo corso e più regolare, lasciando
migliore e prosperosa la terra intorno,
era agevole intenderla, e fu intesa già
in antico. Ma questa lotta non figura tra
le dodici fatiche di Ercole, quali furono
nella tradizione, si bene è una delle tante
altre sue imprese episodiche e accesso-
rie : e però non saprei dire perché il
P. l'abbia messa tra quelle, e tanto me-
no perché 1' abbia determinata per de-
cima. Ma forse egli qui pensò a tutt'al-
tro che a una rigorosa e bene esplorata
esattezza, e pertanto è vano, credo, che
tale esattezza cerchiamo noi. Supporre
che qui decima abbia il significato che
ha talvolta in lat. decimus analogam.
a decumanus, cioè grande (fluctus de-
cumanus, decim,a unda), non sarebbe
naturale, da che dice il numero d' or-
dine di cosa appartenente a un gruppo
numerato. Ripeto, il p. non volle altro
se non una imagine e un'espressione
solenne, con la quale chiudere i versi
forti e felicemente elaborati su le ardite
e vittoriose opere dell'ingegneria e del-
l'idraulica.
891-'97. Ora i s. a. U. ingentllf : è come
una ripresa di ciò ch'era detto ai vv,
875 sgg. ; 1 selvaggi amici, gV irti alunni^
i cultori suoi eh' eran prima selvatici,
Ingentilì', incivili ; la 1* lez. può esser
commento ma la variazione è più poe-
tica e schietta a dire una cosa selvatica
che si fa gentile per coltura: « Ringen-
tiliscan su i toscani colli», dice il Redi,
B.in T. 225, di magliuoli di viti straniere.
— baldi e leggiadri Nel gran mondo...: è
proprio l'antitesi degli sìnarriti vergo-
gnosi balbettanti e delle lor cave ; i bru-
chi son divenuti farfalle : e il gran mon-
do si determina poi e distingue, le chias
sose e numerose (frequenti) brigate dei
pranzi, e le moine dell' intimit;'». Alla
Parini — Ai.niNi.
114
IL MEZZOGIORNO
Né del poeta temerai che beffi
Con satira indiscreta i detti tuoi,
900 Né che a maligne risa esponer osi
Tao talento immortal. Voi l'innalzaste
All'alta mensa, e tra la vostra luce
Beato l'avvolgeste e, de le Muse
A dispetto e d'Apollo, al sacro coro
905 L'ascriveste de' Vati. Ei de la mensa
Fece il suo Pindo; e guai a lui, se quindi
Le dee sdegnate giù precipitando
Con le forchette il cacciano. Meschino!
Più non potria su le dolenti membra
910 Del suo infermo Signor chiedere aita
900. O che V. (B. CI., C.) — 901. immortale. All'alta mensa Voi lo innalzaste, V.
(B., CI., C.) — 905 sff. Egli il suo Pindo Feo de la mensa, e guai a lui se quinci
— 909. Pili non poria V. (B., CI., C.)
coppia amorosa ed elegante è naturale
che rastrouorao parli del corso e degli
aspetti di Tenere, uno de' sei Pianeti
(sic) annotò il F., il bel pianeta e il loro
pianeta; ma, dice il Cantù, « l'ambiguità
è maligna ».
898-901. Ne' del poeta temerai... FiuquI
ha detto della sicurezza Udente con che
il Giovia signore parlerà allo scienziato
e di scienza; e non meno, dice qui, al
poeta. Questi primi versi fanno una cu-
riosa impressione al lettore che, leg-
gendoli, sente come davvero davvero
colui abbia a tenersi sicuro dal poeta e
dalla satira!.. Ma, dopo quest'effetto
felice, si vede che il P. accenna a ben
altro poeta, a quello cui s' appartiene
Vuso di recitare i versi alle mense, e
che «Gonfia d'audace verso inezie conte »
o « del pudore a scorno Annunzia carme
onde a' profani piace », o fa altri com-
ponimenti e complimenti di circostanza
quali son ricordati appresso, e che in
somma non è altro se non un piaggia-
tore verboso e parasito.
902 sg. tra la vostra luce Beato i'av-
Tolgeste, cioè rendendolo felice con que-
sto, a sua grande soddisfazione.
903-'08. de ie Muse À dispetto e d'Apol-
lo: come quasi tutte le frasi di questo
passo, ricorda imagini ed espressioni
classiche. Oltre all'oraziano invita....
Minerva e al suo contrario auspice
Musa, a luoghi ove le Muse e Apollo son
ricordati insieme (p. es. Prop. i 8, 41,
di cui cfr. anche iii 2, 7 « uobis et Baccho
et Apolline dextro »), è a notarsi certa
rispondenza tra i pensieri di questi versi
e il prologus di Persio, autore, come
sappiamo, ben conosciuto al P., dove la
fame e la cupidigia insegnano parole
umane ai pappagalli e mutano i corvi in
cigni. — ei de la mensa Fece 11 suo Pindo,
si perché ivi s' inspira e ivi recita, si
perché qaeU'aUa ìnensa è il vertice a cui
si propose di giungere. — e guai a lui ... :
qui il ricordo di un epigramma di Ca-
tullo, 105, è scoperto, e originalissimo
l'uso che ne fa il P. Dice Catullo:
Mentula conatur Pimpleum scandere
[moutem.
Musae furcillis praecipitem eiciunt :
dove le Muse figurano come belle mon-
tanarine che coi forconi caccian via l'in-
degno che s'arrampica. Il P. traduce
furcillis con le forchette, e questo, men-
tre non si può dire che non risponda
strettamente al diminutivo catulliano,
prende qui un alti'o e preciso signifi-
cato: qui il monte delle Muse è la ta-
vola, le Muse son le dame, le forchette
son le forchette.
909-'19. sn le dolenti membra Del suo
infermo Signor chiedere aita, invocare
la guarigione alla dolorosa malattia :
ma è detto con eleganza squisita, raf-
finata anzi a meglio volgere in beffa la
nullaggine di quelle elegiuzze. — Da la
IL MEZZOGIORNO
115
Da la bona Salute; o con alate
Odi ringraziar, né tesser Inni
Al barbato figliuol di Febo intonso :
Più del giorno natale i chiari albori
915 Salutar non potrebbe, e l'auree frecce
Nomì-sempiternanti all'arco imporre :
Non più gli urti festevoli o sul naso
L'elegante scoccar d'illustri dita
Fora dato sperare. A lui tu dunque
920 Non disdegna, o Signor, volger talora
Tu' amabil voce: a lui tu canta i versi
Del dilicato cortigian d'Augusto,
O di quel che tra Venere e Lièo
Finse Trimalcion. La Moda impone
925 Ch'Arbitro o Fiacco a i begli spirti ingombri
i
911. Da la buona V. (B.) salute B. col R. — 920. Non isdegna, o S., volger tal-
volta — 921. a lui declama — 922. delicato V. (CI., C.) — 925. a un bello spirto
bona salute, come dea, auche nei progr.
di b. arti p. 81, ove la Dea Salute è pro-
posta a effigiare nella camei'a da pranzo ;
e delineata « con volto nobile e pienotto,
gioventù matura, e bel panneggiamen-
to ». (Un inr.o In banani Valetudinem
ha il Flaminio). — con alate Odi, alate
secondo la presunzione e professione
degli autori, i quali studiando ai cosi det-
ti voli si davano a credere di riuscire a
qualcosa di alto (cfr. il bel distico che
chiude l'ode la laurea ove, di un vin-
citore in Olimpia, è detto:
£ scotendo le corde amiche a i vati
Pindaro lo seguia con gì' inni alati) :
anche l' imagine seguente dell'auree frec-
ce da imporre all'arco (il germe è in
Pindaro, p. es. Nein. ix in f. «la vitto-
ria Fregiar di versi e co' miei dardi il
termine De le Muse toccar », vers. Frac-
caroli), e il pomposo aggiunto compo-
sto di no nl-sempiternanti , secondano
canzonandola quell'inclinazione a fare
i pindarici in un componimento per ri-
cuperata salute (inno a Esculapio) o per
il di natalizio. Quanta più l'ambizione
di tal poetastro, tanto più risibile a udire
il compenso ch'ei ne poteva sperare, e
che vien qui efficacemente espresso in
coordinazione sintattica a ciò che pre-
cede : amichevoli colpetti nel ventre, un
picchiar di mano su la spalla, e buffetti
nel naso.
921-'25. a lui tu canta i veri! Del.... 0
di quel... : di Orazio o di Petronio Arbi-
tro; i quali due autori sono prima de-
signati in perifrasi, e appresso chiasti-
caraente nominati. Se il P. avesse voluto
dire Orazio per conto proprio, e non in
servigio del suo eroe a cui non era al-
tro se non un ingombro di tasche se-
condo la moda, difficilmente avrebbe
usato questa circonlocuzione per il gran
lirico e satirico latino, nel quale l'esser
cortigian d'Angusto è accessorio e conta
certo assai meno che l'essere tal mae-
stro d'arte e pittore di costume quale
egli fu. Petronio Arbitro è bene indicato
per l'autore della cena Trimalchionis,
eh' è il più lungo e più noto passo a noi
pervenuto delle Satirae di quello scrit-
tore dell'età neroniana, pieno d'ingegno
e di varia e vivace eleganza, e tutto in-
quinato, direbbe il P., di fedo loto. I
versi propriam. detti sono sparsi qua
e là nel romanzo petroniano che ha le
forme e l'andamento della satira menip-
pea, e a buon conto nel tratto dell'orgia
di Trimalcione son pochi o punti: né
il P. dice che i versi cantati siano da
quel tratto.
116
IL MEZZOGIORNO
Spesso le tasche. Oh come il vate amico
Te udrà maravigliando il sermon prisco
0 sciogliere o frenar qual più. ti piace:
E per la sua faretra e per li cento
930 Destrier focosi che in Arcadia pasce
Ti giurerà, che di Donato al paro .
Il difficil sermone intendi e gusti.
Cotesto ancor di rammentar fia tempo
1 novi sofi che la Gallia o l'Alpe
C35 Ammirando persegue : e dir qual arse
De' volumi infelici, e andò macchiato
D'infame nota: e quale asilo appresti
Filosofia al morhido Aristippo
Del secol nostro; e qual ne appresti al novo
940 Diogene dell'auro spregiatore
E della opinione de' mortali.
Lor famosi volumi o a te discesi
926 Bgg. Il vostro amico vate T' udrà m. il s. p. Or sciogliere or — 933. E questo
ancor V. (B., CI., C.) — 93 4 sg. e l'Alpe Esecrando — 910. de l'auro B. sprezzatore
V. (B., CI., C.) — 9il. E de la B. — 942. Lor volumi famosi a, te verranno
926-'35. il sermon prisco (cioè il la-
tino; emistichio petrarchesco del son.
S'amore o morta...) 0 sciogliere o fre-
nar qnal piti ti piace, pronunziando brevi
le sillabe lunghe, lunghe le brevi. — per
la sna faretra, quella da cui trae le au-
ree frecce di cui sopra, e per li cento
Destrier focosi clie la Arcadia pasce, ca-
valli ch'egli possiede al modo stesso
della faretra, in quanto se li finge e uè
parla ne' suoi versi. (« Ma se d'altro ca-
vai non si provvede, Faccia pur conto
d'andar sempre a piede »). Son queste
le cose, invocando le quali Ti giurerà:
la verità del giuramento e la gravità
delle cose invocate son pari. Può anco
essere che scrivendo il v. Destrier focosi
che In Arcadia pasce il P. rammentasse
che l'Arcadia era in pregio per la razza
degli asini (Arcadiae pecuarla rudere,
è iu Persio; «le roussin d'Ai'cadie » è
detto l'asino in La Fontaine, Fabl. viii
17), e ripensando ciò il verso è più gu-
stoso : ma questa sarà una sfumatura
accessoria; il senso primo e precipuo
è il sopra detto. — di Donato al paro,
Kiio Donato, celebre grammatico del iv
secolo: massima autorità ebbe Vara,
cioè la grammatica, da lui scritta, e iu
tempi non remoti la grammatica latina
si chiamava il Donato.
934-'42. I novi sofl,..: la frase, come
in parte la situazione, fa ripensare ai
facili sapienti De la gallica Atene ; il
Matt. 683. Con l'alternativa o l'Alpe par
designato fin d'ora peculiarmente Gian-
giacomo Rousseau, svizzero di nascita,
ginevrino {171S-177S). Un po' dubbie a
determinare, secondo quel che vera-
mente fosse il pensièro del p., son le
parole susseguenti: esecrando persegue
della 1' lez. par 'voler dire «esecra»
(exsecratione persequitur), e in vece
aniniirando persegue della correz. « am-
mira» (admiratione prosequitur) ; ma
forse, correggendo cosi, il P. intese tem-
perare insieme i due concetti signifi-
cando « ammira e perseguita allo stesso
tempo », che in fatti apparisce vero, e
subito appresso si accennano condanne
e falò che si fecero di taluni libri di
que' filosofi. — quale asilo appresti Filo-
sofia... : oso dire che né pur questo è
chiarissimo. A prima udita può inten-
dersi : quale accoglienza trovino, in gra-
zia delle lor teoriche, i filosofi qui desi-
IL MEZZOGIORNO
117
945
950
Da le fiamme fuggendo a gran giornate
Per calle obliquo, e compri a gran tesoro,
O da cortese man prestati, fièno
Lungo ornamento a Io tuo speglio innanzi.
Poi che brevi gli avrai scorsi momenti
Ornandoti, o a la man garrendo indòtta
Del parruccbier; poi che t'avran più notti
Conciliato il facil sonno, alfine
A la teletta passeran di quella
946. innante. V. (B., CI., C.) — 947 ag. Poiché scorsi gli avrai pochi momenti Spec-
chiandoti, e a la man B. e C. lenendo anch' essi la var. costruiscono Poi che scorsi
gli avrai brevi momenti — 949. poiché t'avran la sera — 950 sg. allora A la toilette al
fine Anco a lo speglio passeran di lei V. (B.)
gnati ; accoglienza or buona ora ostile ;
e con ciò sarebbero accennate le pere-
grinazioni di Voltaire e di Rousseau, e
le ospitalità eh' ebbero talvolta, p. es.
Voltaire da Federico di Prussia negli
anni 1750-'53. Ma probabilmente vuol
dire altra cosa, cioè : qual parte essi
tengano tra le scuole filosotìche (asilo
risponderebbe ai modi latini per cui
una scuola di filosofi è una domus, un
lar: ricorda più frasi, come quo me
duce quo Lare tutev e deferor hospes,
della l'epistola d'Orazio); e il p. intan-
to per conto suo definisce il Voltaire
per un nuovo morbido Arlstlppo e il
Rousseau per un nnovo Diogene. — Vol-
taire (intorno al quale vedemmo già
nel Matt. 668-'70 discrete parole che
rifuggono da ammirazione supina e da
sconoscente vilipendio), come avverso
alla metafisica perché genera sistemi
e dà occasione a fanatismi, come ir-
riverente alla religione per geloso os-
sequio alla ragione, come troppo in-
dulgente ai sensi (e, innanzi tutto, al
buon senso), come scrittore nell'arguzia
e talvolta nella lubricità liberissimo,
parve in somma filosofo di rilasciata
morale; e il P. ritrae la filosofia di lui
come un malsano edonismo (il Bentham,
quando uscivano i poemetti pariniani,
era adolescente), e a lui dà nome dal
celebre scolaro di Socrate, poi fonda-
tore della scuola cirenaica, Aristippo,
la cui filosofia moveva dal senso del pia-
cere. — Rousseau, dal fastidio delle ini-
quità della corruzione delle complica-
zioni sociali portato alla condanna della
società, dalla prepotenza del sentimento
individuale e dal bisogno inestinguibile
di libertà fatto nemico delle leggi e de-
gli usi, è ragguagliato a quel bizzarro
ribelle che fu Diogene (m. l'a. 323 a. C),
il più avanzato e singolare dei cinici;
e già nel maestro di lui Antlstene era
il grido di Rousseau: torniamo alla
natura. (Ciò osserva il Gomperz. Tanto
aggiustatamente è pensato 1' accosta-
mento del P., che si trova il simile in
un rilievo di fatto nella storia critica del
pensiero greco). — Del resto, poiché
non posso stendermi qui a dire di Vol-
taire e Rousseau oltre a quanto bisogna
per chiarire il testo, né de' punti in cui
si differenziano o di quelli in cui si con-
vengono tra loro, basti avvertire che il
contrapposto della selvatichezza dioge-
nica e della indulgenza aristippèa de-
riva al P. da fonte classica; e sopra
tutto da un luogo di Orazio , ep. I 17,
13-15, ove Diogene e Aristippo son di
fronte, col celebre dialoghetto : « Se si
adattasse a pascersi d'erbaggi, fami-
gliarità di re sdegnerebbe Aristippo » :
«Se fosse atto a famigliarità di re, schi-
ferebbe erbaggi il mio censore ».
Si pranderet olus patienter, rogibus uti
NoUet Aristippus. — Si sciret regibus uti,
Fastidirei olus qui me notat.
943-'51. a gran giornate (magnis iti-
neribus), del linguaggio militare; Per
calle obllqno, per vie traverse, fuor da
la via regia battuta; a pran tesoro, quasi
a peso d'oro. A tanto sacrificio e impe-
gno per avere que' libri contrasta la
noncuranza dopo ricevuti: stanno a luu-
118
IL MEZZOGIORNO
Che comuni ha con te studi e licèo
Ove togato in cattedra elegante
Siede interprete Amor. Ma fia la mensa
955 II favorevol loco ove al sol esca
De' brevi studi il glorioso frutto.
Qui ti segnalerai co' novi sofi
Schernendo il fren che i creduli maggiori
Atto solo stimar l' impeto folle
960 A vincer de' mortali, a stringer forte
Nodo fra questi, e a sollevar lor speme
Con penne oltre natura alto volanti.
Chi por freni oserà d'inclita stirpe
A l'animo, a la meato? Il vulgo tema
9G5 Oltre natura; e quei cui dona il vulgo
Titol di saggio, mediti romito
Il ver celato, e alfin cada adorando
La sacra nebbia che lo avvolge intorno.
Ma tu come sublime aquila vola
970 Dietro ai sofi novelli. Alto dia plauso
952. communi CI. — 954. Amore. Or fia V. (B., CI., C.) — 935. loco, onde V. (B.)
— 957. Qui segnalar ti dei V. (B., CI., C.) — 960. strigner V. (B., CI., C.) — 963 sgg. Chi
por freno oserà d' almo Signore A la mente od al cor? Paventi il vulgo Oltre natura: il
debole Prudente Rispetti il vulgo j e quei cui dona il vulgo (B. serbò da questa l* lei. le
parole il d. p. R. il vulgo) — 969 sgg. Ma il mio Signor com'aquila sublime Dietro ai Sofl
novelli il volo spieghi. Perché pili generoso il volo sia, Voli senz'ale ancor; né degni '1
tergo Affaticar con penne. Applauda intanto Tutta la mens.x al tuo poggiare arc'ito. —
go SU la toilette, sguardati appena ; poi
son presi per conciliare il sonno; poi
passano alla toilette della dama : cfr. il
Malt. 664-'6j. — breri gli arrai scorsi nio-
menli, troppo latino il distacco dell'agg.
dal nome : al v. 2 U era minore. — Ornan-
doti, facendo toilette : Ov. Am. I 14, 17
« Ante meos saepe est oculos ornata »;
altrove, più determinatam., ornare ca-
pillos. — studi e liceo, o sia materia e
luogo di studio. — Ove, meglio si riferisce
a la teletta die a liceo ; è il gabinetto
della dama, e quindi la toga e la cattedra
e il lettore sono da imaginare adattali.
057-''64. co' novi sofl, insiste, e insi-
sterà ancora al v. 971, in tal denomina-
zione già vista al v. 9sr,, nella quale è
chiaro che il P. dà a sod, come abbiam
detto, il senso di facili sapienti, cioè di
iion intera e sincera sapienza. — 11 fren
cl>e ...: larga perifrasi della religione,
iu quanto domi le passioni, affratelli
gli uomini, li consoli di speranze eter-
ne. A ciò si contrappone che per la
razza privilegiata non ha luogo ritegno
né di passioni (a l' animo : cf. Pers. V
30 «premitur ratione animus») né di
pensieri (a la mente).
961-"6S. Le paure di ciò eh' è oltre il
sensibile son volgari, e quegli solo che
solo al volgo par saggio può meditare
misteri (11 ver celato) e cadere in ado-
razione. Qualcosa di solennemente mi-
stico il p. ha dato anche al linguaggio.
— Quel debole Prudente della 1' lez.,
già in sé non perspicua, non aggiungeva
nulla di utile o ben determinato.
970. Osserva bene com'era il passo
nella prima redazione. Alle parole
Perché pili generoso il volo sia.
Voli senz'ale ancor, né degni '1 tergo
Affaticar con penne,
Giuseppe Giusti annotava « dardo sca-
gliato contro coloro che, senza ingegno
IL MEZZOGIORNO
119
Tutta la mensa al tuo poggiare audace.
Te con lo sguardo e con l'orecchio beva
La Dama dalle tue labbra rapita;
Con cenno approvator vezzosa il capo
975 Pieghi sovente : e il calcolo, e la massa,
E r inversa ragion sonino ancora
Su la bocca amorosa. Or più non odia
De le scole il sermone Amor maestro;
Ma l'accademia e i portici passeggia
980 De' filosofi al fianco, e con la molle
Mano accarezza le cadenti barbe.
Ma guardati, o Signor, guardati oh dio
Dal tossico mortai che fuora esala
Dai volumi famosi, e occulto poi
985 Sa, per le luci penetrato all' alma,
Gir serpendo nei cori, e con fallace
Lusinghevole stil corromper tenta
973. da le col R. tutti. — 976. E la V. (B., CI., C.) — 978. scuole C. — 979. E V.
(B., CI., C.) V Academia e i Portici C. — 981. carezza B. — 986. uè' cori V. (B., CI., C.)
e senza studi, spensieratamente slìloso-
feggiano». Ma fu un momento di sug-
gestione innanzi all' autore ammirato.
A pensarci , non sarebbe piaciuto al
Giusti ciò che spiacque al P.: toH sen-
z'ale non è arguto ; vuol volar senz'ali
signiflca a troppo chiare note « vuol
r impossibile».
972. Te, cioè l'aspetto e le parole tue;
con lo sguardo e con l'orecchio beva ..•
Alla frase cosi densa e intensa son ger-
me il bibebat amorem virgiliano (cfr. al
V, 11) e il bibìt aure oraziano.
675-'81. '\\caloolo,\di massa, l'inversa
ragion... «Per imitare i sapienti fran-
cesi, volevasi clie le scienze esalte di-
ventassero modello di tutte le scienze,
e chi non le sapeva dovea tingere di
saperle. [Del resto, viene a mente che
anche Platone cominciava dalla mate-
matica, e si narra che, durante una
delle sue dimore alia corte di Siracusa,
le sabbie de" giardini reali eraii tutte
segnate di figure geometriclie, per ma-
no de' suoi eleganti scolari]. In un'/(a-
lia, stampata nel 1778 come traduzione
dal francese, si dice che a Firenze erasi
introdotta la cicisbeatura matematica;
e che occorre di sentire fra galanti col-
loqui, In ragione comiiosta del vostro
affetto — In ragione inversa del mio
languore — Moltiplicata la massa per
la velocità della mia servitù, ne ri-
sulta la quantità del moto della vo-
stra perdonanza [forse padronanza]
— / quadrati dei tempi della mia spe-
ranza sono come i cubi della distanza
del vostro consenso — » (Cantù). — l'ac-
cademia; propriam. r Academia, orti di
Academo, fu la scuola di Platone : i i>or-
tici seguendo pass<'g?la fanno pensare
la scuola d'Aristotele, i i)eripatetici (pas-
segj,Matori); benché Aristotele insogno
nel liceo di Atene e il passeggio era per
i giardini di quellu. Qui il P. vuol dire
le gravi scuole filosofiche senza speciale
limitazione; e uon si hanno a intendere
que' nomi come propri, l'er sé il por-
tico, si sa, designa invece la scuola di
Zenone, gli stoici a cui appunto die nome
la Gxoà jtoikO.ìj, porticus picta. — conia
molle .Vano accarezza..., quasi a renderli
miti e indulgenti. Né il P. lascia occasio-
ne di figurar vive e plastiche le scene.
982. Ma gaitrdati, o Signor, guardati
oh dio ... Sembra proprio il grido am-
monitore di uno spaventato : cfr. 463.
Or vedi a che conduce.
120 IL MEZZOGIORNO
Il generoso de le stirpi orgoglio
Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli,
990 Che ciascun de' viventi all'altro è pari,
E caro a la Natura e caro al Cielo
E non meno di te colui che regge
I tuoi destrieri e quei ch'ara i tuoi campi;
E che la tua pietade e il tuo rispetto
995 Dovrien fino a costor scender vilmente.
Folli sogni d'infermo! Intatti lascia
Cosi strani consigli, e sol ne appi*endi
Quel che la dolce voluttà rinfranca,
Quel che scioglie i desiri e quel che nutro
1000 La libertà magnanima. Tu questo
Reca solo a la mensa, e sol da questo
Cei'ca plausi ed.ouor. Cosi dell'api
L' industrioso popolo ronzando
' Gira di fiore in fior, di prato in prato ;
1005 E i dissimili sughi raccogliendo
Tesoreggia nell'arnie: un giorno poi
Ne van colme le pàtere dorate
Sopra I' ara de' numi, e d' ogn' intorno
Ribocca la fragrante alma dolcezza.
090. de' mortali — 991. Che — 995. Devrien V. (B., CI., C.) — 997. e solo attigni V.
(B., Ci., C). — 998 sg. Ciò che la.... Ciò che s. i d. e ciò che n. V. (B., CI., C. ) — 1002.
Plauso cerca ed onor. V. (B., CI., C.) — de l'api B. — 1008. d'ogui lato V. (B., CI., C.)
988 sg. Il generoso ... Che ti scevra ... piccola parte da essi e dalla loro opera.
Non già è la stirpe che ti separi dal — e sol ne npprcudi Quel... riuf ranca,
volgo, si è l'orgoglio della stirpe : quindi Quel che... magnanima, o sia quegl' insu-
la separazione è fittizia. Pensatissimo gnameiiti, que' principi che, facendo ar-
tutto. bitro e signore il piacere, licenziano a.
990. Era difettosa la 1* lez. ciascun dissolutezza: quello cioè che, secondo
de' mortali, da che nella denominazione il P., conveniva intatto lasciare. Facile
9*iorfaii è già espressa la più essenziale è vedei'e con quanto ingegno, con die
eguaglianza. Ben lo senti il P., e cor- inlima ironia venga poi fuori la com-
l'esse ciascnn de'TlTentl. parazione delle api: queste suggono
994. Avverti : non pure la pietà, ma umori da comporne il miele, e l'eroe,
anche il rispetto. Come schiettamente e ape di nuovo genere, coglie da que' libri
dignitosamente umano! ciò ch'è lusinga di passioni e lascia ciò
996-1002. aegri somnia , Or. a. i>. eh' è affermazione o rivendicazione di
7. Intatti lascia...: cioè, senza metter verità. «Paragonandolo alle api che
mano ad essi, senza prenderne nulla ; traggono il meglio dei fiori e dell' erbe
nulla di quello appunto per cui quei aromatiche», per usar le parole del Giu-
filosofi sono immortali , e per cui il sti, il p. « ferisce di rimbalzo quella
P. sta con loro, in quanto affermano testa vana, impregnata di boria e di
eguaglianza, tolleranza, libertà, uma- presunzione, che dei libri ritiene il male
nità, e son pieni di presagi che dovean che gli giova, e scarta il bene che non
presto essere storia, e forieri di un av- gli va a sangue «.
venire che i posteiù conoscono in non 1006-'09. un gi imo poi... Il P. con lar-
IL MEZZOGIORNO 121
lOlO Oi' versa pur dall' odorato grembo
I tuoi doni, o Poraoaa; e 1' ampie colma
Tazze che d' oro e di color diversi
Fregiò il Sassone industre: il fine è giunto
De la mensa divina. E tu dai greggi,
1015 Rustica Pale, coronata vieni
Di melissa olezzante e di ginebro ;
E co' lavori tuoi di presso latte
Declina vergognando a chi ti chiedo ;
Ma deporli non osa. In su la mensa
1020 Potrien deposti le celesti nari
Commover troppo, e con volgare olezzo.
Gli stomachi agitar. Soli torreggino
Sul ripiegato lino in varia forma
I latti tuoi cui di serbato verno
1025 Rassodarono i sali, e reser atti
A dilettar con subito rigore
Di convitato cavalier le labbra.
Tu, Signor, che farai poi che la dama
Con la mano e col pie lieve puntando,
1030 Move in giro i begli occhi e altrui dà cenno
Che di sorger è tempo? In pie d'un salto
1010. da l'odorato H. — 1013 sg. Fregia il Sassone industre. K tu dai greggi {cosi omet-
tendo un verso) V. (B., CI., C.) — 1016. o di V. (B.) — 1018. Vergo3;nando t'accosta —
1020. Porien V. (B., CI., C.) — 1021. e con iguobil senso V. (B., CI., C.) — 1022. Solo tor-
reggino CI., C. — 1022 sg. Torreggiu solo Su' ripiegati lini in varie forme — 1025.
Assodarono i sali e fecer V. (B. ma reser. Ci. C.) — 1028 sg. poiclié fie posto Fine a la
mensa e cbe lieve puntando La tua Dama gentil fatto avrà conno — 1031. di sorgere B.
ghezza epica, nel fare le comparazioni, gali alquanto porgendo a chi vuole;
si abbandona in esse, e ne trae tutta la t'accosta a chi ti chiede era men pro-
poesia di che sono capaci. Qui per altro pi'io, che accostarsi deve a tutti e solo
è da avvertire che anche la seconda porgere a chi mostra di volere,
parte ha sua rispondenza nel termine 1022 sgg. Soli torreggino... I latti
comparato: a quel modo che il miele tuoi...: i gelati di crema, s'intende; ma
sopra l'ara de'auiiii, il melazzo del ca- i latti cni di serbato verno Rassodarono
valiere è recato ala mensa. i sali è squisitezza poco perspicua e pre-
1010 sgg. Or... Siamo alle frutta: que- cisa. Accenna al sale che mischiato al
ste abbondano preparate nelle grandi ghiaccio conservato nelle ghiacciaie ser-
fruttiere di porcellana dorata e fiorata ve a fare il gelato. De' gelati udiremo
di Sassonia. Ciò il p. dice invitando essa più a lungo ne la Notte 765-'92.
la dea dei frutteti a porgere copiosa- 1029. Con la mano e col pie Uere pnn-
niente i suoi doni. tando, vivamente rappresentato e nova-
1014 sgg. E Pale i lavori suoi, il ca- mente espresso 1' atto della dama che
ciò. L'eleganza tutta virgiliana dei versi dà segno di levarsi e attende che altri
diviene un po' materialm. latina alle pa- la secondi. Nella 1* lez. la frase lieve
role di presso latte, Bue. I 81 «pressi puntando, senza nessun complemento,
topia lactis». Declina vergognando, pie- più che concisa era monca.
122 IL MEZZOGIOKNO
Balza primo di tutti: a lei soccoitì,
La seggiola rimovi, la man porgi;
Guidala in altra stanza, e più non solTri
1035 Che lo stagnante de le dapì odore
Il cèlabro le offenda. Ivi con gli altri
Gi'atissimo vapor la invita, ond' empie
L' aere il caffè che preparato fuma
In tavola minor cui vela ed orna
1040 Indica tela. Ridolente gomma
Quinci arde intanto; e va lustrando e purga
L'aere profano, e fuor caccia de' cibi
Le volanti reliquie. Egri mortali
Cui la miseria e la fidanza un giorno
1045 Sul meriggio guidare a queste porte,
Tumultuosa, ignuda, atroce folla
Di tronche membra e di squallide facce
E di bare e di grucce, or via da lungo
Vi confortate, e per le alzate nari
1050 Del divin prandio il nettare beete
Che favorervol aura a voi conduce;
Ma non osate i limitari illustri
Assediar, fastidioso offrendo
Spettacolo di mali a chi ci regna.
1055 E a te, nobil garzon, la tazza intanto
Apprestar converrà, che i lenti sorsi
Ministri poi de la tua bella ai labbri ;
E memore avvertir s' ella più goda
O sobria o liberal temprar col dolce
1060 La bollente bevanda; o se più forse
1032. prima di t., a lei t'accosta, — 1057. t'invita — 1038. L'aria — 1010. Redolente
C. — 1042. del cibo — 104t. Che V. (B., CI., C.) — 1018. ora da lungi or via da
lungi B. — 1019. per le aperte — 1050. «pranzo — 1051. a i nostri er^i. V. (B. CI., C).
— 1055. A te C. — 1055-'58. Or la piccola tazza a te conviene Apprestare o Signor,
che i 1. s. Ministri poi do la tua Dama ai 1., Or memoro — 105'J. con dolce C.
1040 sg. Olens è passato abbastanza pisce e avviva, si ridurrebbe a questo:
vivace nella nostra lingua poetica, ma i poveri si consolino con l'odore. — bare,
redolens no. E tra i latinismi troppo le barelle su cui giacciono infermi. —
crudi andrebbe anche posto, credo, il per le alzate nari (che fa imagme meglio
prossimo va lustrando, delle purificazioni che aperte), ricorda l'oraziano, sat. H
rituali, ma Te purga soggiuntovi com- 7, 3S, « nasum nidore supinor ». — a chi
pie e, direi, volgarizza il va lustrando. ci regina: tengo la 1' lez. per le stesse
1043-'54. Egri mortali... È un movi- ragioni per cui tenni quelle ai versi 355
mento improvviso, animato e pieno di e 629 de H Mattino. — Assediar, fa.tl-
rivolta. 11 pensiero, spoglio della veste dieso...: nota i suoni strascicati come
che non soltanto lo adorna ma lo com- i-ispondenti alla cosa.
IL MEZZOGIORNO 123
L' ami cosi come sorbir la suole
Barbara sposa, allor che, molle assisa
Su' broccati di Persia, al suo signore
Con le dita pieghevoli il selvoso
1065 Mento vezzeggia, e, la svelata fi'onte
Alzando, il guarda; e quelli sguardi han possa
Di far che a poco a poco di man cada
Al suo signore la fumante canna.
Mentre il labbro e la man v'occupa e scalda
1070 L' odorosa bevanda, altere cose
Macchinerà tua iufaticabil mente ;
Quale oggi coppia di corsier de' il carro
Condur de la tua bella ; o 1' alte moli
Che per le fredde piagge educa il Cimbro,
1075 O quei che abbeverò la Di-ava, o quelli
Che alle vigili guardie un di fuggirò
Da la stirpe campana. Oggi qual meglio
Si convenga ornamento ai dorsi alteri:
Se semplici e negletti, o se pomposi
1080 Di ricche nappe e variate stringhe
Andran su 1' alto collo i crin volando ;
E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie
Ondeggeranno li ritondi fianchi.
Quale oggi cocchio trionfanti al corso
1035 Vi porterà : se quel cui l' oro copre
Fulgido al sole, e de' vostr' alti aspetti
Per cristallo settemplice concede
Al popolo beai'si, o quel che, tutto
1061. Sorbir la gode V. (B. ma sorbirla, CI., C.) 1063. Ne' broccati V. (B., CI., C.)
— 1064. pieghevoli '1 selvoso — 1069. i labbri V. (B., CI., C.) — 1070. L'odoroso licor,
sublimi V. (B., CI., C). — 1071. Macbiaerà CI. — 1072. sg. Qual coppia di destrieri
oggi de' il carro Guidar de la tua Dama — 1073. dama B. — 1074. Che su le — 1 78.
Si convegna V. (B., CI., C.) — !086 sgg. O quel su le cui tavole pesanti Saggio pennello
i dilicati finse Stmli dell'ago, onde si fregia il capo E il bel sen la tua Dama; e pieni
vetri Di freschissima linfa e di fior varj Gli diede a trascinar. (A trascinar gli die V).
1061. COSÌ come..., cioè senza zuc- Wnni della var. Ogauiio ricorda il Petr.
chero. « Stiamo, Amor, a veder la gloria no-
1062-'68. Barbara sposa... La deter- slra. Cose sopra natura altere e nove >.
mina poi per la donna di un turco, e fa, lOTS-'??. o l'alte moli... O cavalloni di
al solito, la scena; mirabilmente, e non razza germanica, o cavalli ungheresi,
meno opportunamente, perché anche o cavalli napoletani di razze riservate,
qui c'è una sposa, pur non barbara, e quali è un caso poter avere,
un suo signore, servente. — la svelata 10S5-'92. In questi versi, assai più
fronte, che fuori e per gli altri le donne efficacemente rappresentativi di quelli
turche velano. scritti prima, son contrapposti due tipi,
1070. altere cose : più eletto che il su- molto differenti tra loro, di carrozze.
124 IL MEZZOGIORNO
Caliginoso e tristo e a la marmorea
1090 Tomba simil che de' vostr' avi chiude
I cadaveri eccelsi, ammette a pena
Cupido sguardo altrui. Cotanta mole
Di cose a un. tempo sol nell' alta menta
Rivolgerai; poi col supremo auriga
1095 Ardao consiglio ne terrai, non senza
Qualche lieve garrir con la tua dama.
Servi 1' aui-iga ogni tua legge ; e intanto -
Altra cura subentri. Or mira i prodi
Compagni tuoi che, ministrato a pena
UGO Dolce conforto di vivande a i membri.
Già scelto il campo e già distinti in banda,
Preparansi giuocanJo a fieri assalti.
Cosi a queste, o Signore, illustre inganno
Ore lente si faccia. E s'altri ancora
1105 Vuole Amor che s'inganni, altronde pugni
La turba convitata, e tu da un lato
Sol con la dama tua quel gioco eleggi
Che due soltanto a un tavoliere ammetta.
Già per ninfa gentil tacito ardea
1093 Bg. nell'alto ingegno Tu verserai ; V. (B., mane l'alto, CI., C.) — 1097. Servi le
leggi tue l'auriga: — 1098 8gg. Altre v' occupin cure. Il gioco puote Ora il tempo ingan-
nare: ed altri ancora Forse ingannar potrà. Tu il gioco eleggi Glie due soltanto a un
tavoliere ammetta ; Tale Amor ti consiglia. Occulto ardea Già di ninfa gentil misero
amante, — 1102. giocando B., CI., 0. — 1103. o Signor B. — 110'\ altrove C.
Leggendo, noi ci figuriamo prima una e lentezza di questo vedemmo già, il
di quelle berline settecentesche tutte il/a«f. 8 sgg.: qui il concetto e la parola
fregi e cristalli, e poi uno di quei grandi ingannare è ripetuta in senso proprio
legni scuri con a pena un piccolo cri- s'altri ancora Tnole Amor che s'inganni,
stallo, che hanno veramente qualcosa di oh' è avviamento alla piccola fantasia
sepolcrale. (Solo può parere che qui l'ag- su l'invenzione di un gioco. — altrondr,
giunta che de' Tostr'avi chiude I cadaveri per altrove, non senza esempi.
eccelsi non sia utile né felice). 1107 sg. e tn qnel gioco eleggi Che due
1094. Kivolgerai: lavar. Tu verserai soltanti) a un tavoliere ammetta: il tric-
è troppo latina; cfr. il Mali. 714 e la trac. « L'on ne peut jouer que deux eii-
nota. semble», (di regola; c'è poi qualche
1098-1106. Da prima il passaggio alla compromissione), leggo nella Académie
scena del gioco era troppo rapido, e la universelle desjeux avec des inserite-
scena ristretta sùbito alla coppia privi- tions faciles pour aprendre à les bien
legiata. Quindi molto opportuno l'am- jouer, nouv. ed., Amsterdam 1758, ove
pliamento. — a queste, o S., Illustre in- il gioco del Trictrac, comme on le joue
ganno Ore lente si faccia: uno dei rari aujourd'hui, ha il suo ampio trattato
casi che quest' intrecci di parole alla nella parte 2' a pagg. 29-106, preceduto
maniera classica non sian riusciti feli- da una lesta canzone.
cissimi al P., fors' anche per le troppe 1109. Già por ninfa gentil ... Il primo
desinenze simili. Ingannare il tempo capitolo del libro innanzi citato, che è
IL MEZZOGIORNO 125
Ilio D'insoffribile ardor misero amante,
Cui nuli' altra eloquenza usar con lei
Fuor che quella degli occhi era concesso;
Poiché il rozzo marito, ad Argo eguale,
Vigilava mai sempre, e, quasi biscia
1115 Ora piegando or allungando il collo.
Ad ogni verbo con gli orecchi acuti
Era presente. Oimé ! come con cenni,
O con notate tavole giammai,
0 con servi sedotti, a la sua bella
1120 Chieder pace ed aita? Ogni d'Amore
Stratagemma finissimo vinceva
La gelosia del rustico marito.
Che più lice sperare ? Al tempio ei viene
Del nume accorto che le serpi annoda
1125 All' aurea verga, e il capo e le calcagna
D' ali fornisce. A lui si prostra umile,
E in questi detti lagrimando il prega:
« 0 propizio agli amanti, o buon figliuolo
De la candida Maia, o tu che d'Argo
1130 Deludesti i cent' occhi, e a lui rapisti
1113. Poi che B. — 1118. con notata tavola — 1119. a la sua ninfa — 1121. vin-
cea coi R. tutti — 1123. ei corre — 1124. intreccia (0.) — 1125. A l'aurea B. — 1127. E
in questa guisa
Del'excellence de ce Jeu et de Vorigine celebrasse il BeZ mondo, non doveva
de son nom, incomincia cosi: « Je ne passare in silenzio quel gioco, ed era
dirai rien de l'antiquité dece Jeu,etje ben giustificato se, mentre per l'anti-
n'entreprendrai pas de décider si ce chità di quello si dubitava tra due po-
sont les Francois ou les Alleinaiids qui poli a chi attribuire la gloria dell'averlo
en ont été les inventeurs : je sgai qu'il inventato (e in vero poi sembra de' gio-
y a eu des gens qui ont donne cette chi originari di Persia, né senza afR-
gloire aux Allemands, et que plusieurs nità coti giochi del mondo classico), egli
autresl'ont attribuéeauxFran50is;mais lo faceva rivelazione di un dio.
je crois que si l'on en juge par ce qui 1113. ad Argo eguale, dai cento occhi
nous parolt journellement, l'on se de- insonni, rimasto in proverbio; «custos
terminerà facilementenfaveur des Fi'an- virgiuis Ai'gus », in Virgilio, cioè del-
gois, et que l'on conviendra qu'onjoue l' argiva Io, da Giunone per gelosia di
mieux ce beau Jeu à la Cour de Fran- Giove mutata in giovenca,
ce, qu'à celle de Vienne. L'excellence, 1116. gli orecchi acuti, in ascolto, iu-
la beante et la sincérité qui se rencon- teuti; come in Or. o. ii 19, 3 «aures Ca-
trent dans ce Jeu, font que le beau monde pripedum Satyrorum acutas» ascoltando
qui a de la politesse s'y aplique avec Bacchum docentem.
beaucoup de soin, en fait son Jeu favori 1118. Cangiando notata tavola in no-
et le préfère aux autres Jeux. En effet, tate tavole ha attenuato il cattivo suono
ce beau Jeu a tant de noblesse et de e insieme resa col plurale più propria
distinction, que nous voìons qu'il est l'espressione ; so-jpfis faèeiits, « con in-
plus à la mode que jamais : ... ». Dunque cise tavolette »» o eia « scrivendo let-
a quegli anni un poeta che, come il P., tere ».
126 IL MEZZOGIORNO
La guardata giovenca, i preghi accogli
D' un amante infelice ; e a me concedi,
Se non gli occHi ingannar, gli orecchi almeno
D' un marito importuno >. Ecco si scote
1135 II divin simulacro, a lui si china,
Con la verga pacifica la fronte
Gli percote tre volte ; e il lieto amante
Sente dettarsi ne la mente un gioco
Che i mariti assordisce. A lui diresti
1140 Che l'ali del suo pie concesse ancora
Il supplicato dio; cotanto ei vola
Velocissimamente a la sua donna !
Là bipartita tavola prepara,
Ov' ebano ed avorio intarsiati
1145 Regnan sul piano, e partono alternando
In due volte sei case ambe le sponde.
Quindici nere d' ebano rotelle,
E d'avorio bianchissimo altrettante,
Stan divise in due parti, e moto e norma
1150 Da due dadi gittati attendon, pronte
Gli spazi ad occupar e quinci e quindi
Pugnar contrarie. Oh cara a la Fortuna
Quella che corre innanzi all' altre, e seco
Ha la compagna, onde il nemico assalto
1155 Forte sostenga! Oh giocator felice
Chi pria 1' estrema casa occupa, e 1' altro
Degli spazi a sé dati ordin riempie
Con doppio segno : ei trionfante allora
Da la falange il suo rivai combatte,
1160 E in proprio ben rivolge i colpì ostili !
1131. accetta — 1132, a lui concedi — 1133. Il C. modifica V interpune. co${ Se non
gli occhi, ingannar gli o. a. l'orecchio B. — 1131 8g. D'importuno marito. V. (B., CI.
C.) s'inchina V. (B., CI.) — 1143. La B., C. — 111'"-. In dodici magioni — 1147. girelle
— 1150. Da duo V. (CI., C.) — 1151. Ad occupar le case — 1154. Trae V. (B., CI., C.)
— 1157, De le proprie magioni — 1158. Con d. s., e quindi poi, securo
1133. Se non gli occhi ingannar, gli Con ciò il p. riserva per sé di descri-
orecchi almeno... : è bene a proposito vere il gioco.
questa discrezione di preghiera; il dio 1143. Là: cioè presso alla sua don-
deluse gli occhi, e il devoto chiede d'in- na; quando è giunto da lei. Male l'av-
ganuar gli orecchi. verbio ha perso l'accento restando ar-
1137 8g. si scote II dirin simulacro : ticolo in talune edizioni (Bramieri e
il simulacro della divinità si avviva e Cantù).
move innanzi di rispondere la sua ta- 1143-'60. In questo tratto è una com-
cita risposta. pendiosa descrizione del gioco del trtc-
1133. Sente dettarsi ne la mente: gl'in- trac, la quale, benché accurata, ha il
fonde l'insegnamento, non glielo dice, difetto proprio alle descrizioni compen-
IL MEZZOGIORNO
127
Al tavolier s' assidono ambìdue,
L'amante cupidissimo e la ninfa:
Quella lina sponda ingombra e questi 1' altra.
Il marito col gomito s' appoggia
11G5 All'un de' lati; ambo gli orecchi tende,
E sotto al tavolier di quando in quando
Guata con gli occhi. Or 1' agitar dei dadi
Entro ai sonanti bossoli comincia ;
Ora il picchiar de' bossoli sul piano;
1170 Ora il vibrar, lo sparpagliar, l'urtare,
Il cozzar de i duo dadi, or de le mosse
Pedine il martellar. Torcasi e freme
Sbalordito il geloso: a fuggir pensa,
Ma rattienlo il sospetto. Il romor cresce,
1175 II rombazzo, il frastono, il rovinio:
Ei più regger non puote ; in piedi balza,
E con ambe le man tura gli orecchi.
Tu vincesti, o Mercurio: il cauto amante
Poco disse, e la bella intese assai.
1163. Quella occupa una a. e — 1165. ambi — 1168. Eoti-o a souanti V. (CI , C.)
1171. de' due — 1172. Rotelle V. (B.) — 1174. Il fragor V. (B., CI., 0.)
diose di cosa complicata alquanto; che
le descrizioni, mentre la cosa è usitata,
sembrano chiare, poi si oscurano col
disusare di quella. Né voglio né devo
insegnarvi a giocare, scrive il Cantiì,
pur non senza cercar di esporre in com-
pendio i caratteri del gioco : e certo
giova averne 1' idea per inté'ndere il
passo pariniano, pur lasciando che cer-
chi altrove (e a ciò soccorrono le buone
enciclopedie) chi voglia bene istruirsi ;
né, del resto, è gioco abbandonato del
tutto né da per tutto. Avendo innanzi
un trictrac, s' intende l'opportunità di
aver mutato le dodici magioni del v.
1146, classicamente, in due Tolte sei case;
per un rilievo che traversa in mezzo il
tavoliere. Le case del trictrac non sono
quadrate ma allungate in forma di frec-
ce 0 cuspidi. Ma basti, e mi par quasi
dia il colore del tempo, trascrivere dal
libro citato, e propriam. dal Diction-
natre des termes du Trictrac, quella
che dovrebb'essere la definizione : « Tric-
trac, jeu qui se joue avec deux dés, sui-
vant le jet desquels chaque Joueur aìant
quinze dames, les dispose artistemente
sur des pointes marquées dans le tablier,
et selon les rencontres, gagne ou perd
plusieurs points, dont douze fontgagner
une partie, et les douze parties, le tour,
ou le jeu. — Trictrac: se dit aussi du
tablier sur lequel on joue le jeu, qui
est de bois ou d'ébène, qui a d'assez
grands rebords pour arréter les dés
qu'on jette, et retenir les dames qu' on
arrange». — Il P. al v. 1149 e segg. di-
ce appunto come le pedine sian collocate
e mosse secondo i numeri presentati dai
due dadi; ma la norma che vien da essi
può essere seguita e praticata in più
modi, e si tratta di praticarla artiste-
ment. Arte e fortuna è di riuscire a
occupare tutte le proprie case (occu-
pare l'estrema casa) e attaccare quelle
dell' avversario.
1163. Quella ... e «lesti...: non sem-
pre lo scrittore classico riferisce il di-
mostrativo Quello al nome materiato,
più lontano e questo al più vicino; ma
Questo è la cosa o persona che logicam.
ha più importanza, e qui è l'innamorato.
1 179. Poco dis e, cogliendo il momento
elle il marito avea gli orecchi turati.
128
IL MEZZOGIORNO
1180 Tal ne la ferrea età, qiiando gli sposi
Folle superstizion chiamava all' arme,
Giocato fu. Ma poi che 1' aureo fulse
Secol di novo, e che del prisco errore
Si spogliaro i mariti, al sol diletto
1185 La dama e il cavalier volsero il gioco
Che la necessità^ trovato avea.
Fu superfluo il romor: di molle panno
La tavola vestissi e de' patenti
Bossoli '1 sen : lo schiamazzio molesto
1190 Tal rintuzzossi ; e durò al gioco il nome
Che ancor l'antico strepito dinota.
1181. armi a l'armi B. — 1182. l'aureo venne V. (B., CI.) — 118G. scoperto
1180 sgg. Tal... Ma poi... Potenti pa-
rere un po' caricale le tinte : ecco iu fatti
che il p. distingue : una volta era cosi,
ora no. Egli cioè ha esagerato alquanto,
in servigio della sua invenzione mitolo-
gica e movendo forse dal nome stesso
del gioco, non che dall' indole di esso.
— l'aureo false : poiché segue secol, al
P. dovè spiacere l'incontro : a ragione
il Cantù non accettò la var. venne. —
In quanto alla folle snperstizion e al pri-
sco errore, cfr. il Matt. 461-'65, la Notte
589 sg. , ma specialm. ricorda il passo
qui de H Mezzog. 167-207.
11S9. de' patenti bossoli, entro cui si
agitano i dadi.
1190 Sg. darò al gioco 11 nome Che...
Citiamo anche una volta quel trattato
del 1758, il quale conosce anche un'al-
tra etimologia del nome trictrac: dal
greco 1 Sarebbe TQig vQaxi, e andrebbe
interpretato « trois fois diffìcile»! E
difficile tal gioco fu comunemente giu-
dicato; né da alcuno può o potè sul
serio esser messo in dubbio che non sia
orvomatopeica la parola che lo designa,
come appunto qui dice il poeta.
IL VESPRO
10
Ma degli augelli e de le fere il giorno
E de' pesci sqiiammosi e de le piante
E dell' umana plebe al suo fin corre.
Già sotto al guardo de la immensa luce
Sfugge l' un mondo ; e a berne i vivi raggi
Cuba s' affretta e il Messico e 1' altrice
Di molte perle California estrema:
E da' maggiori colli e dall' eccelse
Ròcche il sol manda gli ultimi saluti
All' Italia fuggente, e par che brami
Rivederti, o Signor, prima che l'Alpe
Le varianti che si segnano qui dei versi iniziali 1-25 rappresentano la lezione di
questo passo qutle fu edito dall'autore in fine del Mezzogiorno. Qui e in séguito le le-
zioni distinte dalle solite sigle B., Ct., C. sono particolarità di quelle edizioni.
1-4. Già de le fere e degli augelli il giorno E de' pesci notanti e de' fior varj, Degli
alberi, e del vulgo al suo fin corre. Di sotto al guardo dell'immenso Febo — 2. squa-
mosi C. — 3. de l'umana B. — 8 sg. Già da' maggiori colli e da 1' eccelso Torri da
maggiori B. col testo del Reina ma non è dubbio che l'apostrofo cadde da l'eccelse B.
— 10. All'Italia, fuggente; — A l'Italia B. — 11. R., o Signore, anzi che l'Alpe
I. Ma... Non è raro, in poemi divisi
il) più parti, che un nuovo canto co-
minci con una copulativa o un'avversa-
tiva. Ricorda Virgilio Aen. IV 1 « At re-
.gina gravi iamJudum saucia cura...».
Di questo principio (vv. 1-25), ove la
bellezza della poesia e la fierezza della
satira toccano il punto pii'i alto in una
perfezione d'arte maravigliosa, notiamo
piccole cose; le gi'undi si rivelano da sé.
4. Prima avea nominato il sole, anzi
Febo, poi corresse 1' inimetisa luce,
espressione che con la maggior largliez-
za dell' astratto è più potente e, prece-
dendo sotto al guardo, non meno chiara.
5. Sfugge l'nn mondo. Fu delle prime
volte che anche in poesia si fé' stare il
sole e andare la terra; la verità prestò
nuovaelBcaciaalpoeta. — Cuba... Messico
e... California, cioè l'emisfero occiden-
tale, cosi designato in ordine procedendo
da oriente verso occidente. — altrice DI
molte perle, cioè nel cui mare abbondano
le perle, altrice, come altor nel Man-
zoni, da al^re latino, che è nutrire e
quindi anche produrre.
8-13. Quanto più è bello, solenne,
pieno della grandezza malinconica del
Pakini — Albini
9
130
IL VESPRO
O l'Ap^pennino o il mar curvs ti celi
Agli occhi suoi. Altro tìnor non vide
Che di falcato mietitore i fianchi
15 Su le campagne tue piegati e lassi,
E su le armate mura or braccia or spalle
Carche di ferro, e su le aeree capre
Degli edifici tuoi man scabre e arsicce,
E villan polverosi innanzi ai carri
20 Gravi del tuo ricolto, e su i canali
E su i fertili laghi irsuti petti
Di remigante che le alterne merci
A' tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia
25 Che da tutti servito a nullo serve.
Pronto è il cocchio felice. Odo le rote,
Odo i lieti corsier che all' alma sposa
E a te, suo fido cavalier, nodrisce
Il placido marito. Indi la pompa
30 Affrettasi de' servi ; e quindi attende,
16. mura or fronti or spalle — 21. irsute braccia
CI. — 24. Tult' ignobili aspetti. — 27. a l'alma B.
Al tuo comodo commodi
tramonto = il Sol manda gli ultimi
saluti A l'Italia fuggente =; tanto è
pili acre irrisione farvi seguire imme-
diatamente = e par che brami Rive-
derti, 0 Signor... = il mar curvo, quale
appare dal sole e quale è per la legge
di gravitazione.
11 sg. falcato mietitore, cfr. Il Mezzog.
629 e n., e Alamanni Coltiv. II 33 « Prenda
il buon mietitor la lunga falce ». — i
fliinchi... piegati e lassi, icastico e vivo.
— SD le armate mura, fortificate, si usa
intendere: ma, poiché dev'essere cosa
di stretta attinenza al Giovin signore,
fors'è tutt' uno col concetto seguente. —
8 I le aeree capre, le impalcature alte, e
propriam. i sostegni su cui esse arma-
ture s'innalzano (detti capre, cfr. caval-
ietti, dall'aver quattro piedi). — aeree,
cfr. in Virgilio «aerine quercus ».
19 sg. Erillan polverosi...: che portano
il grano a' tuoi granai. Superfluo notare
la verità della rappresentazione, la bel-
lezza delle parole, la lentezza de'suoni.
20. su i canali E su 1 f rtili laglil...:
un solo aggeitivo, e vediam verdeggiare
le rive de' bei laghi lombardi. — le al-
terne, or le une or le altre. A' tuoi co-
modi: inchiude l'eleganza di un latini-
smo {cominoda) e l'efficacia dell'uso e
significato volgare.
15-25. Sa le campagne tue... Degli edi-
fici tuoi... Gravi del tuo ricolto.,. A' tuoi
comoii... ed al tuo lusso: avverti gran
forza nel ripetersi insistente del pos-
sessivo tuo. A cui segue, quasi com-
pendio della lunga e viva enumerazione
di lavoratori. Tutti ignobili aspetti; e
quiiìdi per contrapposto Or colui veggia
Che da tutti servito a nullo strie. Puoi
ricordare il Matt. 47l-"S9.
26-29. il coffliio felice, destinato a tal
coppia. — i lieti corsier: mentre lieti
accoglie un senso come felice qui in-
nanzi, dice anche la vera alacrità dei
cavalli animosi, di buona razza e poca
fatica. Del resto, è da ricordare il Matt.
1017 «t'appresta a render baldi e lieti
Del tuo nobile incarco i bruti ancora ».
— all'alma Sposa E a te... : per voi.
29-35. la pompa, cfr. il Matt. 170. —
e quindi attende,.. Candida gloventd...;
IL VESPRO 131
Con insigni berretti e argentee mazze.
Candida gioventù che al corso agogna
I moti espor de le vivaci membra,
E nell' audace cor forse jn-esume
35 A te rapir de la tua bella i voti.
Ciie tardi ornai ? Non vedi tu com' ella
Già con morbide piume ai crin leggeri
La bionda clie svanì polve rendette;
E con morbide piume in su la guancia
40 Fé' più. vermiglie rifiorir che mai
Le dall' aura predate amiche rose ?
Or tu, nato di lei ministro e duce,
L' assisti all' opra ; e di novelli odori
La tabacchiera o i bei cristalli aurati
45 Con la perita mano a lei riutègra:
Tu il ventaglio le scegli adatto al gioruo,
E tenta poi fra le giocose dita
Come agevole scorra. Oli qual con lieti,
Né ben celati a te, guardi e sorrisi
50 Plaude la dama al tuo sagace tatto !
Ecco, ella sorge e del partir dà cenno:
Ma non senza sospetti e senza baci
31. ne l'audace B. — 40. vermiglio CI. — 41. da l'aura B. — 43. a l'opra B.
necessità di cose porta che qui si ripeta il belletto » (M.).
(ma avverti cou quanta varietà) una 42. mioistro e duce: parole che suo-
circostanza che è simile su la fine nano volentieri unite da che Dante le
de V Matt., quando, essendo il Giovin uni, Inf. vii 78.
signore per uscire in carrozza, della 43-15. e di norelli odori ... rlntègra:
bipartita schiera dei servi « altri già riempile della polvere e delle essenze
pronto via se ne corre ad annunciare odorose la tabacchiera e le boccettiue
al mondo Che tu vieni a bearlo»; Caa- fregiate d'oro. — rlntègra, reJM^gfir»'», in
dida giorentii, dal color delle vesti; Coa generale questo verbo, come il lat. in-
insigni berretti, che spiccano, perché «e(?ro, significa* ristorare, rinnovare »;
piumati o gallonati (per l'agg., mollo qui ha dal testo un più particolare si-
classico, cf. p. es. Aen. v 310 « equum guifìcato, «riempi, rifornisci»,
phaleris insignem »). — al corso agogna 47 sg. tenta, « prova, saggia, speri-
I moti espor..., cioè far vedere nella menta»; ricorda il Matt. 500, e' cf. la
corsa l'agilità. « Quanto ai vv. 34-35, che A'otte 429, dove significa più precisa-
le speranze loro non fossero troppo ir- mente « toccare, provare toccando ».
reverenti e audaci mostrano le cronache Latinismo l'uno e l'altro. — Come age-
scaadalose di Milano nel sec. xviii; e Tole..., maneggevole, trattabile (cf. il lat.
a quelle speranze il P. accenna appunto habilis): anche ne la Notte 622 «Age-
perché certi fatti gli eran noti» (M.). K voli ventagli».
puoi cf. la Notte 770-'71. 48 sg. con lieti Né ben celati a te, guardi
36-41. con morbide pinme, «col più- e sorrisi: la compiacenza di lei traspa-
màcciolo che serve a dare la cipria, e risce e non ti sfugge.
con gli altri si fatti che servono a dare 52-55» non senza sospetti e senza baci:
132
IL ve;spro
A le vergini ancelle il cane affida,
Al par de' giochi, al par de' cari figli
55 Grave sua cura: e il misero dolente,
Mal tra le braccia contenuto e i petti.
Balza e guaisce in suon che al rude vulgo
Ribrezzo porta di stridente lima,
E con rara celeste melodia
60 Scende agli orecchi de la dama e al core.
Mentre cosi fra i generosi affetti
E le intese blandizie e i sensi arguti
E del cane e di sé la bella obblia
Pochi momenti, tu di lei più. saggio
G5 Usa del tempo; e a chiai'o speglio innante
I bei membri ondeggiando alquanto libra
Su le gracili gambe; e con la destra.
Molle verso il tuo sen piegata e mossa.
Scopri la gemma che i bei lini annoda,
70 E in un di quelle ond' hai si grave il dito
L'invidiato folgorar cimenta:
Poi le labbra componi, ad arte i guardi
Tempra qual più ti giova, e a te sorridi.
GJ. oblia CI.
qui il non sema, cf. il Matt. 587 in n.,
ha tutta la sua efficacia : con mille pau-
re, con mille baci. — A le vergini ancelle,
espressione epica, qui eroicomica. —
G'raTC sua cura, cioè che le sta a cuore
non meno!
55-60. e il misero dolente, due agget-
tivi di cui sostantivato il secondo;
espressione patetica. — Mal tra le br.
contenuto e i p. Balza: rende i tentativi,
i guizzi della bestiola per liberarsi e
correr dietro alla padrona. — e guaisce
in Buon che... : che spiace, che fa ag-
gricchiare il sangue; ma nota l'imagine,
e il suono con che l'imagine è resa. —
E : non è congiunzione semplice ma con
intensità avversativa, « e pure, e intan-
to ». — Scende, giunge, perviene; e però
si adatta con proprietà a tutti e due i
termini; agli orecchi e al core.
61-63. fra i generosi aSTetti : avverti
che la specificazione E del cane e di sé
si estende anche a questo pi-imo termi-
ne ! — le intese blandizie e 1 sensi arguti,
le carezze e tenerezze delicate: tra il
cane e la dama s' intendon bene. Ri-
corda « in suo tenor vendetta Chieder
sembroUe ».
64 sg. Pochi momenti. Oggetto di ob-
blia: dimentica un po' il tempo; a cui
si contrappone tu... Usa del tempo.
67 sg. I bei membri ondeggiando al-
quanto libra Su le gracili gambe: ognun
vede i movimenti con che quel figurino
si esamina e si approva. Quanto all'agg.,
ricorda Orazio e. i 5, 1 « Quis multa gra-
cilis te puer in rosa Urget... », ove firra-
ciiis j/uer vale « di sveltezza elegante,
sottile, snello» (gr. iaxvóg); in questo
senso leggeremo « la gracil mano » di
Amore, <a NoUel2i: è di quelle parole,
utili e consuete al P., che classicam. e
volgami, suonano diverse; v. qui sotto
ai vv. SSe-'S?. E ricorda il Matt. 780
« L' agili membra » e il Mezzog. 641
« scarze le membra » ; sopra tutto cfr.
qui appresso al v. 356 « de le stese
gambe La snellezza ».
72 sg. i guardi Tempra...: studiato au-
che lo sguardo, provato il sorriso !
IL VESPRO
133
Alfin tu da te sciolto, olla dal cane,
76 Ambo alfiu v' appressate. Ella dai lumi
Spande sopi'a di te quanto a lei lascia
D'eccitata pietà l'amata belva;
E tu sopra di lei dagli occhi versi
Quanto in te di piacer destò il tuo volto.
80 Tal seguite ad amarvi: e iasierao avvinti,
Tu a lei sostegno, ella di te conforto,
Itene ornai de' cari nodi vostri
Grato dispetto a provocar nel mondo.
Qual primiera sarà che dagli amati
85 Voi sul vespro nascente alti palagi
Fuor conduca, o Signor, voglia leggiadra?
Fia la santa Amistà: non più feroce
Qual ne' prischi eccitar tempi godea
L'un per l'altro a morir gli agresti eroi;
90 Ma placata e innocente, al par di questi,
Onde la nostra età sorge si chiara.
Di Giove alti incrementi. Oh, dopo i tardi
De lo specchio consigli, e dopo i giochi,
Dopo le mense, amabil dea, tu insegni
95 Come il giovin marchese al collo balzi
Del giovin conte e come a lui di baci
90. pacata C.
lA-l'è. Alfln tn da te sciolto, ... destò il
tuo Tolto. « A qualcuno può parere pas-
sato il segno dell'ironia in questi versi.
Ma rendono crudamente bene il duro
egoismo di quelle anime vane » (Card.
p. 251). Il elle non toglie che le acu-
tezze vi siano veramente estreme. I^a
dama deve spargere dagli occhi sul ca-
valiere i resti dell' affettuosa commo-
zione provata (la eccitata pietà) nello
staccarsi dal cane (l'amata belva : poiché
belua in lat. è ogni animale bruto, quan-
tunque specialm. bestia grossa, il P.
tenne usando questa parola la stessa
norma che usandone altre, come ozi,
gracile..., ma con meno felice opportu-
nità) ; il cavaliere, manco male, dee ri-
flettere e riversar su la dama la lieta
compiacenza sentita nello specchiarsi.
80-83. Quasi a compensare e conchiu-
dere le raffinate sottigliezze precedenti,
ecco un tetrastico limpido e corrente.
— Grato dispetto, o sia, che a voi sarà
di sodilisfazione maggiore.
87-92. la santa Amistà,... qnal... godea:
nota la compendiosa eleganza del co-
strutto, in vece di « quale era ne' pri-
schi tempi quando... ». — L'un per l'al-
tro a morir...: v. qui appresso ai vv. ll:<
sg. ; se altri esempi speciali il p. ebbe
in mente, dovè esserci quel di Damone
e Pizia. — agresti eroi, cioè selvaggi,
barbari : in contrasto all'amicizia pla-
cata e innoceute di chi naturalmente il
sangue aborre. — placata, contrario a
feroce ; è, del resto, forma che il P. pre-
feriva a, pacato: ricorda «Orecchio ama
pacato La Musa». — Di Giove alti incre-
menti: i giovini signori, celeste prole, di-
vina schiatta ecc. È nota frase di Virgi-
lio, solennissima, Bue. iv 49 «Cara deum
suboles, magtium lovis incrementum ».
92 sg. i tardi De lo specchio consigli:
lunghi, che domandan tempo.
96 sg. di baci Le gote imprima: più
eletto che ' imprima baci su le gote '.
134
IL VESPRO
Le gote imprima, e corno il braccio aunoJe
L' uno al braccio dell' altro, e come insieme
Passeggino, elevando il molle mento
100 E volgendolo in guisa di colomba,
E palpinsi e sorridansi e rispondansi
Con un vezzoso tu. Tu fra le dame
Sul mobil arco de le argute lingue
I già pronti a scoccar dardi trattieni,
105 S' altra giugne improvviso a cui rivolti
Pendean di già: tu fai che a lei presente
Non osìn dispiacer le fide amiche ;
Tu le carche faretre a miglior tempo
DI serbar le consigli. Or meco scendi,
110 E i generosi ufici e i cari sensi
Meco detta al mio eroe; tal che famoso
Per entro al suon de le future etadi
E a Pilade s' eguagli e a quel che trasse
II buon Teseo da le tenarie foci.
115 Se dai regni che l'alpe o il mar divide
Dall' italico lido in patria or giunse
11 caro amico, e dai perigli estremi
Sorge d' arcano mal che in dubbio tenne
Lunga stagione i fisici eloquenti;
120 Magnanimo garzone, andrai tu forse
Trepido ancora per 1' amato capo
104. rattieni C.
100. in guisa di colomba, emistichio
petrarcliesco, son. Io son si stanco v.
13; ma qui da ossei'vazione vera, di
quello speciale modo (noi diciamo or-
goglioso, e fa parte àeWovgoglio che
Dante attribuì a' colombi) con che il co-
lombo volge il capo.
102-''08. Tu fra le dame...: se pi-ima
ha esemplificato con nullaggini gli offici
della nova amicizia, qui la satira in-
calza : si dà pei" officio amichevole il
sospendere la maldicenza a carico d'una
amica al sopraggiungere di essa, e ca-
rezzar lei presente, e di lei assente tor-
nare a dir male; amicizia queste mali-
gnità e piccole ipocrisie ! Nota il verso
Sul mobil arco de le argute lingue che
vale, ma con eleganza, lingue lunghe e
malediche. — Pendean di già, cioè era-
no già pronti a scoccar.
113 sg. a Pilude s'eg:iagll, del quale
l'amicizia con Oreste è gloriosa nell'an-
tico e nel moderno teatro; e a quel che
trasse il buon Teseo (che a sua volta era
disceso in Averno per Piritoo), Ercole:
cf. la Gratitud. 211:
... d'Alcide e di Teseo
Suona che da le vive
Genti a le inferno rive
L'ardente cortesia scender poteo.
da le tenarie foci, Wvg. Gè. tv iòl « Tae-
narias etiam fauces, alta ostia Ditis » :
al e. Tònaro (Matapan) iu Lacouia una
caverna era creduta bocca dell' in-
ferno.
119. 1 asicl, i medici. — eloquenti, che
sul dubbio caso discorrono a lungo e
sanno dire molte belle cose.
121. per l'amato capo, per la cara vi-
ta: è bellissima espressione, frequente
IL VESPRO
135
A porger voti sospirando ? Forse
Con alma dubbia e palpitante i detti
E i guardi e il viso esplorerai de' molti,
125 Che il giudizio di voi, menti si chiare.
Fra i primi assunse d'Esculapio alunni?
0 di leni origlieri all' omer lasso
Porrai sostegno, e vital sugo ai labbri
Offrirai di tua mano? Oppur, con lieve
130 Bisso il madido fronte a lui tergendo,
E le aurette agitando, il tardo sonno
Inviterai a fomentar con 1' ali
La nascente salute? Ah! no; tu lascia,
Lascia che il vulgo di si tenui cure
135 Le brevi anime ingombri ; e d' un sol atto
Rendi 1' amico tuo felice appieno.
Sai che fra gli ozi del mattino illustri
Del gabinetto al tripode sedendo,
Grand' arbiti'o del bello oggi creasti
140 Gli eccellenti nell' arte. Gnor cotanto
Basti a darti ragion su le lor menti
E su 1' opre di loro. Util ciascuno
A qualch' uso ti fia. Da te mandato.
ne' poeti latini: p. es. Oraz. e. i 24, 1
«desiderio... tam cari capitis». E ri-
cordo La Fontaine Fabl. viii 16: «cette
chère téle, Pour qui Tari d' Esculape en
vaili fìt ce qu' il piit ». Nota la differenza
nel luogo dei SejJ. « ove doi'me il sacro
capo Del tuo Parini », nel quale è, pur
cosi felicem., in senso proprio.
123-'26 La prima coppia di versi
esprime l'ansiosa attesa di chi per sin-
cera affezione cerca notizie; la seconda
mette anche qui un po' di punta toc-
cando celebrità di medici che sian tali
più per moda che per merito.
127 sg. leni origlieri all' oraor lasso
rorrai sostegno: accomoderai i guan-
ciali sotto alle membra indolenzite del-
l'infermo. Ciò richiama il Matt. 108 « ti
appoggia Ahi origlier che lenti digra-
dando All'omero ti flen molle sostegno ».
129-133. « Asciugandogli col fazzoletto
di tela il sudore, e ventilandolo, fa' che
riesca a prender sonno che lo ristori e
avvii a convalescenza ». — 11 madido
fronte, v. u Matt. 493 in nota.
134 sg. di si tenni cnre Le brevi ani-
me ingombri: ricorda il Mezz. 618 «i
dolci moti A più lontano limite sospin-
ge ». Superfluo avvertire che queste si
tenui cure son quelle enumerate nei
versi innanzi, 120-'33, introdotte con
Vandrai tu forse e seguite con le in-
terrogazioni successive; sono cioè quelle
del vero amico, che per l'amico ha in-
teressamento vivo e sa essergli visita-
tore e infermiere. 11 sol atto che dovrà
surrogarsi a esse tutte insieme è, udi-
remo, una carta da visita! Queste si
tenni cnre possono in qualche modo ri-
chiamare i «teiiuia rerum Officia», Pers.
V 91. brevi, piccole; v. il Matt. 648.
137-'43. fra gli ozi Avi mattino illustri,
frase ripetuta, più o meno simile, alla
maniera epica, cf. il Matt. 14 «in mezzo
agli ozi tuoi», 7S «le fatiche illustri»,
295 «de la giornata illustre I travagli
e le glorie» ecc. — Del gabinetto al tri-
pode sedendo, quasi dettando oracoli :
in fatti cfr. il Matt. 701 « il vulgo ... g'.i
oracoli attenda». Grand' arbitro dei bello
136 IL VESPRO
Con acuto epigramma il tuo poeta
145 La mentita virtù trafigger puote
D' una bella ostinata ; e l' elegante
Tuo dipintor può con lavoro egregio
Tutti dell' amicizia onde ti vanti
Compendiar gli ufici in breve carta:
150 0 se tu vuoi che semplice vi splenda
Di nuda maestade il tuo gran nome,
0 se in antica lapide imitata
Inciso il brami, o se in trofeo sublime
Accumulate a te mirarvi piace
155 Le domestiche insegne, indi un lione
Rampicar furibondo e quindi 1' ale
Spiegar 1' augel che i fulmini ministra,
Qua timpani e vessilli e lance e spade
E là scettri e collane e manti e velli
160 Cascanti ai'gutamente. Ora ti vaglia
Questa carta, o Signor, serbata all'uopo:
Or fia tempo d' usarne. Esca, e con essa
Del caro amico tuo voli a le porte,
Alcun de' nunci tuoi ; quivi deponga
165 La tèssera beata, e fugga e torni
Ratto sull' orme tue, pietoso eroe
Che, già pago di te, ratto a traverso
E de' trivi e del popolo dilegui.
Già il dolce amico tuo, nel cor commosso,
170 E non senza versar qualche di pianto
Tenera stilla, il tuo bel nome or legge,
•
148. de 1' B. — 149. uffici B. — 154. mirar vi B., CI. con l'ed. lieina
Oggi creasti Gli ercellenti nell'arte, come ritrosa, il tuo pittore ti farà la tessera
dittatore del buongusto; e ta,\e arbitrio elegantissima di che beare l'amico»,
al Giovin signoi'e, o a simili suoi, non 150-'G0. 0 se tn tuoI... 0 se... o se...,
fu mai disconosciuto efficacemente. Luo- le diverse fogge di biglietti da visita
ghi de H Matt. analoghi a ciò che qui ch'eran di moda: o il nome solo, o il
è detto puoi vedere tra i versi 76S e 803. nome inquadrato come in una lapide, o
— Ouor cotanto Basti a darti ragion sn.,.: lo stemma di famiglia disegnato e coui-
è giusto che ti rimunerino del primato piuto iu ogni sua parte, tutt' un serra-
che loro assegni lavorando per te e a tuo glie e un arsenale. Avverti quel furi-
piacere. Per la frase cf. il Mezzog. 474 bendo aggiunto al leone rampicante, cioè
«a te ne' servi altrui Ragion fu data ... ». rampante, a cui segue l'aquila (mini'
143-'49. Qui il servigio del poeta non ster fuìminis ales); poi, in un verso,
entra, ma il costrutto è per coordina- arnesi di guerra (tamburi, bandiere, lan-
zione anziché per subordinazione com- ce e spade) e, in un altro, di corte (scet-
parativa : « a quel modo che il tuo poeta tri, collane, manti, ermellini) : Cascanti
saprà fornirti l'epigramma per una bella argatamente, cioè con bella disposizione.
IL VESPRO 137
Seco dicendo : Oh ignoto al duro vulgo
Sollievo almo de' mali ! Oh sol concesso
Facil commercio a noi alme sublimi
175 E d' afFotti e di cure! Or venga il giorno
Che si grate alternar nobili veci
A me sia dato ! Tale, sbadigliando,
Si lascia da la man lenta cadere
L' amata carta ; e te, la carta e il nome,
180 Soavemente in grembo al sonno obblia
Tu frattanto colà rapido il corso
Declinando intraprendi ove la dama,
Co' labbri desiosi e il premer lungo
Del ginocchio sollecito, ti spigne
185 Ad altre opre cortesi. Ella non meno
All' impei'io possente, ai cari moti
Dell' amistà risponde. A lei non meno
Palpita nel bel petto un cor gentile.
Che fa r amica sua ? Misei'a ! Ieri,
190 Qual fosse la cagion, fremer fu vista
Tutta improvviso, ed agitar repente
Le vaghe membra. Indomito rigore
Occupolle le cosce, e strana forza
Le sospinse le braccia. Illividirò
195 I labbri onde 1' Amor 1' ali rinfresca ;
180. obblia B., C, non l'ed. R. che qui ha grafia diversa dal v. 63 — 183. desiosi il
premer CI. — 190. fusse CI. con l'ed. R.
175-'S0. Avverti intima arguzia: tanto corpo e anche a cose; soiliclta manu
l'amico è tócco e commosso del ti-atto più volte in Ovidio. Ricorda il Mezz.
amichevole, che si augura di poterlo ri- 452 «Con sollecita occhiata»,
cambiare, gentile intenzione che impor- 189. Che fa l'amica snaJ Ecco di che
la il caso d'una grave infermità di quel- la dama è pensosa. — Misera! Ieri...:
l'altro ! E sbadiglia, e lascia cader la car- ed ecco la ragione di tal premura, cioè
ta, e s'addormenta. — lenta, allentata. che il giorno innanzi quella fu còlta da
181-'88. Tn frattanto... : la gran prova convulsioni.
d'amicizia all'amico uscito di malattia 190-'94. Qnal fosse: qual che ne fosse,
è tale, abbiam visto, che si compie pei' I particolari che seguono, coordinati a
mezzo d'u'i servo, sicché il cavaliere due a due, ritraggono i fenomeni del-
puù intanto secondare la dama che me- l'attacco nervoso. — Iiido;uito rigore, vi-
dita anch'essa amichevoli uffici. —Co' gidità invincibile; e strana forza, eh' è
labbri desiosi e il premer lungo Del gi- a punto lo spasimo convulsivo.
nocchio sollecito: maniere che fanno 194-'200. Dopo la descrizione del male
fi'etta altrui e gli ricordano, special- in termini precisi e quasi tecnici, altri
mente se altri è presente, una cosa. — particolari seguono con molti, forse
sollecito, non vuol dir « presto » ma troppi, adornamenti poetici. — I labbri
«premuroso»; è il lat. soUlcitus che onde l'Amor l'ali rinfresca: « Anche l'A-
dalla persona si trasferisce a parti del riosto, non che altri, finsero Amore svo-
138 IL VESPRO
Euliò la neve de la 'bolla gota;
E celato candor, dai lini sparsi
Effaso, rivelossi agli occhi altrui.
Gli Amorì si schermiron con la benda,
200 E indietro rifuggirousi le Grazie.
Invano il cavaliere, invan lo sposo
Tentò frenarla, invan le damigelle.
Che su lo sposo e il cavaliere e lei
Scorrean col guardo, e poi, ristrette in;
205 Malignamente sorrideansi in volto:
Ella, truce guatando, curvò in arco •
Duro e feroce le gentili schiene ;
Scalpitò col bel piede, e ripercosse
La mille volte ribaciata mano
210 Del tavolier ne le pugnenti spon lo.
Livida, pesta, scapigliata e scinta,
Alfin stancò tutte le forze, e caddo
Insopportabil pondo sopra il letto.
Né fra l' intime stanze o fra le chiuso
215 Gemine porte il prezioso evento
Tacque ignoto molt' ore. Ivi la Fiiina
Con uno il colse de' cent' occhi suoi,
201. il cavalier C. — 216. fama B. col R.
lazzante intorno gli occhi o le labbra vigliate che non sappiano; poi, esse che
della bella: ma qui ha della ricerca- sanno bene, sorridon tra loro. Cosi al-
tezza, senza corrispondente effetto di trove, la Nolt. 253-55, vedremo accen-
rappresentazione, la figurina di lui che nato a servi consapevoli di virtucU
batte le aU dinanzi a' labbri della dama ascose del signore. Del resto, la cagione
e si rinfrescale ali al fiato che ne esce» di un attacco di nervi potea ben essere
(M.); e non è né pur chiaro. — Enfiò la anche più lieve e innocente che non si
nere de la bella gota, è quanto dire «si pensi; v. sotto ai vv. 215-'50.
gonfiarono le belle gote color di neve»; 206. trnce guatando, l'agg. per l'avv.
modo classico già visto, e più oppor- classicamente; Ae>i. vi 467 «torva luen-
tuno, altrove: cf. il Matt. 1013. — E ce- tem».
lato candor...: scomponendosi le vesti, 213. Per la tecnica e il suono questo
(dai lini Sparsi), apparve (eSfnso rive- verso, specialm. nella seconda parte, ri-
lossl) la bianclirizza solitamente velata produce, e in caso analogo, il dantest o
del seno. Gli Amori, bendati come sono, E caddi come corpo morto cade.
furon per la benda riparati da quel 214 sg. fra, cioè dentro (intra). — lo
lampo improvviso, e le Grazie abbar- chiuse Gemine porte: non già bipartite
bagliate indietreggiarono. Tale, da tutto o a due battenti ma proprio doppie ; le
insieme il contesto, mi pare il senso due porte delle stanze più interne,
primo delle parole : un altro maliziosa- 215. prezioso, si spiega sùbito fra tre
mente riposto può esservene, special- versi.
mente per r ultimo verso; si ritirano le 216 sg. La Fama Con nno... de' cent' oc-
Grazie vuol dire che cessa il decoro. chi suoi : la Fama, « cui quot sunt cor-
202-'05. le damigelle Che... : guardan pore plumae, Tot vigiles oculi subter »,
gli altri per vedere se sanno, o mara- Aen. iv 1S2.
IL VESPRO 139
E il bel pegno rapito usci portando
Fra le adulte matrone, a cui segreto
220 Dispetto fàuno i pargoletti Amori,
Che da la maestà degli otto lustri
Fuggon volando a più scherzosi nidi.
Una è fra lor che gli altrui nodi or cela
Comoda e strigne, or d' ispida virtude
225 Arma suoi detti, e furibonda in volto
E infiammata""negli occhi alto declama,
Interpreta, ingrandisce i sagri arcani
Degli amorosi gabinetti; e a un tein;io
Odiata e desiata eccita il riso
230 Or co' propri mi=;teri or con gli aitriii.
La vide, la notò, sorrise alquanto
La volatile dea; disse: «Tu sola
Sai vincere il clamor della mia tromba »:
Disse, e in lei si mutò. Prese il venta;^lio,
233 Prese le tabacchiere, il cocchio ascese,
E là venne trottando ove de' grandi
E jl consesso più folto. In un momento
Lo sbadigliar s'arresta; in un momento
Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
240 Si raccolgono in lei; ed ella alfine,
E ansando e percotendosi con ambe
Le mani le ginocchia, il fatto espone,
E del fatto le origini riposte.
Riser le dame allor, pronte domane
245 A fortuna simil, se mai le vaglio
218. il bel pogao, prezioso oggetto; gente iaterinediaria e di ciò ch'ella con
cosi in Orazio, e. i 9, 23 «plgnus... de- maligna curiosità raccoglie altronde,
reptum lacertis », un braccialetto. Cosi mi par da intendere il verso, non
219-'22. le adulte matrone: le deter- forse chiarissimo. Or co' propri misteri
mina sùbito appresso per quarantenni. or con gli altrui.
— i pargoletti Amori: tolta l' imagine, 232. La volatile dea, che erra perl'a-
« si rammaricano dei nuovi nascenti ria: cf. la Notte 517.
americhe non son più per loro ma per 231. Disse, e in lei si mutò: il disse
le più giovani ». cosi ripetuto, alla maniera epica, viene
223-'30. Una che gli altrni nodi or cela a sigiiilicaré « e, appena ebbe detto co-
Comoda e strigne, alta e disposta a fa- si ».
vorire segretamente amori altrui; or 239 sg. Evidentem. questo verso ox*-
d'ispida Tirtnde Àrnia suoi detti, ripren- meggia il celebre principio del IP del-
ditrice ombrosa e implacabile. — a nn l'Eneide * Coniicueve omnes intentique
tempo Odiata e desiata, conforme all'ai- ora tenebant», e anche troppo, può
ternativa delle sue abitudini or ora de- sembrare, in tutti i labhri.
scritte; o anche perché, spiacevole in 24 1-'50. Risero allor alle spese di un'al-
sé stessa, eccita il riso co' suoi racconti ; tra, pronte a far ridere domane di sé per
racconti e di ciò ch'ella sa come indù' cagione somigliante (a fortuna sìmi'l)
140 IL VESPRO
Lor fantasie commoverà negato
Dai mariti compenso a un gioco avverso,
O in faccia a lor, per deità maggiore,
Negligenza d' amante, o al can diletto
250 Nata subita tosse : e rise ancora
La tua dama con elle, e in cor disposo
Di teco visitar 1' egra compagna.
Ite al pietoso ufficio, itene or dunque :
Ma lungo consigliar duri tra voi
255 Pria clie a la meta il vostro cocchio arrive.
Se visitar, non già veder, 1' amica
•Forse a voi piace, tacita a le porte
La volubile rota il corso arresti ;
E il giovanetto messagger, salendo
2G0 Per le scale sublimi, a lei v' annunzi.
Si che voi non volenti ella non voglia.
Ma se vaghezza poi ambo vi prende
Di spiar chi sia soco, e di tui'barle
L'anima un poco, e ricei-cai-le in volto
265 De' suoi casi la serie, il cocchio allora
Entri, e improvviso ne rimbombi e frema
L' atrio supei'bo. Egual piacere inonda
Sempre il cor de le belle, o che opportune,
O giungano importune a le lor pari.
270 Già le fervide amiche ad incontrarse
Volano impazienti j un petto all' altro
259. giovinetto C.
cioè avendo le couvulsioni anch'esse; cui il Carducci ha scritto (p. 271) : « Non
e delle convulsioni ecco supposti i per- so ne' due primi poemetti cosa che o-
ché : 0 il marito negò di rifondere alla scuri la scena delle amiche nel Ve-
moglie quel che avea perso al gioco, o spro».
l'amico in presenza di altra dama più 256 sg. Se... Forse..., come ne la Noi-
bella o cospicua trascurò lei, o il cane te 203 sg. : « se mai, se per avventu-
fu preso da tosse improvvisa. Puoi cfr. ra ». È proprio il si forte dell'uso lat.
le cause di lunga veglia, il Matt. 434- comune (puoi ricordare: Orazio ep. ii
'60. 2, 95 «Si forte vacas, sequere», sat. i
250-'r3. e rise ancora..., e in cor di- 4, 102 « Liberius si Dixero quid, si forte
spose... Non ci sfugga l'intimo senso di iocosius, hoc mihi iuris Cum venia da-
questa coordinata cosi innocua in ap- bis»). Già iu Dante Purgr. xxviii 23 «E
parenza. La dama rise con le altre e se tu credi forse ch'io t'inganai».
comete altre, cioè si prese gioco di 261. non Tolenti... non voglia: col man-
quella tale, e in cor dispose di andare a dare a chiedere è lasciata intendere la
trovarla: ognun vede quanta sincerità voglia di non esser ricevuti, e questa è
d'amicizia possa moverla a tal visita, naturalmente assecondata,
cf. sotto i vv. 262-'65. Quindi prorom- 270-'83. Uno de' più bei pezzi di ca-
perà eflBcacemente Ite al pietoso nllleio..., ricatura, fedelissimamente osservata e
e seguirà poi la scena della visita di particolareggiata, che sia nel poema.
IL VESPRl 141
Già premonsi abbracciando ; alto le gote
D'alterai baci risonar già fanno;
Già strette per le man, co' dotti fianchi
275 Ad un tempo amendue cadono a piombo
Sopra il sofà. Qui 1' una un sottil motto
Vibra al cor dell' amica, e ai casi allude
Che la fama narrò : quella repente
Con un altro 1' assale. Una nel viso
230 Di beli' ire s' infiamma, e 1' altra i vaghi
Labbri un poco si morde : e cresce intanto
E quinci ognor più violento e quindi
11 trepido agitar dei duo ventagli.
Cosi, se mai al secol di Turpino
235 Di ferrate guerriere un paro illustre
Si scontravau per via, ciascuna ambiva
L' altra provar quel che valesse in arme ;
E dopo le accoglienze oneste e belle,
Abbassa van lor lance e co' cavalli
200 Urtavansi feroci; indi, infocate
Di magnanima stizza, i gran tronconi
Gittavan via de lo spezzato cerro,
E correan con le destre agli elsi enormi.
Ma di lontan per 1' alta selva fiera
295 Un messagger con clamoroso suono
Venir s' udiva galoppando, e 1' una
Richiamai'e a re Carlo, o al campo l' altra
Del giovane Agramante. Osa tu pure,
Osa, invitto garzone, il ciuffo e i ricci.
284-'98. Questa comparazione cavai- la storia) fu tra i morti a Roncisvalle,
leresca, tanto felicemeute trovata, è e al quale i poeti ascrissero poi di so-
svoltalai'gamente, come usa il P. quando veute i racconti e le finzioni loro, per
il paragone è ricco di poesia e fecondo effetto di una cronaca delle imprese di
di vivace varietà tra la satira. Di più, Carlomagno in Spagna riferita al suo
qui la comparazione è connessa non nome. La frase dunque viene a signifi-
solo a quel che precede ma anco a quel care « nel ciclo carolingio ■>. — ambiva
che segue; poiché la sua ultima parte. L'altra provar quel che valesse...: me-
vv. 294-'98, conduce i versi che segui- glio che inversione è prolessi, uso clas-
ranno 298-303. — Del resto, non credo sico e naturale insieme. — E dopo le
che il P. avesse in mente alcun luogo accoglienze...: è, leggerm. modilicato,
determinato di poema romanzesco, si il verso di Dante, Purg. vii I « Poscia
bene componesse, con molta convenien- che le accoglienze oneste e liete...». —
za, da ricordi indistinti e secondo note l gran tronconi Gittavan..., ... agli elsi
circostanze. Dell'Ariosto puoi in qualche enormi... : cioè, spezzate le aste al primo
parte raffrontare i duelli tra Brada- incontro, mettean mano alle spade,
mante e Marlìsa nel e. xxxvi. — al se- 299-303. il ciuffo e i ricci Si ben fln-
col di Tarpino, l'arcivescovo che (secondo ti...: /Jnyere lat. è formare, e questo
la Cfianson de Roland, non secondo fluti è del numero di quelle parole che
142 IL VESPRO
300 Si ben fìnti stamane, all' urto esporre
De' ventagli sdegnati; e a nuove imprese
La tua bella invitando, i casi estremi
De la pericolosa ira sospendi.
Oh solenne alla patria, oli all' orbe intero
305 Giorno fausto e beato, alfiu soi'gesti
Di non più visto in ciel roseo splendore
A sparger l' orizzonte ! Ecco, la sposa
Di ramni eccelsi l' inclit' alvo alfine
Sgravò di maschia desiata prole
310 La prima volta. Dalle lucid' aure
Fa il nobile vagito accolto appena,
Che cento messi a precipizio uscirò, i
Con le gambe pesanti e lo spron duro
Stimolando i cavalli, e il gran convesso
315 Dell' etere sonoro alto ferendo
Di scutiohe e di corni : e qual si sparse
Per le cittadi popolose, e diede
Ai famosi congiunti il lieto annunzio ;
E qual per monti a stento rampicand©
320 Trovò le ròcche e le cadenti mura
De' prischi feudi, ove la polve e 1' ombra
Abita e il gufo ; e i rugginosi ferri,
Sopra le rote mal sedenti, al giorno
Di novo espose, e fé' scoppiarne il tuono;
30t. alla CI. a l'orbe B. — 307. 1' orizonte ! CI. — 323. al giorno, C. {m.a. certo è
ecorsa)
il P. USÒ dissimulando nel suouo clas- va invece ora a cadere sulle origini
sico, eh' è il pi-imo a cogliersi nel suo delle fortune feudali : che, come Roma
stile, il significato volgare, oh' è il più da' banditi, cosi esse il più delle volte
rispondente alle sue intenzioni. nacquero da predoni e avventurieri. —
30 1-'07. Intona con enfasi l'esposizione Ramni eccelsi vai qui dunque 'nobili
d'un' altra, singolarmente importante, d'antica nobiltà feudale'; e anche l'epi-
occasione di visita. — l>i non pìii visto..., teto è tolto da Orazio che ha ' celsi Ram-
ricorda il dantesco, Pary. xxx 23 « La nes' ep. ai Pis. 3J2 » (M.). A conferma
parte orientai tutta rosata ». di ciò, avverti che 1' espressione sposa
307-'10. la sposa Di ramni eccelsi: dirami era strana e impropria, non
«Questa è la lezione vera, già dal loati già rapida e ardita: gli ardimenti ge-
ristabilita nel testo, e confermatami dal nuini pariniani sono di altro gusto.
Salveraglio di sul manoscritto origina- Quanto alla frase ramni eccelsi, aperta
rio: errata lezione è rami, che faceva reminiscenza oraziana, serba il colore
pensare all' albero genealogico e a una d' irrisione che ha Ceisi Ramnes in
maliziosa allusione alle corna del cer- Orazio; come in Persio, i 20 e 82, In-
vo. I Ramni o Ramnensi furono il nu- gentes Titi e Trossulus levis.
eleo originario de' Romani raccoltisi in- 310-'26. L'annunzio mandato intorno
torno a Romolo; e l'allusione maliziosa del nuovo nato. Un pei'iodo solo, vibrato
IL VESPRO
143
325
3C5
34.0
E i gioghi de' vassalli e le vallee
Ampie e le mai'che del gi'an caso empieo.
Ké le Muse devote, onde gran plauso
Venne l' altr' anno agi' imenei felici,
Già si tacquero al parto. Anzi, qual suole
Là su la notte dell' ardente agosto
Turba di grilli, e più lontano ancora,
Innumerabil popolo di rane.
Sparger d'alto frastuono i prati e i laghi,
Mentre cadon su lor, fendendo il buio,
Lucide strisce, e le paludi accende
Fiamma improvvisa che lambisce e vola,
Tal sorsero i cantori a schiera a schiera,
E tal piovve su lor foco febèo,
Che di motti ventosi alta compagine
Fé' dividere in righe, o in simil suono
Uscir pomposamente. Altri scoperse
337. sorsero cantori CI. — 339. compaggine (CI.)
e largo, pieno d'anima uell' insieme e
di bellezze ne' particolari. Nota tra que-
ste il V. Con le gambe pesanti (cioè sti-
valate alla scudiera) e lo spron duro, e
l'altro E qual per monti a stento rampl-
caudo, e iu fine, per i suoni^ le Tallèo
Ampie e le marche del gran caso empieo.
— il gran confesso Dell'etere sonoro, la
volta celeste; alto ferendo Di seutiche e
di corni, facendo altamente risonare :
cf. la chiusa del son. del Cassiani citata
iu uota a 'l Matt. 76. La differenza tra
flagello e scutica, latinismi entrambi, è
rilevata in un verso di Orazio Sat. i 3,
119 « ne scutica dighum liorribili sec-
tere flagello » (a non punire di verga una
colpa a cui basta il frustino) : quello
propriam. è lo scudiscio, questo la fru-
sta a più corde nodose e aggruppate.
S'intende che nei nostri sono chiamati
senza tanta precisione. — i rugginosi
ferri Sopra le rote mal sedenti, i can-
noncini arrugginiti che mal posano sui
carretti sgangherati. Ricorda « gli scom-
messi cocchi Forte assordanti per stri-
dente ferro... » ne 7 Mezzoy. 620.
327-37. Dopo gli annunzi, le poesie
d'occasione. I confronti de' grilli e delle
rane potevan cadere in mente anche a
chi non fosse il V., ma è tutto suo il
temperare insieme si felicemente l'ir-
risione e la poesia. Nota i tre versi 334-
'36, e sopra tutti l'ultimo, meraviglioso
e, com'oggi usiamo dire, suggestivo, —
eadon sa lor, i prati e i laghi anzidetti ;
Lucide strisce, stelle cadenti; Fiamma im-
proTTisa, potrebb'essere il riflesso delle
stelle cadenti, ma su le paludi è una
particolare fosforescenza, un guizzo ra-
pido e improvviso.
338-'41. Tal... foco febèo, €he .,. : lo
scherzo, o scherno che si voglia dire, è
nella inadeguatezza dei termini corre-
lativi: «una tale ispirazione, che portò
a distribuire in righe un mucchio di pa-
role piene di vento », e quelle righe eran
la poesia! di motti ventosi alta eonipa-
giue [compayyine scns&e il P., forse per
analogia ad altre parole), un monte di
vesciche, — o in simil snono Uscir pom-
posamente: con questo in simil suono mi
paion designate le prose d'occasione, e
in fatti, a cui le Muse non eran cortesi
né pure dell'attitudine a « dividere in
rigiie » digitis et aure i lor concettuzzi,
non rimaneva che sfoggiare la prosa
delia festa. (Non si potrebbe spiegare in
simil suono [/ simil suoni, Tonti] per
« in versi sciolti », i quali son pur versi
cioè una divisione in righe).
IM
IL VESPRO
3d5
350
In que' vagiti Alcide, altri d' Italia
Il soccorso promise, altri a Bizanzio
Minacciò lo sterminio. A tal clamore
Non ardi la mia Musa unir suo voci;
Ma del parto divino al molle orecchio
Appressò non veduta, e molto in poco
Strinse dicendo : Tu sarai simile
Al tuo gran genitore
Già di cocchi frequente il corso splende,
3 13. Bisanzio C. — 350. Il tratto da qui alla fine del poemetto era già edito come
parte e chiusa del Mezzogiorno, di séguito ai 25 versi con che ora principia il Vespro;
« queste varianti recano appunto quella lezione o le differenze da essa. Dal raffronto
tra il testo e le varianti risultano anche gli ampliamenti e gli accorciamenti di alcuni
pochi tratti.
311-M4. Compendio verissimo delle
gonfiezze e delle piaggerie a cui giun-
gevano quelle muse devote (ricorda le
«Care muse devote a' miei giacinti»,
in princ. alla nota canz. del Caro). E
serve d* immediato contrasto alla di-
screta modestia, e cosi mansueta in ap-
parenza, che viene appresso.
314-'49. molto in poco Strinse : « Molte
gran cose in picciol fascio stringo »,
Petr. Tr. d. fama, ii 133: «O stringi
tutto in poche note o parli», Metast.
Cat. in Ut. n 10. — Tn sarai simile Al
tuo gran genitore: stupendo epigram-
ma, che vien più efficace quanto più im-
provviso e dopo tanta riservatezza. Ne-
gli appunti pariniani, di cui alla nota
seg., il Carducci trovò la citazione vir-
giliana, Aen. IX 610 :
Macie nova virtute, puer, sic itur ad astra,
Dis genite et geniture deos.
Ognuno sente che fa a proposito qui !
Anche lesse di Persio, i 61 :
Vos o patricius sauguis, quos vivere fas est
Occipiti caeco, posticae ucciirrite sannae.
Che fa a proposito in più altri luogiii.
319-350. « L'episodio del ricevimento
e della festa intorno la puerpera è tron-
cato poco dopo il princiino col famoso
Tu sarai simile Al tuo gran genitore.
Di qui al verso che incomincia la de-
scrizione del corso, Già di cocchi fre-
quente il corso splende, è una lacuna,
la quale doveva esser riempita dal sé-
guito dell'episodio e poi da ciò che ri-
manesse a fare dalla nobile coppia prima
di procedere al corso ». Cosi il Carduc-
ci, p. 261, che poi nelle pagine seguenti
(e qui le accenno soltanto ma, chi no»
le avesse lette, dee leggerle!, dalle carte
del Pariui raccolte dal Reina e posse-
dute dal dott. Cristoforo Bellotti, di tra
« note ed appunti di ciò che veniva in
mente al poeta d'avere anche a descri-
vere e rappresentare nella tela già or-
dita degli ultimi due poemetti », reca
parte di ciò che riguarda il Vespro e
che egli con manifesta probabilità rife-
risce qui all' «episodio del primo par-
to », da seguire e connettersi, non sap-
piamo né ardiremmo dir come, « con
l'apostrofe al neonato ». Negli appunti
è notato più volte Collegi, uscita da es-
si, birbino, carrozzino — Uscirà dal
collegio , apprenderà i giuochi — Tu
sarai in collegio, uscirai, ti daranno
un birbino. — Manifestamente dovea
essere, in iscorcio, l'educazione di col-
legio e di casa. Dice una nota: Ercole
uccise Lino battendogli della cetra sul
capo : « e' è quasi da indovinare il con-
seguente: — E tu tirerai il calamaio o
qualcos'altro nella testa al maestro».
Altri appunti del P., in suo uso e quindi
senza maraviglia piuttosto informi per
noi: 1 figli in collegio lasciano giovani
— Nuovi araldici m:ttono i figli in
collegio, e se ne lagnano — Alla par-
toriente parlar de' nuovi araldici —
Una volta i fanciulli si divertivano
e i padri attendevano agli studi : ora
è il contrario — Nel Vespro della par-
toriente dame e cavalieri protettori
IL VESPRO
145
355
360
865
E di mille che là volano rote
Rimbombano le vie. Fiero per nova
Scoperta biga il giovine leggiadro,
Che cesse al carpentier gli aviti campi,
Là si scorge tra i primi. All'un de' lati
Sdraiasi tutto, e de le stese gambe
La snellezza dispiega. A lui nel seno
La conoscenza del suo merto abbonda,
E con gentil sorriso arde e balena
Su la vetta del labbro, o da le ciglia,
Disdegnando, de 'cocchi signoreggia
La turba inferior: soave intanto
Egli alza il monto, e il gomito protende,
E mollemente la man ripiegando,
I merletti finissimi su l'alto
Petto si ricompon con le due dita.
Quinci vien 1' altro che pur oggi al cocchio
353. giovane col R. tutti.
de' birbanti [da birba, birbino] — Pri-
mogeniti, cadetti, principii dì musica,
architettura. — Un'altra: Confidenze
tra padre e flgHo ; « chi sar^eraviglie
che ne sarebbero uscite ! ». Non più spet-
tanti all'episodio della partoriente (se
pure non entravano nel tratto de' col-
legi), ma si ad altre occupazioni del ve-
spro, occupazioni da avvicendarsi tra
la settimana, sono altre note sotto il ti-
tolo Accademia. — Cavaliere che strac-
cia dopo VAccademia il libro di Con-
clusioni matematiche inorridito di
quelle cifre — Dama o cavaliere invi-
tati, radunati e dato il segno del tra-
sferirsi, non si movono, dicendo che
hanno tempo di seccarsi — Alia re-
cita parlano, gridano — Il recitante
si dispetta del non essere ascoltato —
Stanno più attenti alla musica — Cer-
can di fuggire — Termina non rima-
nendovi più di cinque o sei persone
— Quando recita il figlio dell' invi-
tante, i padri o gli amici tacciono,
salvo a ciarlare quando recita il figlio
altrui. È manifesto che il P. avea pau-
sata e pronta la materia per adeguare
l'estensione di questo a quella de' poe-
mi precedenti e che era materia da ri-
Pabjsi — AvBta
cevep da lui mirabile vivezza.
350. di cocchi freqnente, denso, popo-
lato (frequens), cf. il Mezzog. 893. — li
corso, ch'era la via di Porta Renza o
orientale. — Splende: vale a ritrarre la
ricchezza dei cocchi.
351 sg. Di carrozze che vanno al corso
risuonano le altre vie.
352-366. Fiero per... : altero, superbo
della nuova carrozza scoperta, un gio-
vine di vecchia casata decaduta che gli
ariti campi ha dovuti cedere al carra-
dore, carrozzaio (ai carpentier). — de
le stese gambe, cioè stendendole; La
snellezza, ricorda il v. 67. — La cono-
scenza del suo merto, il sentimento di sé,
esageratamente grande e per titoli inani'.
Avverti, inavvertito spesso e non messo
in rilievo dall' interpunzione, che la co-
noscenza è soggetto non solo di abbonda
ma delle coordinate arde e balena e si-
gnoreggia; tanf è vero che nella propos.
susseguente a quest'ultima torna espres-
so egli. Ed è bello che sia quest'intima
convinzione di sé stesso a uscire come
un sorriso su le labbra, come uno sde-
gno su le ciglia; egli intanto compie
atti esteriori, accessoria
367-'76. Quinci Tìen l'altro che...: uà
10
146 IL VESPRO
Dai casali pervenne, e già s' ascrive
Al concilio de' numi. Egli oggi impai'a
370 A conoscere il vulgo, e già da quello
Mille miglia lontan sente rapirsi
Per lo spazio de' cieli. A lui davanti
Ossequiosi cadono i cristalli
De' generosi cocchi oltrepassando,
375 E il lusingano ancor perché sostegno
Sia de la pompa loro. Altri ne viene
Che di compro pur or titol si vanta,
E pur s' affaccia, e pur gli orecchi porge,
E pur sembragli udir da tutti i labbri
880 Sonar le glorie sue: mal abbia il lungo
De le rote stridore e il calpestio
De' ferrati cavalli e l' aura e il vento,
Che il bel tenor de le bramate voci
Scender non lascia a dilettargli il core.
885 Di momento in momento il fragor cresce
E la folla con esso. Ecco le vaghe
A cui gli amanti per lo di solenne
Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi
Matrone che gran tempo arser di zelo
390 Contro al Bel Mondo e dell' ignoto corso
La scelerata polvere dannaro.
Ma poi che la vivace amabil prole
Crebbe e invitar sembrò con gli occhi Imene,
Cessero alfine, e le tornite braccia
contadino arriccliito. — oggi impara A. è resa efficacemente dall'insistenza del-
conoscere il Tolgo ; a conoscerlo come 1' E pur ripetuto tre volte, e la mortifi-
cosa distinta da sé, in quanto fino a cazione del non udire è dissimulata co-
oggi fu volgo anch'esso: da ciò l'acer- micamente dall'imprecazione mal ab-
bila del soggiungere che già si sente bia..., quasi dipenda proprio dal romore
portato mille miglia lontan da quello a eh' è intorno s'egli non ode sonar le glo-
spaziare nell'olimpo. — Osseaniosi... : la rie sue e non in vece sia perché nessuno
ragion dell'ossequio è significata subito le celebra.
dopo. — De' generosi cocchi: generosus 3S6-'88. Ecco le Taglie: vedemmo ne
vale di buona schiatta, di razza, e l'agg. H Matt. 216 lo stesso agg. sostantivato al
è trasferito a ogni cosa pertinente al maschile.
soggetto ; ricorda per es. il « patrizio 388-'97. Ecco le gravi Matrone ..., ri-
calzar », il Mezzog. 537. — sostegno Sia corda 'le adulte matrone' del v. 219:
de la pompa lor, li aiuti a continuare nel qui son le mamme che intervengono al
loro lusso. corso perché hanno figliole da marito,
376-'84. iltrl ne Tiene... : il titolato di e prima non lo frequentavano e ne di-
fresco e a prezzo; ricorda 'i compri cevan male. — Dei nipoti di Giano, an-
onori ' ne' primi versi del poema. La tichissimo dio italico dal quale gì' Itali
sua compiacenza vogliosa di udire al si tenner discesi: e poiché Giano vedeva
£uo passaggio il suo nome e il suo titolo dinanzi e didietro, era cioè singoiar-
IL VESPRO 147
395 E del sorgente petto i rugiadosi
Frutti prudentemente al guardo aprirò
Dei nipoti di Giano. Affrettan quindi
Le belle cittadine, ora è più lustri
Note a la Fama, poi che ai tetti loro
400 Dedussero gli dèi, e sepper meglio
E in più tragico stil da la teletta
Ai loro amici declamar l' istoria
De' rotti amori, ed agitar repente
Con celebrata convulsion la mensa,
405 II teatro e la danza. Il lor ventaglio
Irrequieto sempfe- or quinci or quindi
Con variata eloquenza esce e saluta.
Convolgonsi le belle : or su 1' un fianco,
Or su l' altro si posano, tentennano,
410 Volteggiano, si rizzan, sul cuscino
Ricadono pesanti, e la lor voce
Acuta scorre d' uno in altro cocchio.
. Ma ecco alfin che le divine spose
De gl'italici eroi vengono anch'esse.
415 Io le conosco ai messagger volanti
Che le annuncian da lungi, ed urtan fieri
E rompono la folla ; io le conosco
Da la turba de' servi, al vomer tolti
Perché oziosi poi di retro pendano
420 Al carro trionfai con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade Minerva
401. da la toilette — 415. messaggier
mente veggente, trattandosi qui di obietti zione, ritraendo insieme lai mancanze
lasciati discretamente intravedere (prn- di contegno,
dentemente al guardo aprirò), la frase 413-'20. Ma ecco alflnche ledirlne spo-
staforseasigniflcareigiovani chelianuo se De gl'Italici eroi...: le grandi pa-
a certe cose buoni occhi. Il P. annotò trizie. Alla solenne intonazione del primo
semplicemente: Giatio si vuole che sia distico succede efHcacissimo quell'Io le
stato il patriarca degV Italiani. conosco..., ripetuto duo volte: pare lo
397-412. Affrettai! quindi Le belle cit- squillo che saluta le vere signore del
tadlne..., venute in fama alquanti anni campo. Ma la satira non manca mai e
innanzi per nobili amori, — ai tetti segue passo passo: la sentiamo in quei
loro Dedussero gli dèi, classico (infatti niessagger volanti che nrtan Aeri E roni-
puoi tenerlo in lat. tal quale 'in sua pono la folla, in quella tnrba di serri al
tecta Deduxere deos'), cioè trasser giù vomer tolti... Nota che mutando co-
dall' Olimpo. — Convolgonsi; dice bene strutto dice Da la turba e non più A
il voltarsi di qua e di là con tutta la la turba perché segue al vomer.
persona, e i molti particolari soggiunti 421-''26. « I due ordini, che già si con-
reudono una certa esuberante anima- tendono il presente e 1' uno agogna al
148 IL VESPRO
E a Cinzia e a Citerea miscliiarvi osate
Voi pettorute Naiadi o Napèe,
Vane di picciol fonte o d' umil selva
425 Che agli Egipani vostri in guardia diede
Giove dall' alto. Vostr' incerti sguardi,
Vostra frequente inane maraviglia,
E r aria alpestre ancor de' vostri moti.
Vi tradiscono, ahi lasse, e rendon vana
430 La multiplice in fronte ai palafreni
Pendente nappa eh' usurpar tentaste,
E la divisa onde copriste il mozzo
E il cucinier che la seguace corte
Accrebber stanchi, e i miseri lasciaro
435 Canuti padri di famiglia soli
Ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
Ritte negli alti -cocchi alteramente,
E a la turba volgare che si prostra
440 Non badan punto: a voi talor si volge
Lor guardo negligente, e par che dica:
Tu ignota mi sei; o nel mirarvi
Col compagno susurrano ridendo.
425. Egipani CI. , C. (B. con la stampa e con l'ed. R, non accenta)
possesso dell' avvenire, con quanta forza ria Teresa aveva decretato che solo le
d'osservazione scrutatrice sono posti di gentildonne e i magistrati con titolo
fronte l'uno all'altro nelle donne !» Card., d'eccellenza potesser ornare di nappe i
259). — Che .igli Egipani Tostri... : tolta cavalli» (M.). E (s'intende ancora ren-
l'imagine, pare voglia dire « che tra(?te don vana) la dirisa... : per avere an-
superbia dagli uffici conferiti ai mariti ch'esse i servi ritti in piedi dietro la
vostri dal sovrano ». Cfr. il Mezzog. *2S. carrozza, queste tali mettevan la livrea
Male in talune edizioni Egipani prese ac- al moz^o di stalla e al cuoco (avverti
cento di sdrucciolo, contro ogni ragione l'efficacia di stanehi cosi collocato); e
quantunque il Redi abbia esempio di cosi se' e' era in famiglia un povero vec-
tale abuso, B. in Tose. 405: chio (probabilm. il P. sapeva qualche
caso), restava solo, chiuso in casa.
E l'ebre Alenadi
E i lieti Egipani.
437-'43. Compendia il contrasto a ciò
che fu introdotto col v. 421 Male a Giù-
426-'36. La sicurezza dello sguardo, no... e svolto coi periodi seguenti, e chiu-
il non mostrar maraviglia, il moversi de la rappresentazione con la fiera alter-
agevolmente sono i segni dell'abitudine, nativa del gaardo negligente che dice Tn
opposti a quelli dell' inesperta novità in ignota mi sei (avverti la forza del Ta
uno stato, qui molto felicemente espres- staccato da ignota, non elidendosi) o del
si: del marito d' una di queste novel- guardare sogghignando e parlando bas-
tine dirà ne la Nott. 584 «Gli atti egli so al compagno. «In questo scontro
accenti ancor serba del monte ». — e di donne », conchiude il Carducci, « è
rcudou vana, fanno che non basti, La l'urto di due secoli, l'un contro Valtro
mnltiplice ch'usurpar tentaste: «Ma- armato. La borghesia resta ancora
IL VESPRO 149
Le giovinette madri degli eroi
445 Tutto empierono il corso, e tutte han seco
Un giovinetto eroe, o un giovin padre
D'altri futuri eroi, che a la teletta,
A la mensa, al teatro, al corso, al gioco
Segnaleransi un giorno, e fìen cantati,
450 S'io scorgo l'avvenir, da tromba eguale
A quella che a me diede Apollo, e disse:
€ Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
Del secol tuo ». Sol tu manchi, o pupilla
Del più nobile mondo ; oi*a ne vieni ;
455 E del rallegrator dell'universo
Rallegra or tu la moribonda luce.
Già tarda alla tua dama, e già con essa
Precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco
460 Che voi dianzi sceglieste, e voi non osi
Tra le ignobili rote al vulgo esporre,
447. che a la toilette — 449. Segneleransi l'ed. del H. e il C. ma non può esBere che
scorrezione. — 455. K del rallegratore de le cose — 457. Già d'uutuosa polvere novella
Di propria man la tabacchiera empisti A la tua Dama e di novelli odori II cristallo do-
rato ; ed al suo crine La bionda che svanio polve tornasti Con piuma dilicata; e adatto
al giorno Le scegliesti '1 ventaglio [c/r. il testo ai versi 43-Jfì]: al pronto cocchio Di
tua niau la guidasti, e già con essa Precipitosamente — 401. esporre al vulgo (C.)
schiacciata: ma che vendetta nel pros- del poema» non s'erano innanzi veduti
Simo avvenire !». I vv. 438-40 fanno ri- se non «i due esemplari, maschio e
cordare il Matt, 636 «le matrone, Che femmina, nello svolgimento loro iudivi-
da' sublimi cocchi alto disdegnano Chi- duale e ne' contrasti coi gruppi vicini
nar lo sguardo a la pedestre turba». domestici»: ma ecco che * nel corso...
444-"53. Tutte le giovani coppie, ap- la nobile coppia è atomo essa, e viene
paiate secondo Amore e non secondo da ultimo: l'appresentazione la società
Imene, s'intende, cioè di Giovini signori stessa, la compagnia, la casta...». — E
e di pudiche spose altrui, sono nel corso. del raliigrator dell' unircrso Rallegra...:
La denominazione insistente di croi ha richiamo, in maniera non indegna (nota
infinedeterminatoilcampodell'eroismo: bellezza dell'ultimo verso), dell' K pur
futuri eroi clie a la teletta... Segnaleransi che brami Rivederti, o Signor,....
«n giorno; e flen cantati...., quasi una 457 sg. Già tarda alla tua dama, ar-
conseguenza ; e però meriteranno un rivare al corso.
poema epico simile a questo mio. 459-165. 11 memoro cocchier, avver-
452. Cf. -il Matt. 269. timmo altrove, il Mezzog. 677, che il P.
453-'56. .Sol tu manchi, o pupilla Del usa di raro quella posizione che oggi è
pid nobile mondo: il Giovin signore, c/em- usitata per i predicativi {memore il coc-
ma degli eroi, atteso a' suoi pietosi gen- Ghiere), lasciando che tale significato
tili uffici, e al quale si conviene arri- risulti dal contesto. — memore, degli or-
vare soltanto quando la frequenza e dini prima ricevuti. — e toì non osi ecc.,
l'animazione sono al colmo. Osservò il ed oltre scorra ecc., specificano parti-
Carducci (p. 257) come « della società colarmente la contenenza generica di
feudale aristocratica, che è il soggetto serbi quei loco Che toì dianzi sceglieste:
150 IL VESPRO
Se star fermi a voi piace, ed oltre scorra,
Se di scorrer v' aggrada, e ai guardi altrui
Spiegar gioie novelle e nuove paci
465 Che la pubblica fama ignori ancora.
Né conteso a te fia per brevi istanti
Uscir del cocchio, e sfolgorando intorno,
Qual da repente spalancata nube.
Tutti scoprir di tua bellezza i rai,
470 Nel tergo, ne le gambe e nel sembiante
Simile a un dio ; poiché a te, non meno
Che all' altro semideo. Venere diede
E zazzera leggiadra e porporino
Splendor di gioventù, quando stamane
475 A lo speglio sedesti. Ecco, son pronti
Al tuo scendere i servi. Un salto ancora
Spicca, e rassetta gì' increspati panni
E le trine sul petto ; un po' t' inchina ;
Ai lucidi calzari un guardo volgi ;
480 Ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il corso misurar potrai soletto,
462. vi piace — 463. v' aggrada. Uscir del cocchio Ti fia lecito ancor. T'accolgan
pronti Allo scendere i servi. Ancora un salto Spicca, e ra89etta i rincrespati panni,
(con ciò Siam già a quello che qui è il v. 477). — 465. publica CI. — 471. a un Dio CI.
col R. a un nume C. a un Dio ; poi che a te B. — 479. Ed ai lievi calzari — 481.
Il Corso
in quanto l'ordine può essere stato, o Nota Vos humerosque com" è tra.m\it2Lto
di fermarsi a un dato punto senza en- dal P. e ampliato con ne le gambe ! — pol-
trare tra la folla delle carrozze, o in- che a te non meno Che all'altro semideo
vece di trottare pe '1 corso se e' è qual- Venere diede : a Enea. Dal luogo, onde
elle novità da sfoggiare. ha tratto la frase innanzi, il p. trae an-
466-''75. Ne' conteso a te fla ... : nel caso che l'accostamento dei due personaggi,
che la carrozza stia ferma a un luogo A cui segue poi in cauda venenum,
designato ; cf. vv. 487-'91. — Qnal da re- cioè nelle ultime parole la satira: i doni
pente spalancata nube: da nube che dirada di Venere sono la parrucca e i colori
improvviso; imagine presa dai poemi posticci.; cfr. 299 « il ciuffo e i ricci Si
omerici, ove gli dèi e gli eroi cari agli ben fiuti stamane ».
dèi secondo opportunità sono avvolti di 476 sg. Un salto ancora Spicca... : per-
nuvola o ne emergono a un tratto. — che ancora ? O come ultimo de' movi-
Nel tergo ne le gambe e nel sembiante menti dello scendere, o, meglio, ricor-
Simile a un dio: omerico e virgiliano dando altri salti che il p. è venuto fa-
anche questo. E per questi vv. 567-'71 il cendo spiccare al suo eroe: cf. il Mez-
P. avea precisamente innanzi quelli di ~og. 256 « in pie d'un salto Alzati », 353
Virgilio, Aen. i 586: «un bel salto Spicca» e 1031 «in pie
d'un salto Balza ». E questo tratto, ricor-
... circumfusa repente diamo, facea parte de '1 Mezzogiorno.
Sciudit se nubes et in aethera P"rgat^aper- ^gj_gj_ g^^^^^ ^ passeggia O va a sa-
Restitit Acneas claraque in luce refulsit ' lutar le signore. — inerpicarti, come bi-
Os bumerosque deo similis. sognava per l'altezza delle carrozze
IL VESPRO 151
Se passeggiar tu brami, o tu potrai
Dell' altrui dame avvicinarti al cocchio,
E inerpicarti, ed introdurvi il capo
485 E le spalle e le braccia, e mezzo ancora
Dentro vei'sarte. Ivi salir tant' alto
Fa le tue risa, che da luuge le oda
La tua dama, é si turbi ed interrompa
Il celiar degli eroi che accorser tosto
490 Tra il dubbio giorno a custodirla, intanto
Che solinga rimase. 0 sommi numi,
Sospendete la Notte, e i fatti egregi
Del mio Giovin Signor splender lasciate
Al chiaro giorno. Ma la Notte segue
495 Sue leggi inviolabili, e declina
Con tacit' ombra sopra 1' emispero ;
E il rugiadoso pie lenta movendo,
Rimescola i color vari infiniti,
E via gli sgombra con l' immenso lembo -
500 Di cosa in cosa ; e suora de la morte,
Un aspetto indistinto, un solo volto
Al suolo, ai vegetanti, agli animali.
Ai grandi ed a la plebe equa permette ;
E i nudi insieme e li dipinti visi
505 De le belle confonde, e i cenci e l'oro:
482. S'arai di passeggiare ; anco potrai — 484. et introdurvi '1 — 486. versarti. Ivi
sonar — 487. gli oda — 490. Tra '1 — iW sg. a custodir la bella Che solinga lasciasti.
— 499. gli spazza li spazza C. — 504. ed i dipinti (C.)
mozzo ancora Dentro Tersane, iu caso che qui proprissimo a rendere quello smor-
o la Oonna o il discorso ti mova a più zarsi e confondersi de' colori, che pre-
avvicinarti. E qui le grandi risate — cede l'oscurità. — vari infiniti: Leop.
cosi disformi dalla squisitezza delle ma- Palin. 173 «varia, inlinita una fami-
uiere —, e da lungi il turbamento della glia Di mali immedicabili». — via gli
dama a udirle. sgombra con l'immenso lembo Di cosa in
491-94. Le parole del v. innanzi tì'a osa: e qui bella assai era la 1' lez. gli
il dubbio giorno cioè nel crepuscolo spazza che il Cantù ripose annotando
hanno già inclusivamente ammonito elle «Ecco una delle parole comuni abbel-
frattanto la sera è avanzata. Ed ecco lite; sicché il Foscolo se ne valse a giii-
un' invocazione agli dèi che indugino la stiflcar quel suo {i Sep. 231 sg.). « Il tem-
notte: tratto efficacissimo, inspirato for- pò con sue fredde ale vi spazza Fin le
se da ricordi epici, là dove a punto rovine»; pure i manoscritti surrogano
spesso si lamenta il sopravvenire della sfiromùra». L'opposto effetto, quando cioè
notte in quanto vela le azioni degli eroi. la luce torna, è neh' inno la Pentec. già
494-505. Versi di perfetta bellezza, in cit. a pag. 82. — suora de la morte, perché,
cui l'imagine e il fatto, la poesia e la come dice appresso, una e uguale eoa
verità si armonizzano nel tutt' insieme, tutti. La notte ragguagliata alla morte
— Bimescolu, che parrebbe volgare, è può richiamare lo stupendo sonetto fo-
152
IL VESPRO
510
Né veder mi concede all' aer cieco
Qual de' cocchi si parta, o qual rimanga
Solo all' ombre segrete ; e, a me di mano
Tolto il pennello, il mio Signore avvolgo
Per entro al tenebroso umido velo.
606. aere col R. tutti — 509. Toglie il pennello; e il mio 9. a.
scoliano «Forse perché de la fatai quiete
Tu sei rimago, a me si cara vieni, O
sera... ». Tegetanti, vegetali, cou desi-
nenza più eletta ; cfr. la var. animanti,
ne V 3Iezz. 249. — eqna, inchiude inten-
zionalmente il senso di « giusta », ma
suona « eguale » : cosi, aequo pede la
morte va alle reggie e a' tugùri.
506-*10. Ne' veder mi concede... Si di-
rebbe che con queste parole il p. preoc-
cupi e prepari l'occasione di andar poi
cercando, come farà nel poemetto ul-
timo, il suo Signore che qui ha perso
di vista. Non è bisogno di avvertire la
bellezza della chiusa. — all'aer (cosi la
stampa 1765, ed è miglior bisillabo che
aere) cieco, ricorda il dautesco l' aer
bruito.
10
LA NOTTE
Né tu contenderai, benigna Notte,
Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi
Con gli estremi precetti entro al tuo regno.
Già di tenebre involta e di perigli
Sola squallida mesta alto sedevi
Su la timida terra. 11 debil raggio
De le stelle remote e de' pianeti
Che nel silenzio camminando vanno
Rompea gli orrori tuoi sol quanto è d'uopo
A sentirli vie più. Terribil ombra
Giganteggiando si vedea salire
2. Che il mio Giovla Signore V. — 8. passeggiau'lo V.
1. Né tu... Cf. U Vesijr. 1 e la nota.
Puoi ricordare tra gli ess. Virgilio Gè.
Ili 1 «Te quoque, magna Pales, et te
memorande canemus Pastor ab Am-
phryso », e, de' lirici, Foscolo sou. a Fi-
renze « E tu ne' carmi avrai perenne
vita. Sponda che Arno saluta in suo cam-
mino...».
2. io cerchi e gnidi: per quanto illu-
stre, gli convien cercarlo tra l'ombra;
cf. i versi 69-76.
3. Con gli estremi precetti: ultimi. Virg.
Bmc. X 1 «Extremum huuc.laborem»,
V ultimo lavoro.
4-28. « Per effetto poetico immediato,
la desci'izione della notte resta unica.
È un vero presentimeuto del romantici-
smo... Onde attinse tale presentimento
il Parini ? Non da letture, certo, ma dal-
l' intuizione accesa del reale, da ricordi
de' primi anni in Brianza e nella me-
dieval montagna di Como. Certo, la ve-
rità viva e palpitante di cotesta descri-
zione colpisce più che non tutte le bal-
late romantiche: è indimenticabile ....
I^rimo momento : impressione dalle li-
nee generali, austera concisa desolante
(Già di tenebre... Su la timida terra).
Secondo momento : dall'alto in basso.
La quiete solitaria e muta, sentita e resa
in due versi che lian del divino, si va
perdendo nell'avvicinare la terra (Il de-
bil raggio... A sentirli vie più). Terzo
momento : dal basso in alto. Passaggio
e trasformazione del vero nel fantastico
pauroso. Come lungo il v. 11 con l'emi-
stichio avanti ! come determinato il 12 !
come pieno de' germi della paura il 13 !
(Terribil ombra... seminate al piede).
Quarto momento, la paura: in tre par-
ticelle. Motivi della paura, all' udito ;
motivi della paura, alla vista; due
versi rispondenti a due versi, incerti
i primi, mobili i secondi; il 16 « il 19
154 LA NOTTE
Su per le case e su per l'alte torri,
Di teschi antiqui seminate al piede;
E ùpupe e gufi e mostri avversi al sole
16 Svolazzavan per essa, e con ferali
Stridi portavan misei-andi augurj :
E dal terreno lievi e smorte fiamme
Di su di giù vagavano per 1' aere
Orribilmente tacito ed opaco ;
20 E al sospettoso adultero che lento
Col cappel su le ciglia, e tutto avvolto
Nel mantel, se ne già con 1' armi ascose,
Colpieno il core e lo strignean d' affanno.
E fama è ancor clie pallide fantasime
25 Lungo le mura dei deserti tetti
Spargean lungo acutissimo lamento
Cui di lontan per entro al vasto buio
I cani rispondevano ululando.
Tal fusti, o Notte, allor che gì' inclit' avi,
30 Onde pur sempre il mio Garzon si vanta,
Eran duri ed alpestri, e con 1' occaso
14. Upupe e gufi B. — 17. lievi dal terreno e smorte (CI., C. col R.) Dopo il v.
quale ho seguito, (giusta la comunicaz. del Salveraglio al M.) e' è di pia il seg. Sor-
geano in tanto, e quelle smorte fiamme — 22. Entro al manto san già V. — 23. Col-
piano V. — 27. di lontano per'lo vasto
di grand' estensione e comprensione si tura ducere voces » e xii 863 « Quae [ales]
di suoni SI di termini. La terza è de- quondam in bustis aut culmiuibus de-
gli effetti morali: versi di suoni incerti sertis Nocte sedens serum canit impor-
e interrotti, poi tardi e gravi. (E ùpupe tuna per umbras ».
e gufi e lo strignean d'affanno). 21-28. pallide fantasime...: ricorda
Quinto momento. Il fantastico pauroso Virgilio Gè. i 470 sgg., specialm. «etsi-
piglia al fine nelle menti sbigottite par- mulacra modis pallentia miris Visa sub
venze soprannaturali, in versi d' armo- obscurum noctis », poi « et aitae Per
iiia prima ondulante poi acuta e fedente noctem resonare lupis ululantibus ur-
(E fama è ancor.... acutissimo lamen- bes ». E altri luoghi virgiliani si potreb-
to). Si ritorna al naturale con la sensa- ber trascrivere, di cui è derivato qui al-
zioue del buio e della lontananza {Cui cuno elemento; di memoria, ben inteso,
di lontan .... ululandb). La fine della e compenetrato nella nuova imagina-
visione risponde al principio, semplice zione. Questa notte medievale romantica
indeterminata e concisa più anche d'idee è stupendamente classica: che cosa più
che di parole» (Carducci, 332-'3J). stupendamente romantico dei classici a
11-16. E lipiipe e gnB... : il Foscolo ne' certi luoghi ?
Sep. « L'upupa svolazzar su per le croci 31 sg. con l'occaso Cadean... al sonno
Sparse per la funerea campagna» ri- in preda: cfr. il Malt. 56 «col cadente
cordò apertamente il luogo pariniano e Sol...», e qui nota la figura gramma-
ne serbò, che non è esatto, il nome di ticale; decedente die, riposavano an-
ùpupa a un uccello notturno. Virg. Aeu. ch'essi, il che vuol dire che vivevano
IV 462 « Solaque culminibus ferali car- conforme a natura, come poi solo i la-
mine bubo Saepe queri et longas in fle- voratori.
LA NOTTE 155
Cadeau dopo lor cene al sonno in preda,
Fin che l'aurora sbadigliante ancora
Li richiamasse a vigilar su l' opre
35 De i per novo cammin guidati rivi
E su i campi nascenti, onde poi grandi
Furo i nepoti e le cittadi e i regni.
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere,
Ecco del gioco, ecco del fasto i Geni,
40 Che trionfanti per la notte scorrono.
Per la notte che sacra è al mio Signore.
Tutto davanti a lor, tutto s'irradia
Di nova luce. Le nimiche tenebre
Fuggono riversate, e 1' ali spandono
46 Sopra i covili ove le fere e gli uomini
Da la fatica condannati dormono.
Stupefatta la notte intorno vedesi
Riverberar, più che dinanzi al sole.
Auree cornici e di cristalli e spegli
60 Pareti adorne e vestimenti vari,
E bianche braccia, e pupillette mobili,
E tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie ed anella, e mille cose e mille.
Cosi r eterno caos, allor che Amore
65 Sopra posovvi e il fomentò con 1' ale,
Senti il generator moto crearsi.
Senti schiuder la luce, e sé medesmo
Vide meravigliando, e i tanti aprirsi
Tesori di natui-a entro al suo grembo.
35. De' V. — 37. nipoti V. — 43 ag. Le inimiche t. F. rovesciate V. — 46. A la
fatica C. — 50-53. Pareti adorne e vesti varie e bianchi Omeri e braccia e pupillette
mobili E tabacchiere preziose e fulgidi Monili e gemme e mille cose e mille. V. (B., C.)
— 55. e l'adombrò V. — 56. crearse (CI., C.) — 58. e tanti aprirse (CI., C.) e tanti
aprirsi B. e i novi aprirse V.
38-59. Dopo la notte qual fu (vv. 4-28), Da la fatica condannati: gli uomini non
la notte qual è; dopo quella degli avi, sono i semidei, anzi si pospongono an-
tenebrosa e paurosa, quella de' nipoti, che a le fere. Nota Da la fatica, non A
luminosa e gioconda. E il tratto è ani- la fatica: cfr. il Mezz. 23 «Dominati
mato da briosa vivacità, d'imagini e di dal tempo ».
suoni: notevole l'uso e l'effetto degli 47 sgg. Stupefatta la notte ... Virgilio,
sdruccioli. Gè. ii 82, dice dell'albero selvatico eh' è
43 sg. Le nimiche tenebre Fuggono ri- innestato « Miraturque novas frondes et
versate : o rovesciate, cioè vinte e cac- non sua poma ». Della stessa guisa è
ciate violentemente indietro. Ricordati questo maravigliarsi, stupirsi della not-
le onde spezzate, rovesciate dai potenti te, che vede intorno tanta luce e tanto
ripari, il Mezzog. 888. luccichio.
45 sg. i covili ore le fere e gli uomini 51-59. Il caos, eterno cioè che era da
156
LA NOTTE
60
65
70
O de' miei studi generoso alunno,
Tu seconda me dunque, or eh' io t' invito
Glorie novelle ad acquistar, là dove
0 la veglia frequente o 1' ampia scena
1 grandi eguali tuoi, degna degli avi
E dei titoli loro e di lor sorte
E dei pubblici voti, ultima cura,
Dopo le tavolette e dopo i prandi
E dopo i corsi romorosi aduna.
Ma dove abi! dove senza me t'aggiri.
Lasso! da poi che in compagnia del sole
T'involasti pur dianzi agli occhi miei?
60. glorioso V. — 61 sgg. t'invito Colmo di glorio ad ottener là dove V. m'innoltro
Per li varj spettacoli notturni, E vo segnando a te 1' ultime norme Che compiaa tua
magnanima carriera. V. — 64. degni degli avi C. — 68. 1 corsi clamorosi occupa. (CI.)
clamorosi aduna. B., C. — 69. Or
infinito, buio e cieco, fatta la luce, vide
per la prima volta, e però meraTìgUando,
sé stesso, poi vide uscire da sé tutte le
bellezze e gli splendori dell'universo,
nella cui ordinata produzione esso ve-
niva a cessare. La sproporzione del raf-
fronto tra l'universo ch'esce dal caos e
della notte eh' è stenebrata dall'eleganza
è manifesta e secondo i modi ironici
consueti all'autore. — il fomentò con
l'ale (fovit), viene a dire « covò », e l'ima-
gine, pure in un luogo non intimamente
serio ma in" servigio dell'ironia, non
dovè finir di piacere al P. ; ma la var.
e Vadombrò ognun sente che qui suo-
nerebbe importuna.
60. Può intendersi « illustre discepolo
delle materie che io insegno », ma an-
che, e forse meglio per l' intimo sapore
classico della frase, « o nobile allievo
delle mie cure ».
63-68. 0 la Teglia frequente o l'ampia
scena, 0 la conversazione (per l'agg. cf.
il Vespr. 350) o il teatro; le due parti
che dovean comporre questo poemetto,
e di cui solo è fatta la prima. Più bella
è la frase e meglio determinata che nel-
l'altra lez. li varj spettacoli notturni,
che pure tornan sempre a quelli annun-
ciati nel Matt. 65 « le veglie e le canore
scene E il patetico gioco». È detta ul-
tima cura, cioè ultima del giorno; essa
è l'occupazione della notte, come del
mattino la toilette, del mezzogiorno il
pranzo, della sera il corso, — degna de-
gli avi E....: apposizione anticipata a
ultima cura; adeguata cioè alle borie
della casata, al privilegio della sorte, e
tale da soddisfare il pubblico desiderio;
cfr. il Matt. 1219 sg. Ho cercato aiutare
con l'interpunzione la pronta intelli-
genza di questo passo alquanto diflBcile
(più facile ma alieno da qui il degni eh' è
nel Gantù ; allora l'apposiz. è ai grandi
eguali; son essi degni degli avi ecc.,
essi dei pubblici voti ultima cura, cioè
obietto dell'interessamento comune) : la
conversazione o il teatro, quale ultima
occupazione del giorno, degna ecc. , ra-
duna i grandi ogaali tuoi (frase che ri-
torna, epicamente, in più luoghi tal quale
0 molto simile, e che non può parafra-
sarsi senza guastarne il malizioso signi-
ficato). — le tavolette, cfr. il Matt. 485
e la nota. — aduna: poiché col Bramieri
il Cantù e con lui il Carducci hanno ac-
colta questa variante, l'accolgo in buona
compagnia. La lez. dopo i corsi clamo-
rosi occupa, con, senza prò né perché,
quella licenza d'accento, è probabile che
avrebbe ceduto il luogo all' altra, o ad
altra. Men male Voccupa al v. 337; e
basta una volta; cfr. anche var. de H
Matt. 224.
69-76. Il p. incominciando ha chiesto
alla Notte che gli permetta cercare e
guidare entro il suo regno il Giovin si-
gnore ; ed ecco eh' ei lo cerca, quasi
l'abbia smarrito, e stenta fino al v. 122
a ritrovarlo.
LA NOTTE 157
Qual palagio ti accoglie, o qiial ti copre
Dai nocenti vapor eh' Espero mena
Tetto arcano e solingo; o di qual via
75 L'ombre ignoto trascorri, ove la plebe.
Affrettando tenton, s'urta e confonde?
Ahimé! tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio,
Ove il varco è più angusto, il cocchio altrui
Incontrò violento; e qual dei duo
80 Retroceder convenga, e qual star forte.
Disputano gli aurighi alto gridando.
Sdegna, egregio garzon, sdegna d' alzare
Fra il rauco suon di stèntori plebei
Tu' amabil voce; e taciturno aspetta,
85 Sia che all'un piaccia riversar dal carro
Lo suo rivale, o riversato anch'esso
Perigliar tra le rote, e te per 1' alto
De lo infranto cristal mandar carpone.
Ma r avverso cocchier d' un picciol urto
90 Pago sen fugge o d' un resister breve :
Alfin libero andrai. Tu, non per tanto,
Doman chiedi vendetta; alto sonare
Fa il sacrilego fatto; osa, pretendi;
E i tribunali minimi e i supremi
75. onde V. — 77. Airaè (Ci.) — 78. Dove V. — 80. convegna V. — 81. i cocchieri V.
— 85. rovesciar V. — 86. rovesciato V. — 87. fra le V. — 89. di V. — 90. Contento
parte V. — 92 sg. Alto rimbombi II V, (B.) — 93. Fa l'oltraggio a te fatto; V.
77-81. Una prima ipotesi: che sia bil roce. — di steutori plebei, i cocchie-
nata contesa tra due coccliieri, quello ri: dairomerico Steutore di voce ferrea
del Giovine illustre e di un altro signo- (j(a).K£o<pùva}) clie grida per cinquanta
re, chi dovesse tornare indietro, trova- (II. v 785 sg.) è venuto un nome comune
tisi in luogo ove il varco è pili angnsto, e un aggettivo comunissimo. Anche Gio-
cioè, o per istrettezza di spazio o per venale scrisse, xm 112, « Stenterà vin-
affoUarsi di carrozze, v'è il passo per cere».
un solo. Questa scenetta abbozzata ri- 87 sg. Perigliar, correr pericolo : si-
chiama quella narrata ne i Promessi mile al pericolando che vedemmo ne
Sposi, ove quegli che dovea poi essere 'l Mezzog. 594. — e te per l'alto... luan-
il padre Cristoforo, per non ceder la dar carpone: determinando l'alternativa
mano, uccise chi contendeva con lui. — ch'era nel Sia che all'un piaccia ... o ...
Disputano tdwptUaJio accentò, pare, l'au- coglie 1' occasione di far ridere anche
tore, ma, in lingua che ammette i più qui del Giovin signore mostrandolo ca-
che sdruccioli, non vedrei ragion suEfì- scar fuori dal finestrino della carrozza
ciente di suono la quale raccomandi con le mani per terra,
tale licenza: cf. la nota al v. 68. 93. osa, pretendi: impossibile non ri-
83 sg. il ranco suon, emistichio tas- pensare l'emistichio del superbo sonetto
sesco «Il rauco suou de la tartarea troni- a Vittorio Alfièri « osa, contendi » ; e an-
ba»; qui, le grida incomposte che né che il pretendi ha un senso compiuto iu
pure soD Toci : in contrapposto a Ta' am»* sé.
158 LA NOTTE
95 Sconvolgi agita assorda : il mondo s' empia
Del grave caso, e per un anno almeno
Parli di te de' tuoi corsier del cocchio
E del cocchiere. Di si fatte cose
Voi progenie d' eroi famosi andate
100 Ne le bocche degli uomini gran tempo.
Forse indiscreto parlator trattiene
Te con la dama tua nel vuoto corso.
Forse a nova con lei gara d' ingegno
Tu mal cauto venisti; e già la bella
105 Teco del lungo repugnar s'adira,
E la man che tu baci arretra e tenta
Liberar da la tua ; di già minaccia
Ricovrarsi al suo tetto, e quivi sola
Involarsi ad ognuno, infin che il sonno
110 Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.
In van chiedi mercé, di mente in vano
A lei te stesso sconsigliata incolpi:
Ella niega placàfi'se : il cocchio freme
Dell' alterno clamore : il cocchio intanto
115 Giace immobil fra 1' ombre ; e voi sue care
Gemme il Bel Mondo impaziente aspetta.
Ode il cocchiere alfin d' ambe le voci
101 sg. Forse ciarlier fastidioso indugia — Forse indiscreto parlator assedia — Forse
OZIOSO parlator, con alte Braccia pendendo dal tuo coechio, assedia — Vv. nel voto corso
B. — 106. Già (CI., C.) — 107. e già (B., CI., C.) — 109. Involarse (CI., C.) — 111. Ahi
lasso! luvan chiedi mercé: di mente — Tu iuvan chiedi mercé; tu a lei di mente In-
van te stesso s. i. : Vv. — 114. e il cocchio V. — 114 sg. e giace intanto Immobile B,,
C. — 115. ombra: V. — 116. appella. V. — 117. l'auriga V. (B., C.)
95. SconTolgi, metti sossopra; agiti» queir a lei eh' è frapposto: ben lo senti
assorda, efficacissimo asindeto. Cf. un il P., come si vede dall'ultima variante
altro al v. 173. • eh' egli segnò.
99. sg. famosi andate ìie le bocche de- 114 sg. il cocchio Intanto...; a spie-
gli nomini: è l'enniano e virgiliano vo- garti perché il p. torni a dire il eocchio
litare per ora vlrum; a che proposito ! qui, come gii'i avea detto nel verso in-
101-110. Un gruppo di altre ipotesi. nanzi (chi non badò a questo, variò il
— nel vuoto corso, cioè dopo die già testo), osserva che questa proposizione
tutti ne son partiti. — del Iniigi) repii- è in rilevato contrasto con la seguente :
gnar, del tuo persistere a contraddirla. « il cocchio risuona di quel diverbio ;
— arretra, coordinato com'è a tenta Li- intanto il cocchio sta là nell'ombra, e
bi^rar, mostra esser usato transitivo : il Bel Mondo aspetta con impazienza le
« tira indietro, ritira ». sue care gemme » (frase che fa pensare
111 sg. di mente... sconsigliata incoi- ai «duo lumina mundi» di Virgilio):
pi: inutilmente ti accusi d'aver torto, cfc.il MaitA^l «O gemma degli eroi»,
di non intender nulla. Ma mente e scon- 117-120. d'ambe le voci Fn comando
sigliatn paion troppo lontani tra loro, indistinto: le voci, alternale prima a di-
ne senza lieve anlibologia iu causa di scordi nel litigio, si uniscono a un tratto
LA NOTTE 159
Un comando indistinto, e bestemmiando
Sferza i corsieri, e via precipitando
120 Ambo vi porta; e mal sa dove ancora-
Folle! di che temei? Sperdano i venti
Ogni augurio infelice. Ora il mio eroe
Fra r amico tacer del vuoto corso
Lieto si sta la fresca ora godendo
125 Che dal monte lontan spira e consola.
Siede al fianco di lui lieta non meno
L'altrui cara consorte. Amor nasconde
La incauta face ; e il fiero dardo alzando,
Allontana i maligni. 0 Nume invitto,
130 Non sospettar di me, eh' io già non vegno
Invido esplorator ma fido amico
De la coppia beata a cui tu vegli.
E tu, Signor, trónca gì' indugi. Assai
Fur gioconde quest' ombre, allor che prima
135 Nacque il vago desio che te congiunse
All'altrui cara sposa, or son due lune.
Ecco, il tedio a la fin serpe tra i vostri
Cosi lunghi ritiri: e tempo è ornai
Che in più degno di te pubblico agone
Ito. i cavalli V. - 123. del voto B. - 12G. lieta del paro V. - 129. Oh CI. - 136.
A l'altrui B. — 138. ormai V. — 139. publico CI.
per dare un ordine, forse diverso, certo d'un gerundio o d'un aggettivo : ' risto-
confuso, al cocchiere, che solo intende rando ' o ' ristoratrice '.
di dover partire. Nota i versi 118 e 119 128. La incauta face: perché, col suo
desinenti in gerundio e rimanti : son due chiarore, rivelatrice.
momenti successivi d' una stessa azio- 129-'32. Questa apostrofe al dio che
ne, che qui è anche romorosa. Cf. Fo- vigila in guardia, cosi schietta e rimessa
scòlo Sep. 79 sg.: i" apparenza, quanta malizia nasconde I
E quale esploratore era da tener lontano
La derelitta cagna ramingando -^ ^. q^gg^Q poeta... se fosse stato pos-
S« le fosse e famelica ululando. ^.^^^^^^ _ ^ ^^^ ^^ ^^^,.^ .^^ ^^^ ^^^^^.^ ^^
Qualcosa di simile potrebbesi esempli- vigili : cfr. il dantesco « L'una vegghiava
ficare da poeti latini, ove si tratti a a studio della culla ».
punto di paiti o d' un' azione stessa o 133. tronca gl'indugi, rumpe mo-
d'uno stesso insegnamento. ras; già visto.
123. Fra l'amico tacer, amica silen- 134-140. allor che prima, primiera-
^^^^ mente, da prima; primum. — il vago
124 sg. la fresca Ora godendo Che ... : desio, potrebbe scambiarsi senza mutar
l'aria fresca (ora per aura qui giovò senso in desiosa vaghezza. — or son
anche a evitare l'incontro /Tese» aura) due lune, due mesi; e pare una circo-
che vien dalla parte dei monti. - spira stanza determinativa innocentissuna.
e consola: notevole questa felice unione Ma dal soggiungere Ecco, il tedio a la
d'un intransitivo e d'un transitivo senza fln serpe tra i vostri Cosi lunghi ritiri
complemento, il quale ultimo tieu luogo scoppia l' ironia. - Splendano igeni tuoi:
160
LA NOTTE
140 Splendauo i geni tuoi. Mira la NuLte
Che col carro stellato alta sen vola
Per l' eterea campagna, e a te col dito
Mostra Teseo nel ciel, mostra Polluce,
Mostra Bacco ed Alcide, e gli altri egregi
145 Che per mille d' onore ardenti prove
Colà fra gli astri a sfolgorar salirò.
Svegliati ai grandi esempi, e meco affretta.
Loco è, ben sai, ne la città famoso,
Che splendida matrona apre al notturno
150 Concilio de' tuoi pari a cui la vita
Fora senza di ciò mal grata e vile.
Ivi le belle e di feconda prole
Inclite madri ad obliar sen vanno
Fra la sorte del gioco i tristi eventi
155 De la sorte d' amore, onde fu il giorno
Agitato e sconvolto. Ivi le grandi
Avole auguste e i genitor leggiadri
De' già celebri eroi il senso e l'onta
Volgon degli anni a rintuzzar fra l' ire
160 Magnanime del gioco. Ivi la turba
144. Illustri V. — 151. senza di ciò epregiata V. — 158. Tonto V.
« cfr. sopi-a al v. 39, e il riscontro ti
darà la chiave di questa malizia » (M.).
140-'47. MirB la Notte Che... Uno dei
raaravigliosi movimenti con che il P. si
allarga alla grande poesia della natura
e l'associa agl'intenti della satira, ser-
bando Integra quella, facendo questa più
forte. — col carro stellato alta sen rola Per
l'eterea campagna: nessuno ripensa all'o-
rigine mitologica dell' imagine, espressa
cosi, con tanto fresca e potente larghez-
za: e a te col dito Mostra..., ingegnosis-
simo ; la Notte ne' suoi astri, nelle sue
costellazioni ti designa eroi divinizzati.
cui tu debba emulare. Si può, pur tra
tanta bellezza, notare forse alcuna par-
ticolarità meno perfetta: lasciamo che
si nomina Pollnce senza Castore, per-
ché r uno sta per entrambi (se mai ai
P. il verso si presentò da prima cosi
Mostra Castore in ciel, mostra Pol-
luce , che mi par verisimile , non lo
scrisse spiacendogliene i suoni), ma si
nominano insieme coi Gemini Teseo,
Bacco, Ercole, fatti immortali si ma non
astri, bene aventi tuttavia tra gli altri re-
lazioni e parentele, e in somma nel cielo
anch' essi. Tra certi soggetti di cammei
{Progr. di B. A. 74 sg.) puoi vedere che
il P. proponeva « dodici degli Eroi che
meritarono d'esser collocati in cielo»,
e v' è « Bacco con Arianna [ricordane
la costellazione], Ercole con Dejanira,
Castore con Polluce», poi Teseo ecc.
14S-'51. Loco è... Spunto classico «Est
locus...», frequente.
156-'C0. Per la lontananza e l'inver-
sione dei termini non riesce molto per-
spicuo. Pure il senso non è dubbio : « Le
nonne maestose e i babbi agghindati ivi
Tolgon, cioè vanno là {ivi sen vanno,
dice il periodo precedente), a rintuzzar
il senso e l'onta degli anni, a svagarsi
dall'afflizione e dalla vergogna che sen-
tono dell'età, a vendicarsene, fra l'ire
magnanime del gioco ».
lOO-'òO. I giovani. Nota il verso epico
De la feroce giorentii divina. Scende a
pngnar: scendere è rimasto in queste
frasi da antico ; in certamen descendere.
LA NOTTE 161
De la feroce gioventù divina
Scende a pugnar con le mutabil' arme
Di vaghi giubboncei, d' atti vezzosi,
Di bei modi del dir stamane appresi;
165 Mentre la vanità fra il dubbio marte
l^obil furor ne' forti petti inspira,
E con vario destin dando e togliendo
- Le combattute palme, alto abbandona
I leggeri vessilli all' aure in preda.
170 Ecco che già di cento faci e cento
Gran palazzo rifulge. Multiforme
Popol di servi baldanzosamente
Sale scende s' aggira. Urto e fragore
Di rote di flagelli e di cavalli
175 Che vengono che vanno, e stridi e fischi
Di gente che domandan, che rispondono,
Assordan l' aria all' alte mura intorno.
Tutto è sti-epito e luce. O tu che porti
La dama e il cavali er, dolci mie cure,
180 Primo di carri guidator, qua volgi}
E fra il denso di rote arduo caraminQ
Con olimpica man splendi ; e d' un corso
Subentrando i grand' ati-j, a dietro lascia
Qual pria le porte ad occupar tendea.
162. con le mirabil' arme col P, tutti — 168. La combattuta palma V. (B.) — 177,
& l'alte B.
— con le inutabir arme : «Il Reina legge differenti le azioni. I tre versi dal 174
mirabWarme, ma già il Tonti avverti, al 176, egualmente tonati sulla 6», con
e il Salveraglio mi conferma, che gli au- di più tutti e tre un accento sulla 2»,
tografi hanno mutabil' arme ; onde la rendono egregiamente quel rumore as-
correzione è ormai doverosa. Naturai- Bordante, indistinto; e la continuità ne
mente, mutabili vale che si mutano e è resa dal terzo verso con lo sdrucciolo
rimutano, come vuole la moda, di giorno finale che si lega strettamente alla pa-
in giorno» (M.): ed è aggiunto, come rola iniziale del verso successivo,
ognun sente, appropriatissimo e signi- 178-'80. 0 ta... Primo di carri gnida-
Ucativo, di conio pariniano; che richiama tor: appellativo epico per « auriga, eoe-
«il volubil tatto Degl'ingenui palati», chiere », cf. Mezzog. 224-';;5. La deter-
il Mezzoij. 206. — fra il dubbio marte, minaz. clie porti la dama e il caralier
tra l'incertezza della battaglia: frase dolci mie cure mostra a quale guidatore
latina, anche della prosa. E il séguito il p. parli: cfr. per questo verso il AfSz
mostra la vittoria inclinante e accen- sog. 772.
nante or da una parte or dall'altra, raen- lSl-'84. fra il denso di rote arduo cam-
tre le bandiere fluttuano nell'aria. mino, diflicile a punto per la frequenza
170-'78. « Descrizione d'arte perfetta, delle carrozze, per cui il varco è an-
per rapidità, densità, evidenza » (M.). .Sale gusto (viene a mente la felicissima espres-
gcende s'aggira, staccati i verbi come sioae de M cacfwfa « tra l'obliqua Furia
Pablni — Albini. XI
162
LA NOTTE
185 Qaasi a propria virtù, plauda al gran fatto
Il generoso eroe; plauda la bella,
Che con- l'agii pensier scorre gli aurigM
De le dive rivali, e novi al petto
Sente nascer per te teneri orgogli.
190 Ma il bel carro s'arresta; e a te la dama,
A te prima di lei sceso d' un salto.
Affidata, o Signor, lieve balzando.
Col sonante calcagno il suol percote.
Largo dinanzi a voi fiammeggi e grondi,
195 Sopra l'ara de' numi ad arder nato,
Il tesoro dell' api : e a lei da tergo
Pronta di servi mano a terra proni
Lo smisurato lembo alto sospenda;
Somma felicità che lei separa
200 Da le ricche viventi, a cui per anco,
Misere ! su la via 1' estrema veste
Per la polvei'e sibila strisciando!
190, 102. e a te, Signore, — Affidata la Dea V. (C.) — 194. gronde (CI., C.) — 198.
alto raccoglie V. (B.) — sostiene V. — 201. sg. Misere! Sopra il suol l'estrema veste
Sibila per la polvere strisciando — Misere ! per la via l'è. v. Sibila fra la p. s. Vv.
flj' Ccarri »). — Con olimpica man splendi:
segnalati con la sicurezza e bravura uel
guidare, quale d'un vincitore alla corse
d'Olimpia; la qual frase, splendida ve-
ramente e solenne, prende sua determi-
nazione dalla coordinata susseguente.
— d'nn corso Subentrando 1 grand'atrj:
cioè, non già or affrettando or rallen-
tando ma a corsa eguale e spiegata. Per
il costrutto di subentrare transit. cf. il
subire latino, « tecta subimus ». — (^nal
pria... : chi già era avviato e prossimo
a entrare.
187-'89. con l'agii pensier scorre gli
anrighi De le dive rivali: cioè, pensa ra-
pidamente tutti i cocchieri, o sia tutte
le carrozze rimaste indietro. L'agilità,
la celerilas, è delle doti precipue della
mente, qui mentovata e usata a ben te-
nue proposito. — per te, per opera tua:
sempre parlando al cocchiere. Può pa-
rere strano che il P., cosi difficile e quasi
scrupoloso in fatto di suoni, lasciasse
correre questa durezza Sente n. per te
teneri o. ; tanto più che teneri orgogli
non è gran fatto perspicuo né però ef-
ficace : forse, moti d'orgoglio misti d'una
(erta commozione affettuosa.
190 sgg. A te... ABidata, cioè alla mano
che le porgi. — lieve balzando, saltando
giù agilmente. — Col sonante calcagno
il snol percnote, bello l'aggettivo che fa
pensare alle scarpette dall'alto tacco,
bello il verso per opportunità di suoni.
191-'£6. Largo, in abbondanza. E nel
flammeggi e grondi è viva rappresenta-
zione de' grandi torchi accesi; mentre
il tesoro dell'api dal contesto s'intende
bene che qui non vale il miele ma la
cera. — Sopra l'ara de' numi... : de' numi
celesti, e in servigio de' numi terreni.
197. L'intreccio delle parole è tutto
alla latina, felicemente. — mano è la
mano, o, classicam., stuolo, drappello?
Forse questo, puoi cfr. il Mate. :J70-'91
e 891-'98, ma è un po' dubbio.
199-202. Somma feliciti^..., grande pri-
vilegio. — Da le ricche Tiventi, dalle non
patrizie. — l' estrema Teste, latinam.,
l'estremità della veste: ricorda la gio-
venca virgiliana che « gradiens ima ver-
rit vestigia cauda», cioè cammina
Spazzando l'orme con la coda estrema,
come tradusse Ant. Nardozzi.con un ver-
so pariniano.
LA NOTTE
163
Alii! se uovo sdegnuzzo i vostri petti
Dianzi forse agitò, tu chino e grave
A lei poi-gi la destra, e seco innoltra
Quale ibèro amador, quando, raccolta
Dall' un Iato la cappa, contegnoso
Scorge r amanza a diportarse al vallo,
Dove il tauro abbassando i corni irati
Balza gli uomini in alto, o gemer s'ode
Crepitante giudeo per entro al foco.
Ma no, che 1' amorosa onda pacata
Oggi siede per voi ; e quanto è d' uopo
A vagarvi il piacer, solo la increspa
Una lieve aleggiando aura soave.
Snello adunque e vivace offri a la bella
Mollemente piegato il destro braccio;
Ella la manca v'inserisca: premi
Tu col gomito un poco; un poco anch' ella
203 se novo — lieve Vv. — 208. Guida la dama V. Guida l'amanza 0. a diportarai
B — 210. Spinge V. — 219. Anch' olla un poco — Tu col g. alquanto : un poco a. e. Vv.
205
210
215
203-'05. se... forse: cf. il Vesp. 256 e
la nota. — chino e graye, ossequioso ma
serio.
206-211. Quale ibèro amador... : Io spa-
gnuolo, altrove addotto iu esempio di
gelosia, il Mezzog. 202-'01, qui sta a ri-
trarre la maestosità coutegnosa dell' in-
cedere; raccolta Dall' un lato la cappa,
cioè sur un braccio, e la disposizione
del drappeggio conferisce molto al ca-
rattere della figura. — Scorge l'amanza a
diportarse, accomiiagna la sua donna a
divertirsi — al vallo, allo steccato, cioè
al luogo riservato e ricinto per uno spet-
tacolo. Nota come, trattandosi d'uno
spago uolo, il p. scelga spettacoli pecu-
liari alla Spagna, 1" uuo tuttora nsitato,
la corrida dei tori, l' altro naturalmente
disusato, l'arsione degli eretici; e come
designi il primo con una particolarità,
con una perifrasi (al vallo Dove il taiin)
abbassando i corni irati Balza gli nomini
in alto) alta a significare l'inumanità
di esso spettacolo, e del secondo renda
con un'imagine la ripugnante barbarie
(gemer s'oda Crepitante giudei) per entro
al foco). È naturale che vengano a mente
gli sciolti de U autodafé (auto de fé,
supplizio de' condannati dall' Inquisi-
zione) che dice a punto
.... in qual guisa l'Ibero
Amator di spettacoli funesti
Soglia a sé far delizioso obbietto
De la morto de gli empi ecc.
e descrive ,
.... l'orribile teatro
Spalancato ingoiar per cento vie
La ognor di stravaganze avida plobe.
E il vallo vi è poi significato con le pa-
role
Ecco sorger da un lato anfiteatro
Lagrimevole e tristo ...
Ma tutto ciò, e il rimprovero a Iberia
Che si spesso ritorni al fero gioco,
esce più efficace dal tócco eh" è per in-
cidenza nel poema che non da quel com-
ponimento apposito: perché il tócco è
di vero poeta e di perfetto artefice.
212-'15. Oggi il mare è tranquillo, l'a-
mor vostro è in bonaccia. Ma detto con
la solita eleganza. Avverti specialm. l'a-
morosn onda pacata Oggi siede. Non è
quella irauquiUitàc/ie nuoce, di cui parla
un luogo insigne de 'l Mezzog. 117-'26.
2l6-'23. La verità di tutti i particolari
diventa vivace quadretto negli ultimi
versi. E di che vital e come osservata!
Ricordo, descritte 'da Alf. Daudet {le
164
LA NOTTE
220 Ti risponda premendo, e a la tua lena
Dolce peso a portar tutta si doni,
Mentre lieti celiando a brevi salti
Su per 1' agili scale ambo affrettate.
Oh come al tuo venir gli arcbi e le volte
225 De' gran titoli tuoi forte rimbombano !
Come a quel suon volubili le porte
Cedono spalancate, ed a quel suono
Degna supèrbia in cor ti bolle, e face
L'anima eccelsa rigonfiar più vasta!
230 Entra in tal forma, e del tuo grande ingombra
Gli spazi fortunati. Ecco di stanze
Ordin lungo a voi s' apre. Altra di servi
Infimo gregge alberga, ove tra' lampi
Di molteplice lume or vivo or spento
236 E fra sempre incostanti ombre scbiamazza
Il sermon patrio e la facezia e il riso
Dell' energica plebe. Altra di vaghi
220. e a le tue forze — e a te fidata Vv. — 222. Mentre insieme celiando V. — 222
sg. Mentre a piccioli salti arabo affrettate Per le sonanti scale alto celiando. V. (B.) —
231 sg. Ecco a te s'apre — Ecco a voi s'apre Di stanze ordine lungo Vv. (la 2* B.) —
234. lume acceso e spento V.
Nabab, iv), signore che arrivano a una
soirée : « Les femmes, sans rien enten-
dre, préoccupées d'elles-mémes, avec de
petits caracolements sur place, des grà-
ces frissonnantes, des jeux de 'prunelles
e t d'épaules, murmuraient quelques mots
d'accueil ».
224-'29. « Mi comunica il Salveraglio
che il P. cancellò questi versi. Né, a dir
vero, erano notevoli in nulla » (M.). Di
più, il sonoro annunzio del nome è cir-
costanza ripetuta da 'l Mezsog. 208 sgg.
— Toliibili le porte, presto giranti sui
cardini.
230. del tuo grande: l'aggettivo so-
stantivato per l'astratto, uso al P. anche
troppo caro. Ognuno ricorda i versi,
non belli, di un" ode che ne ha di glo-
riosi, ov'egli dice a' suoi colli nativi:
Dal bel rapirmi sento
Che natura vi die.
E cf. più innanzi al v. 686.
231 sg. di stanze Ordin lungo: cf. il
Matt. 1173-"74.
232-'37. Altra, stanza, cioè una, l'au-
ticamera, ove sta di serri Infimo gregrge
(cf. in vece il Matt. 266 « del primo or-
dine servi »), e sono lampi Di molteplice
Inme e sempre Incostanti ombre a cagione
del frequente alzare e abbassar le por-
tiere delle stanze più interne, dell'aprire
e chiuder la porta, del passar della gente.
— Il sermon patrio : poiché sùbito in al-
tra stanza udiremo accento stranier,
potrebbe intendersi la lingua italiana,
ma s' ha a intendere particolarm. il dia-
letto (quel che altrove dirà vernacolo
accento), appartenendo al primo ter-
mine non meno che ai due seguenti la
specificazione Dell'energica plebe: ener-
gica, in quanto il suo parlare e motteg-
giare è, col suo bene e col suo male,
l'opposto della delicatezza raflSnata.
237-'43. Altra, stanza, più interna. —
di vaghi Zazzerati donzelli : « correggo
su gli autografi, per cortesia del Salve-
raglio, zazzerati (il Reina e tutti gli al-
tri han zazzeruti), - col parrucchino - »
(M.) : cosi già il Tonti, e sembra dir me-
glio che si tratta di zazzera posticcia.
— certa sede, stabile: questi valletti non
LA NOTTE 165
Zazzerati donzelli è certa sede,
Ove accento straniar misto al natio
240 Molle susurra, e s'apparecchia intanto
Copia di carte e moltiforme avorio;
Arme 1' uno a la pugna, indice 1' altro
D' alti cimenti e di vittorie illustri.
Al fin più interna, e di gran luce e d' oro
245 E di ricchi tappeti aula superba,
Sta servata per voi prole de' numi.
10 di razza mortale ignoto vate
Come ardirò di penetrar fra i cori
De' semidei, ne lo cui sangue in vano
260 Gocciola impura cercheria con vetro
Indagator colui che vide a nuoto
Per l'onda genitale il picciol uomo?
Qui tra i servi m'arresto; e qui da levo
Nuove del mio Signor virtudi ascose
255 Tacito apprenderò. Ma tu sorridi,
Invisibil Camena, e me rapisci
Invisibil con te fra li negati
Ad ogni altro profano aditi sacri.
Già il mobile de' seggi ordine augusto
260 Sovra i tiepidi strati in cerchio volge :
E fra quelli eminente i fianchi estende
11 grave Canapè. Sola da un lato
La matrona del loco ivi s' appoggia ;
E con la man che lungo il grembo cade
265 Lentamente il ventaglio apre e socchiude.
238. Zazzeruti col R. tutti — 241. multiforme CI., C. — 246. È servata V. (B.) —
247. di stirpe V. — 248. penetrar nel tempio V. (B.) — 260. Sopra CI. — 263. ivi si
posa; V. (B.)
hanno a moversi sempre e andare in- il p. eh' ei non può entrare, ne verrebbe
nanzi e indietro come i camerieri d'an- che avrà poco a dire: in vece, mentre
ticaraera. — accento straniei* misto al si rassegna a stare co' servi, soggiunge
natio, o perché essi son parte italiani e che imparerà da questi nuore... virtudi
parte forestieri, o perché sanno un po' le ascose del signore ; e qual dubbio ch'essi
lingue. — Molle snsnrra, in contrapposto ne sappian qualcuna? Cf. il Vespro2(ìì-
a schiamazza del v. 235. — Occupazione '05. Ma è un tócco. Segue il son-idere
di questi paggi è preparare i giochi. della Musa : e il sorriso è innanzi tutto
251 8g. colui che vide... : Antonio Leu- perché la Musa ben sa come passar oltre
wenhoech olandese (1612-1723), celebre all'ostacolo a cui il poeta cedeva; e poi,
naturalista: vetro Indajfator, il micro- quanto altro non dice, in questo luogo, a
scopio. questo momento, il sorriso della Musa?
253-'58. Gran prontezza di acume nel 259-'62. Già le sedie son poste in cir-
far tutto cospirare all' ironia. Dicendo colo. — 1 tiepidi strati (lat. strato).
16G
LA NOTTE
Or di giugner è tempo. Ecco le snelle
E le gravi per molto adipe dame
Che a passi velocissimi s' affrettano
Nel gran consesso. I cavalieri egregi
270 Lor camminano a lato: ed elle, intorno
A la sedia maggior vortice fatto
Di sé medesme, con sommessa voce
Brevi note bisbigliano, e dileguansi
Dissimulando fra le sedie umili.
275 Un tempo il Canapè nido giocondo
Fu di risi e di scherzi, allor che 1' ombre
Abitar gli fu grato ed i tranquilli
Del palagio recessi. Amor primiero
Trovò l' opi'a ingegnosa. « Io voglio, ei disse,
280 Dono a le amiche mie far d' un bel seggio,
Che tre ad un tempo nel suo grembo accoglia.
Cosi, qualor de gì' importuni altronde
Volga la turba, sederan gli amanti
L' uno a lato dell' altro, ed io con loro ».
285 Disse, fé' plauso con le palme, e 1' ali
Apri volando impaziente all' opra.
271. A la sede V. (B.) — 276. di riso V. (B.) — 285 sg. fé' plauso a sé medesmo (B).
Disse, percosse ambe le palme, e l'ali Spiegò Vv.
tappeti, morbidi e grossi, che impedi-
scono il freddo. — i fianchi estende, si
allunga.
266-'69. Oltre all'armonia che seconda
sempre il pensiero, è da notare la ve-
rità: non che le snelle, anco le gravi per
molto adipe dame a passi relocissinii s'af-
frettano ; a passettini brevi e rapidi, quasi
trotterellando.
270-'74. la sedia maggior ..., le sedie
nmili...: il canapè e le seggiole in cer-
chio dette poi v. 318 te sedie minori. —
vortice fatto Di sé medesme : caudate co-
me $ono, nell'atto che inchinatesi alla
padrona di casa si volgono per andare
a posto, fanno come un gorgo. — dlle-
gjansi Dissimulando, con bel garbo, senza
parere, vanno lontane; ivi si sta a mi-
glior agio, come udremo ai v. 346-'48.
275-318. Come in fine de H Mezzog.
è la favola su l'invenzione mitologica
del Trictrac, qui è quella del Canapè,
trovato, dice, da Amore in servigio de-
gli amanti, etrasferito daminori e noiosi
geni a ti'ono di noia nelle conversazioni.
Questa favola, come anche quella, non
ha grandi o riposti intendimenti : è una
varietà elegante, intonata al tempo e
all'ambiente; uno dei tratti di settecento
che il P. inserì nel poema con naturale
convenienza alla sua materia.
276. di risi, preso da sé spiacerebbe
a ragione, benché sia nel poema anche
da sé, ma in unione a di scJierzl è bene
giustificato, né importa la variante; e
dipendendo da nido giocondo, il plurale
sta a dirittura meglio, né risa qui suo-
nerebbe altrettanto bene. Gf. v. 339.
2Sl-'84. tre ad nn tempo... gli amanti...
ed io con loro. È una garbata acutezza,
trovata per rendere accettabile la pic-
cola invenzione. Il canapè non pare per
due soli : volendo che sia, il restante
spazio SI finge serbato ad Amore. Ve-
dremo poi, vv. 306-*'12, che gì' ivi seduti
potevano anco essere altri.
285. fé' planso con le palme, batté la
mani.
LA NOTTE 167
Ecco, il bel fabbro lungo pian dispone
Di tavole contesto e molli cigne.
A reggerlo vi dà vaghe colonne
290 Che del silvestre Pane i pie leggeri
Imitano scendendo: al dorso poi
V alza pàtulo appoggio, e il volge ai lati
Come far soglion flessuosi acanti
0 ricche corna d' arcade montone.
295 Indi predando a le vaganti aurette
L' ali e le piume, le condensa e chiude
In tumido cuscin che tutta ingombri
La macchina elegante; e alfìn l'adorna
Di molli sete e di vernici e d' oro.
300 Quanto il dono d'Amor piacque a le belle !
Quanti pensier lor balenaro in mente !
Tutte il chiesero a gara: ognuna il volle
Ne le stanze più interne: applauso ognuna
A la innata energia del vago arnese
305 Mal repugnante e mal cedente insieme
Sotto ai mobili fianchi. Ivi sedendo
Si ritrasser le amiche; e da lo sguardo
De' maligni lontane, ai fidi oi'ecchi
Si mormoraro i delicati arcani.
310 Ivi la coppia de gli amanti a lato
Dell' arbitra sagace o i nodi strinse
0 calmò l' ira e nuove leggi apprese.
3. e tese clgne. V. (B.) — 298. machina CI.
287. il bel fabbro, esso Amore. morbido de' cuscini, dice che Amore
289 sgg. Taghe colonne Che... I piedi aduaò dentro questi l'ali e le piume por-
dei canapè finiscono in forma simile al tate via a le Taganti aurette. E questa
pie caprino del dio Pane. è, forse, in eleganti parole raffinatezza
292-'94. pàtnlo appoggio, larga spai- soverchia di concetto,
liera: ma l'agg. è pretto latino. — il 304-'06. la innata energia del v.igo ar-
Tolge a l lati, gli dà forma, lo arro- nese: innata, cioè singolarmente pro-
tonda. — Come far soglion, come usano pria di esso, e Venergia è ben descritta
volgersi, flessnosi acanti, Vlrg. Bue. in 45 nel v. seg., ov' il canapè è detto Mal re-
« Et molli circum est ausas amplexus pugnante, come elastico per le molle, e
acantho » (Teocr. , vygòg duavùos). — 0 mal cedente, per la tensione delle molle
ricche corna, non brevi né scarse. — d"ar- stesse. Cf. in vece « le coltrici Molle ce-
cade montone, arcade, per restare nel denti », il Matt. 86.
regno di Pan e per i copiosi armenti 311. Dell'arbitra sagace o i nodi strinse
d'Arcadia, ma è determinazione esor- 0...: vedemmo ne '/ Vespr. 223 «Una...
nativa, come 'l'iblèomiele, le caònie co- che gli altrui nodi or cela Comoda e
lombe, le tigri ircane'. strigne, or...», nnove leggi apprese: for-
295-"98. A sigiiilicare il gonlio e il se, veiiue ad altri patti o accordi.
168 LA NOTTE
Ivi sovente i' amador faceto
Raro volume all' altrui cara sposa
315 Lesse spiegando, e con sorrisi arguti
Lepida imago fé' notar tra i fogli.
Il fortunato seggio invidia mosse
De le sedie minori al popol vario:
E fama è che talora invidia mosse
320 Anco ai talami stessi. Ah! perchè mai,
Vinto da insana ambizione, uscio
Fra lo immenso tumulto e fra il clamore
De le veglie solenni? Avvi due Geni
Fastidiosi e tristi, a cui dier vita
325 L'Ozio e la Vanità; che, noti al nome
Di Puntiglio e di Noia, erran cercando
Gli alti palagi e le vigilie illustri
De la stirpe de' Numi. Un fra le mani
Porta verga fatale onde sospende
330 Ne' miseri percossi ogni lor voglia,
E di macchine al par che 1' arte inventi
Modera 1' alme a suo talento e guida ;
L' altro piove da gli occhi atro vapore,
E da la bocca sbadigliante esala
335 Alito lungo che sembiante ai pigri
Soffi dell' austro si dilata e volve
E d'inane torpor le menti occupa.
314. Celato libro V. (B.) — 316. Fé' tra 1 fogli notar lepida imago. V. (B. ma ira-
mago). — 320. A le coltrici stesse. V. — 322. l'immenso V. (B.) — 328. De la prole de'
Numi. Un ne lo mani V. (B.) — 331. machine CI.
316. Lepida imago... trai fogli: ricorda 328-'37. Un...: il Puntiglio. È giusta-
la« incisa con venereo stile... serie d'ima- mente osservato che il puntiglio sopraffa
giui interposta », il Matt. 595. ogni altra voglia e prende il posto di
317-'20. Fece invidia alle seggiole e tutte; verga che affattura il volere, mac-
alle poltrone. Nota la classica efficace china che move l'anima. Per altro, la
ripetizione della 8tessa frase Inridia frase di macchine al par che l'arte Inventi
mosse, trattandosi che la cosa viene a non è si facile, a volerla determinare,
essere affermata, non pur delle sedie, Modera ... e gnida: cfr. il 'Matt. 635.
ma di esso il letto nuziale. —L'altro...: la Noia; bene rappresentata,
323. le veglie, le conversazioni che si in conformità degli effetti ch'essa produ-
prolungano avanti nella notte. ce. Nota il suono insistente dell' a in da
323-' 28. A snaturare l' uso dell' inven- labocca sbadigliante esala Alito...., e come
zione d'Amore intravengono due geni tale alito è convenientemente parago-
spiacevoli e infausti, procreati dall'Ozio nato al pigri Soffi dell'austro, cioè allo
e dalla Vanità: degni dei genitori, si spirare snervante dello scirocco: pigri
chiamano il Puntiglio e la Noia, e abi- soffi, che impigriscono, come « stupido
tano le case de' grandi e ne frequentano papavero » che istupidisce, «stupide emi-
le adunanze. cranie » ecc. — ocoiipa, cf. nota al v. 63.
LA NOTTE 169
Questa del Canapè coppia infelice
Allor prese l'imperio; e i Risi e i Gioclii
340 Ed Amor ne sospinse, e trono il fece
Ove le madri de le madri eccelse
De' primi eroi esercitan lor tosse ;
Ove l'inclite mogli, a cui beata
Rendon la vita titoli distinti,
345 Sbadigliano distinte. Ah! fuggi, ah! fuggi.
Signor, dal tetro influsso; e là fra i seggi
De le più miti dee quindi remoto
Con 1' alma gioventù scherza e t' allegra.
Quanta folla d'eroi! Tu, che modello
350 D' ogni nobil virtù, d' agn' atto egregio,
Esser dèi fra' tuoi pari, i pari tuoi
A conoscere apprendi; e in te raccogli
Quanto di bello e glorioso e grande
Si^arse in cento di loro arte o natura.
055 Altri di lor ne la carriera illustre
Stampa i primi vestigi; altri gran parte
Di via già corse; altri a la meta è giunto.
In vano il vulgo temerario agli uni
Di fanciulli dà nome, e quelli adulti,
OGO Questi omai vegli di chiamare ardisce :
Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
339. l'imperio; i risi i gioclii B. e i Risi e i Gioclii CI., C. — 339 sg. l'imperio;
e quindi or spande Sopra qual vi s'accosta eterno influsso : V. — 340. sospinse. Il trono è
questo V. — 345 sg. Sbadigliano distinte. Ah! se tu sai, Fuggi ratto, o Signor, fuggi da
tanto Pernicioso influsso : e là fra i seggi V. — 350. eccelso V. — 300. Questi già vegli V.
333. Questa... coppia Infelice: proprio taol:notarefficaciadi questa ripetizione
il vento auster è detto da Persio !«in- immediata e cliiastica. —A conoscere ap-
felix pecori »; e ne hai il senso dell'agg. prendi : il modo e il fine di tal conoscenza
pariniano : maleflco. è divisato - e in ciò la satira, presente
339 sg. 1 Klsi e i Giochi, cf. v. 276. — sempre - nella proposiz. successiva; a
ne sospinse, spinse via da esso. conoscerli, non già per voler esser di-
312. esercitan lor tosse, frequentemente verso, ma anzi per farti il compendio
tossiscono. delle leggiadrie delle glorie delle gran-
311 sg. ... titoli distinti Sbadigliano di- dezze, acquisite e naturali, che sono in
stinto: cioè per titoli cospicui in luogo loro.
cospicuo, ma non par detto con la felice 355-'57. Con frasi tolte dallo stadio
chiarezza consueta. dice che tra essi sono i novellini, i ma-
. 319. Quanta folla d'eroi! L'esclamazio- turi, gli emeriti, o sia i giovani, gli
ne serve benissimo a rallargare lo sguar- adulti, i vecchi: in fatti, dirà sùbito ap-
do, già ristretto intorno al canapè, ed è presso, tali son proprio i nomi che dà
inoltre delle solite frasi felici con insito loro, temerariamente, il volgo.
il sarcasmo: folla ed eroi sou termini 3Gl-'65, Tntti son pari: come se fosse
in contrasto. naturale che le differenti età si confoa-
351 sg. Esser de'i fra' tuoi pari, 1 pari dano insieme , e non serbino nella vita
170 LA NOTTE
Ognun giudica e libra; ognun del pari
L'altro abbraccia e vezzeggia: in ciò soltanto
Non simili tra lor, che ognun sua cura
365 Ha fra 1' altre diletta onde più. brilli.
Questi or esce di là dove ne' trivi
Si ministran bevande, ozio e novelle.
Ei v'andò mattutin, partinne al pranzo,
Vi tornò fino a notte : e già sei lustri
370 Volgon da poi che il bel tenor di vita
Giovinetto intraprese. Ab ! obi di lui
Può sedendo trovar più grati sonni
O più lunghi sbadigli, o più fiate
D' atro rapè solleticar le nari,
375 O a voce popolare orecchio e fede
Prestar più ingordo, e declamar più forte?
Quegli è 1' almo garzon che con maestri
Da la scùtica sua moti di braccio v
Desta sibili egregi, e 1' ore illustra
380 L' aere agitando de le sale immense
Onde i prischi trofei pendono e gli avi.
L' altro è l' eroe che da la guancia enfiata
362. del paro V. (B.) — 36-1. che ognun CI., C. col R. — 365. Ha diletta fra l'altre
V. (B., C.) — 366. ne' fori V. (B.) — 375. orecchi V. (B.)
quella convenienza che pur su la scena folla d'eroi, il frequentatore del caffé,
si richiede (« mobilibusque decer, ma- Al caffé è vissuto e vive; là s' addor-
turis daudus et annis » diceva Orazio), menta, là sbadiglia, là si tenta destare
E la parità si delinea: essa è fatta di fiutando tabacco; curioso e credulo di
leggerezza, di presunzione, di effusa chiacchiere e dicerie, e declamatore. —
scambievole affettuosità. Una sola diver- dove ne' trivi Si ministran bevande ozio
genza: ognuno vuol primeggiare. Os- e novelle, è perifrasi dei caffé: frlui son
serva l'elegante euritmia delle tre cop- propriamente i crocicchi delle vie, ma
piedi verbi folleggia e sclierza..., giudica sta senza rigore a significare le vie, le
e libra..., abbraccia e vezzeggia... (di cui piazze. — Eiv' andò mattutla: uso già no-
ia seconda già vedemmo il Mezzog. 830, tato dell'agg. per l'avv.; nel Tasso « Se
ed è uno degli ammaestramenti al Gio- parte matutino...». — D'atro rapè, cf. U
vin signore, ?7 Malt.9.\\). Non cosi schiet- Matt. 1008.
ta pare l'espressione Ognnn sua cura Ha 377-'81. Segue ungi caricatura. Le pa-
fra l'altre diletta onde pitì brilli, a si-" role scntica e sibili mi farebber pensare
gniflcare, credo, che « ciascuno predi- a uno che sa far lischiar bene il fru-
lige i fatti e gli atti propri, volendo per stiao, ma si usa intendere un « grande
essi meglio segnalarsi». È pensiero ana- schioccatore di frusta » (Card.). Cfr. il
logo a quello de '/ Mezzog. 821 « La no- Vespr. 316. Notevole l'intreccio con mae-
bil vanità punge le menti ; E l'Amor di stri Da la scntica sna moti di braccio
sé sol baldo scorrendo Porge un scet- Desta sibili egregi, e l' alta solennità di
tro a ciascuno, e dice: regna». quel che segue.
36ó-'70. Apre una serie di quadretti, 3S2-'91. E qui colui che si diletta a
ove sono individuati taluni tra quella suonar la tromba o cornetta da posti-
LA NOTTE 171
E dal torto oricalco ai trivi annunzia
Suo talento immortai, q[ualor dall' alto
385 De' famosi palagi emula il suono
Di messagger che frettoloso arriva.
Quanto è vago a mirarlo, allor che in veste
Cinto spedita, e con le gambe assorte
In ampio cuoio, cavalcando ai campi
390 Rapisce il cocchio ove la dama è assisa
E il marito e 1' ancella e il figlio e il cane !
Vuoi su lucido carro in di solenne
Gir trionfando al corso? Ecco quell'uno
Che al lavor ne pi-esieda. E legni e pelli
395 E ferri e sete o carpentieri e fabbri
A lui son noti : e per l'Ausonia tutta
È noto ei pure. Il càlabro, di feudi
E d' ordini superbo, i duchi e i prenci
Che pascon Mongibello, e fin gli stessi
400 Gran nipoti romani, a lui sovente
Ne commetton la cura: ed ei sen vola *
D'una in altra officina, in fin che sorga,
Auspice lui, la fortunata mole:
Poi di tele ricinta, e contro all' onte
4.05 De la pioggia e del sol ben forte armata,
Mille e più passi 1' accompagna ei stesso
Fuor de le mura, e con soave sguardo
La segue ancor sin che la via declini.
S83. anuuncia V. (B.) — 386. arrivi B. — 402. surga V. — 408. fin che V. (B.)
gliene e, vestito alla postigliona, cavai- sionato e intelligente del genere, il quale
care olla carrozza della sua dama. — assumerà il carico di fartela fabbricare,
da la gnaacia enfiata E dal torto oricalco, come ne assume spesso anche per gran
propriani. < dal torto oricalco, gonliando signori lontani. E questa macchietta vi-
le guance », ma l'endiadi è felicissima. vace riceve felice compiutezza dal tratto
— Sno talpnto inimortal, per il nome cf. (inale, dell' accompagnar la carrozza,
il Mezzog. 613, per l'agg. tutto il Giorno nuova e lucente e tutta ben riguardata
è commento. — in reste Cinto spedita, da possibili intemperie, per lungo tratto
in veste succinta; qui l'intreccio delle di strada, e del seguirla poi lungamente
parole è ardito. — assorte In ampio cuoio, con 1' ultima occhiata. — Ecco qnell'uno
che spariscono entro gli stivaloni, ri- t'he al lavor ne presieda, «colui eh' è
corda il v. 313 de 'l Vespro. — Rapisce meglio d'ogni altro in grado d' invigi-
li cocchio, fa correre a furia, o strascina. lame la fattura»: la frase classica, co-
— ove la dama è assisa E... Il cane: que- me tutto classico il costrutto, non tanto
sti nomi alla rinfusa rendon bene quel vuol dire unicità quanto sovrecceilenza;
disordine di sentimenti e d'affetti. cf. Aen. ii 426 «Ripheus, iustissimus
392-408. Vuol... Gir trionfando al corsoi unus Qui fuit in Teucris », e Orazio Sai.
cioè «vuoi una carrozza proprio da ii 3, 24 « egregiasque domos mercarier
trionfatore?» Eccoti un signore, appas- unus Cum lucro noram ». In tal senso
172
LA NOTTE
1
Or non conosci del fìglìuol di Maia
410 II più celebre alunno, al cui consiglio
Nel gran dubbio de' casi ognaltro cede,
Sia che dadi versati, o pezzi eretti,
0 giacenti pedine, o brevi o grandi
Carte mescan la pugna? Ei sul mattino
415 Le stupide emicranie o 1' aspre tossi
Molce giocando a le canute dame:
Ei, già tolte le mense, i nati or ora
Giochi a le belle declinanti insegna :
Ei, la notte, raccoglie a sé dintorno
420 Schiera d' eroi che nobil estro infiamma
D' apprender 1' arte onde 1' altrui fortuna
Vincasi e domi, e del soave amico
Nobil parte de' campi all' altro ceda.
411, ogn' altro C. — 422 sg. Vincasi e domi; e di sonanti spoglie D'abbattuto rivai
si torui opimo. V. (B. ma Di abbattuto)
noi diciamo spesso unico: «Michela-
gnolo Buonarroti, scultore e pittore uni-
co» (Condivi). — li Calabro, grandi si-
gnori calabresi ; con un nome partico-
lare indica in genere i meridionali d'Ita-
lia, tra i quali la pompa delle carrozze
è consueta: E d'ordini, equestri. — Che
pascon Mongibello, siciliani, anche qui
designati da una parte di essi, quelli
presso l'Etna: «non è frase felice; seb-
bene certamente cercata a bella posta,
non già sfuggita a disattenzione » (M.).
In fatti, sulle prime riesce quasi anli-
bologica {la ragione è che, oltre a es-
sere squisita, è compendiosa: pascere
V Etna sta per « i campi intorno a
l'Etna»; un po' duro e disforme); m:i
è analoga a note maniere classiche : ri-
corda il gr. vé^ueiv, ìlOibere lat. (Virg.
Bue. I 62 « Aut Ararim Parthus bibet
aut Germania Tigrim »), e usi nostri
come E quei che il jVì^o e che l'Orante
beve. — Gran nipoti roniaui : i priuciiii
l'omani, la cui grandezza, in quanto di-
scendenti de' romani antichi, è chiaro
come dal p. sia intesa. — sorga, cf. il
Matt. 509 e la nota.
409-'23. Un gran giocatore, e maestro
e giudice di gioco : allievo di Mercurio,
dio de'traffichi, de' guadagni, de' giochi :
Matt. 16 « al giocatore Mercurio », —
Sia che..., significa sol questo: «sia che
si giochi ai dadi, o sia che agli scacchi
0 alla dama o alle carte lunghe o cor-
te »; ma essi gli strumenti del gioco son
fatti soggetto, e il giocare, qui come al-
trove, è espresso per una battaglia, ten-
zone: mesean la pngna, combattano ; Virg.
« proelia naiscent», Ariosto xxxvi 30
« La scaramuccia... si mesce ». — dadi
versati, cioè scossi per poi gettarli (ver-
satur urna sors), e il versati ha por-
tato per euritmia « i pezzi eretti » e «le
giacenti pedine ». Avverti l'anafora di
Ei a principio di tre proposizioni suc-
cessive che epilogano geste del perso-
naggio. — Le stupide emicranie, cf. il Mez-
zog. 417 «lo stupido papavero» e ricorda
il Matt, 516 sg. — i nati or ora Giochi,
le ultime novità. — l'arte onde..., sem-
bra non escludere gli artifizi : vincasi
per fortuna o per inganno, importa
N incere. — e del soave amico..., è una
determinante e conseguente della frase
l'altrui fortuna Vincasi e domi : « e
buona parte de' possedimenti di colui
col quale gioca {del soave amico) venga
a esso giocatore (all'altro) in possesso»;
è la cosa per cui si combatte, e cede al
vincitore. — « Mi comunica il Salvera-
glio che negli autografi son cancellati
tutti questi versi sul giocatore, 409-423 ;
forse parvero al P. eccessiva caricatu-
ra » (M.).
LA NOTTE 173
Vedi giugner colui che, di cavalli
425 Invitto domator, divide il giorno
Fra i cavalli e la dama? Or de la dama
La man tiepida preme , or de' cavalli
Liscia i dorsi pilosi, o pur col dito
Tenta, a terra prostrato, i ferri e 1' ugna.
430 Ahimè ! misera lei quando s' indice
Fiera altrove frequente ! Ei 1' abbandona,
E per monti inaccessi e valli orrende
Trova i lochi remoti, e cambia o merca.
Ma lei beata poi quand' ei sen torna
435 Sparso di limo e novo fasto adduce
Di frementi corsieri, e gli avi loro
E i costumi e le patrie a lei soletta
Molte lune ripete! Or vedi l'altro
Di cui più diligente o più costante
440 Non fu mai damigella o a tesser nodi
O d' aurei drappi a separar lo stame.
A lui turgide ancora ambo le tasche
Son d' ascose materie. Eran già questo
Prezioso tappeto in cui distinti
445 D' oro e lucide lane i casi apparvero
D' Ilio infelice : e il cavalier, sedendo
Nel gabinetto de la dama, ormai
Con ostinata man tutte divise
In fili minutissimi le genti
450 D'Argo e di Frigia. Un fianco solo resta
De la Greca rapita : e poi 1' eroe,
Pur giunto al fin di sua decenne impresa,
Andrà superbo al par d'ambo gli Atridi.
428. ovver V. — 430. Airaè! CI. col R. — 438. Or mira uq altro (CI. C.) — 44).
ambe V. (B.) — 450. avanza V. (B.) — 451. De la bella V. Bella B.
424-'38. L'appassionato de' cavalli o stile che uou V ha distanza o difficoltà
con nobiltà epica, di caTalli InTitto do- di luoghi la quale lo trattenga. — TroTa,
mator (a somiglianza di Ettore, 'Ekxoqos vi si reca, adlt, — e cambia o raerca, fa
\nnoòàiioio). Fra i raralli e la dama.', cambi o compre. È una bea nota uscita
com'essa il suo affetto tra il cavaliere e dantesca, Par. xvi 61, «e cambia e mer-
li cane: l'alternativa è avvivata nel seg. ca », e tassesca, xx 112, « Guerreggio
Orde la dama..., or de'eaTalii... col dito in Asia, e non vi cambio o merco». —
Tenta..., chino a terra tocca ed esamina Ma lei beata... qnand'ei sen torna Sparso
le zampe e la ferratura. — frequente, cf. di limo: quella felicità della dama e
il V. 350. — per monti inaccessi (inacces- questa sozzura del flHppo sembrano ri-
sibili, cfr. Virg. Aen. vii 11 « inacces- pugnare, e la satira se ne avvantaggia.
SOS... lucos»). — e valli orrende, cupe 438-'53. l' altro, di cui nessuna donna
e buie: carica le tinte per dire in alto fu mai più abile e operosa a farla rete
174
LA NOTTE
Ve' chi sa ben come si deggia a punto
455 Fausto di nozze o pur d' estremi fati
Miserabile annuncio in carta esporre.
Lui scapigliati e torbidi la mente
Per la gran doglia a consultar sen vanno
I novi eredi : né già mai fur viste
4G0 Tante vicino a la cumèa caverna
Foglie volar d'oracoli notate,
Quanti avvisi ei raccolse, i quali un giorno
Per gi'an pubblico ben serbati fièno.
Ma chi r opre diverse o i vari ingegni
465 Tutti esprimer porla, poi che le stanze
Folte già son di cavalieri e dame ?
Tu per quelle t' avvolgi ardito e baldo,
Vanne torna, t' assidi ergiti, cedi
Premi, chiedi perdono, odi domanda,
470 Sfuggi accenna schiamazza entra e ti mesci
Ai divini drappelli, e a un punto empiendo
Ogni cosa di te, mira ed apprendi.
468. ti assidi V. — 472. mira e conosci V. (C.) vedi ed apprendi. V. vedi e co-
nosci. B.
(tesser nodi) o a sfilare tappeti (d'aurei
drappi separar lo stame). E sul secondo
di questi lavori il p. si dilunga, sceglien-
do un caso ove la dappocaggine del fare
è aggiunta alla insipienza del disfare.
Quel messere ha le tasche gonfie di fila,
eh' erano già un arazzo figurante i casi
di Troia, ed egli ha sfilacciato tutto,
greci e troiani (che vivezza elegante
nell'espressione Con ostinata man tutte
divise In fili minutissimi le genti D'Ar^
e di Frigia I) : non gli resta a disfare se
non una parte del corpo di Elena (un
franco... De la Greca rapita: conche senso
plastico è designato questo residuo!), e
poi avrà, anch'esso, a modo suo, di-
strutto Troia, decenne impresa, e andrà
posto per terzo con Agamennone e Me-
nelao.
454-'63. Un autorevole compilatore
d'annunzi di matrimoni e di morti. Egli
poi ne fa collezione, sicché, dice il p.,
non furon tante a Cuma, presso ran|;ro
della Sibilla, le foglie d'oracoli notate
(cioè, su cui erano scritti i responsi;
secondo Virgilio Aen. iii 444 « Fata ca-
nitfoliisque uotas et nomina mandat»),
quanti sono presso lui fogli di tali av-
visi, raccolta destinata a essere di chi
sa quanto bene per il pubbUco. — « An-
clie questo ritratto (vv. 454-463) il P.
cancellò dagli autografi; cosi mi comu-
nica il Salveraglio : probabilmente gli
parve figura scolorita, ed è veramente;
e pensava o sostituirla con qualche al-
tra o darle più vita » (M.). Fors' anche
gli parevano omai soverchi questi esem-
pi di nullaggini, e troppo singolari per
essere efficaci.
464-'72. In forma di transizione si
spaccia da quelle e altre figure, e rap-
presenta, al solito foggiando la rappre-
sentazione come un ammaestramento,
l'andare e venire e il gran da fare del
Giovin signore tra la conversazione :
una congerie di verbi dà in compendio
i momenti e gli atti di quella mobilità
e attività. — a nn punto empiendo Ogni
cosa di te mira ed apprendi: « al tempo
stesso che tu tieni il campo e figuri per
tutto, abbi occhi e orecchi per quanto
e' è intorno da vedere e udire ».
LA NOTÌPE 175
Là i vezzosi d'Amor novi seguaci
Lor nascenti fortune ad alta voce
475 Confidansi all' orecchio, e ridon forte,
E saltellando batton palme a palme;
Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi
Fra le oscure mortali, o che li assorba
De le dive lor pari entro a la luce.
480 Qui gli antiqui d'Amor noti campioni,
Con voci esili, e dall' ansante petto
Fuor tratte a stento, rammentando vanno
Le già corse in amar fiere vicende.
Indi gl'imberbi eroi cui diede il padre
485 La prima coppia di destrier pur ieri,
Con animo viri! celiano al fianco
Di provetta beltà che ai risi loro
Alza scoppi di risa e il nudo spande
Che di veli mal chiuso i guardi cerca
490 Che il cercarono un tempo. Indi gli adulti,
A la cui fronte il primo ciuifo appose
Fallace parrucchier, scherzan vicini
A la sposa novella; e di bei motti
Tendonle insidia ove di lei s' intrichi
495 L' alma inesperta e il timido pudore.
Folli! che ai detti loro ella va incontro
Valorosa cosi come una madre
Di dieci eroi. V'ha in altra parte assiso
4SI. da r ansante B., C. — 483. Le superate al fin tristi vicende. V. (B.)
473-'79. I dongiovanni alle prime ar- girne » (Disìon. di ortog. e pro'n.).
mi : si il parlare con aria di segreto 484-'90. Gli adolescenti accanto a una
e pure alto (ad alta voce Confldansl al- provetta, e che cerca esser provocante,
l'orecchio), si il rider forte e gli altri b.^ltà.
scoppi di soddisfazione chiassosa, soa 490-'98. 1 provetti intorno a una sposa
còlti dal vero. novella. — 11 primo cinTo appose: quindi
480-*S3. Gli emeriti : e il verso iniziale posticcio — Fallace parrucchier, che co'
di questo gruppo è calcato a parte a suoi artifizi illude, inganna, cf. « fallax
parte su quello del gruppo innanzi Là servus » e ricorda il Matt. 1088-'90. —
i vezzosi d'Amor novi seguaci, come Improvviso e terribile il tócco che viene
qui lo sforzo e lo stento contrastano a in fine: quei corrotti pensano cogliere a
quell'esuberante rigoglio. — Con voci insidia la verecondia d' un'ingenua, e
esili, deboli, stanche. Avverti esili, e costei li affronta Valorosa cosi come nna
sempre cosi accentato ne' nostri poeti : madre Di dieci eroi. Par Giovenale.
exilis come subtilis serbò in italiano la 498-504. Npn mai perduto in società
sua quantità; la pronunzia sdrucciola è questo tipo, d'uno che racconta promet-
invalsa da poco. Certo il Rigutini avea tendo interessare e far ridere, e non
molta più ragione ammonendo « esile e ride che lui. E pure anche il Galateo
non èsile» che non « rcgrirae e non rè- ammonisce, cap. 30: «Né de' tuoi me-
176 LA NOTTE
Olii di lieti racconti, o pur di fole
600 Non ascoltate mai, i-aro promette
A le dame trastullo, e. ride e narra
E ride ancor, ben che a le dame intanto
Sul beli' arco de' labbri aleggi e penda
Non voluto sbadiglio : e v' ba chi altronde
503 Con fortunato studio in novi sensi
Le parole converte, e i simil suoni
Pronto a colpir, divinamente scherza.
Alto al genio di lui plaude il ventaglio
De le pingui matrone, a cui la voce
510 Di vernacolo accento anco risponde:
Ma le giovani madri, al latte avvezze
Di più gravi dottrine, il sottil naso
Aggrinzan fastidite; e pur col guardo
Sembrau chieder pietade ai belli spirti
515 Che lor siedono a lato, e a cui gran copia
D' erudita effemeride distilla
Volatile scienza entro a la mente.
Altri altrove pugnando audace innalza
Sopra d' ognaltro il palafren eh' ei sale,
520 0 il poeta o il cantor che lieti ei rende
499. ovver V. (B.) — 502 sgg. E ride ancora : e de le dame in tanto SuU' arco
de' bel labbri aleggia e pende Insolente sbadiglio. Avvi chi altronde V. (B.) — 506. o
V. (B., C.) in Bimil coZ R. tutti, — 510. risona; V. (B.) — 511 sg. Ma le giovani madri
assai pili vaghe De le Galliche grazie, il sottil naso V. (B.) al latte avvezze De le galli-
che grazie, C. — 512. Di pili nuove V. — 514. Chieder sembran pietade V. (B.) — 516.
efemeride 0. — 518. Quel fra molti pugnando V. (B.) — 519. Sovra V. ogn' altro B.
M
desimi motti voglio che tu ti rida, che l'aria in particelle; ricorda «la volatile
è un lodarti da te stesso. Egli tocca di dea» {la Fama], il V. 232: e il passo non
ridere a chi ode, e non a chi dice ». manca di analogia con quello de 7 Mail.
504-'07. Quegli che gioca di doppi ove si notano « color che a sé fingon di
sensi e si compiace di coglierli a volo. sapere », 673.
La lez. i slmil suoni accolgo dal Tonti, 5l8-'35. Altri altrove, accostamento di
lasciando la divulgata in simil suoni gustoclassico. — pugnando, gareggiando,
(cioè, con gli equivoci far colpo). — certans. — Qui, in più gruppi di versi,
altronde, da altra parte; e il P. l'usa è un'enumerazione addensata, di con-
più volte per «altrove»: cfr. il Mezz. chiusione. Primo colui che vanta il suo
1105 e la nota. — dlTÌnamente scherza, cavallo, o pure (quasi caso meno impor-
tutto che fa un dio è divino. tante, vien dopo) il poeta o il cantante
508-'17. il ventaglio già più volte ab- ch'egli degna della sua mensa: i50i, chi
biam visto esser mezzo di espressione, ha una spada lavorata in Inghilterra:
— le pingui matrone a cui...: nella cui poi uno che novera le vivande di un gran
voce e nell'intonazione è l'eco del dia- pranzo, e un altro le tavole da gioco
letto. Ma a le giovani madri quelle grosse d'una soiree. In fine gli scherzi : altri ar-
spiritosaggini sanno di rancido, e cer- rivandonon visto a un amico, gli stringe
cano compenso da i belli spirti che at- il ganasciuc ; altri da dietro porta via
. tingono ai giornali erudizione e scienza, all'amico il cappello che ha sotto il brac-
. — Volatile, che si sparge e disperde per ciò, e s'applaude del suo scherzo.
LA NOTTE 177
De le sue mense. Altri dà vanto all' elso
Lucido e bello de la spada ond' egli
Solo, e per casi non più visti, al fine
Fu dal più dotto anglico artier fornito.
625 Altri, grave nel volto, ad altri espone
Qual per 1' appunto a gran convito apparve
Oi'din di cibi: ed altri, stupefatto,
Con profondo pensier, con alte dita
Conta di quanti tavolieri a punto
630 Grande insolita veglia andò superba.
Un fra l' indice e il medio inflessi alquanto
Molle ridendo al suo vicin la gota
Preme furtivo; e l'un da tergo all'altro
Il pendente cappel dal braccio invola,
535 E del felice colpo a sé dà plauso.
Ma d' ogni lato i pronti servi intanto
E luci e tavolieri e seggi e carte
Suppellettile augusta entran portando.
Un sordo stropicciar di mossi scanni,
540 Un cigolio di tavole spiegate
Odo vagar fra le sonanti risa
Di giovani festivi e fra le acute
Voci di dame cicalanti a un tempo,
Qual dintorno a selvaggio antico moi'O
645 Sali' imbrunir del di garrulo stormo
Di frascheggianti passere novelle.
526. apparve a gran convito V. — 529. Narra V. — 534 tg. Il pendente cappel sotto
all' ascella Ratto invola, e del colpo a sé dà plauso, V. (B. ma sotto 1' ascella) — 535.
E del colpo felice V. — 536 sgg. Qual d'ogni lato i molti servi in tanto E seggi e tavo-
lieri e luci e carte Suppellettile augusta entran portando ! E sordo stropicciar di molli
scanni, E cigolio... V. (B. ma il 2° v. come nel testo e nel 4" mos6i : C. lo flesso e pronti
nel V V.) — 544. Come intorno V. (B., C.).
536-'45. Si portano e preparano le ta- 272) < tra i duecento versi che danno
vola di gioco. — Sappellettlle augusta, descritto l'ordine della sala e il soprav-
apposizione ai termini enumerati nel venire degli invitati e l'accendersi della
verso innanzi. — entran portando, co- conversazione » il seguente frammento
strutto al modo classico. — cigolio di inedito, che « è 1' entrata d' una dama,
tavole spiegate, tavole rientranti che si non quella del Giovin signore, una sposa
distendono. — Il p., passando dalla scena novella»; ma il P. poi non 1' accolse,
della conversazione a quella del gioco, solo « si giovò d' alcuni termini e d' un
interpone un tratto finale che raccoglie verso » [v. 489 sg].
tutt' insieme l'effetto dell'animato con- •A- lei vegnente
versare, e lo chiude con tre versi di ^°'"S'»> plaudendo 1 cavalier gentili.
quelli ove il riso della satira si avvolge ^ ^^' '^^''^'''^ /''"<="!« matrone
j. - . . . ° Con severo contegno in au le gote
di fresca poesia. - frascheggianti, che stampan di mano in man due baci a punto,
etanno tra le frasche. — «Avrebbe pò- e con pari contegno in su le gote
tato trovar luogo » (dice il Carducci, Poi ricevon da lei due baci a punto.
PaKINI — ALBINI. 18
178
LA NajTE
Sola in tanto rumor tacita siede
La matrona del loco; e, chino il fronte
E increspate le ciglia, i sommi labbri
550 Appoggia in sul ventaglio, arduo pensiero
Macchinando tra sé. Medita certo
Come al candor, come al pudor si deggia
La cara figlia preservar che torna
Doraan da i chiostri ove il sermon d' Italia
555 Pur giunse ad obliar, meglio erudita
De le galliche grazie. Oh qual dimane
Nei genitor, ne' convitati, a mensa
Ben cicalando ecciterai stupore
Bella fra i lari tuoi vergin straniera!
560 Errai. Nel suo pensier volge di cose
551. Machinando CI. — 555. obbliar B., C.
Tal, se volgendo i due begli occhi grandi
Ne le eale del ciel Giano sen viene
Dal talamo immortai ove rendette
Padre d'un altro nume il gran Tonante,
I maschi eterni e le divine femine
Di letizia e di festa a lei dan segno.
A lei di Cirra il vago dio che torna
Pur or dal giro suo, dove correndo
Sparse di raggi d'oro ampia ricchezza,
Chinasi e versa dal bocchin socchiuso
eleganze straniere : a lei Gradivo,
Stretti i gomiti al fianco e il petto alzato
E la canna pendente in fra le dita,
Mollemente sorride : anco Cillenio
Col piumato cappel sotto a l'ascella
£ì d'alati fermagli il piede ornato
Rompe la folla, e di lontan comincia
A spander di parole alto profluvio
Applaudendo a la diva. Idalia intanto,
Chiara nel ciel per variati amori
£} per argute di parlar licenze,
Corre improvviso ad abbracciarla, e s'alza,
E un non so che susurrale a l'orecchio.
Quella semplice ancor tigne il bel volto
D'un vermiglio importuno, e questa cade
Supina in sul sedile alti mandando
Scoppi di risa, e rigonfiando ansante
Ciò che del molle sono anco le resta.
Che di veli mal chiuso i guardi cerca
Che il cercarono un tempo. A tale aspetto
Tu castissima dea de' boschi amica
Torci il candido collo, i labbri aggrinzi,
E fastidita a contemplar ti volgi
Del biondo Ganimede il volto e i moti,
Mentr' ei girando per lo ciel dispensa
II nettare gelato o pur l'ambrosia
De i divini palati almo conforto.
547-'51. La padrona di casa in grave
atteggiamento meditativo. — ehlno 11
fronte, v. il Matt. 493 e la n. : i sommi
labbri, la punta delle labbra.
551-'59. Un'ipotesi che sarebbe ra-
gionevolissima e che, a sentir poi com'è
lungi dal vero, divien satira amara. —
Come al candor.... preserrar : « preser-
vare il candore e il pudore della figlia »,
sarebbe il modo comune; preservarla
al candore, al pudore, è un po' strano,
e forse questi, meglio che termine (« ser-
barla al candore »), son relazione («pre-
servarla quanto al...»). — da i chiostri,
dal convento cioè collegio retto da mo-
nache : ore li sermon d'Italia Par glonse
ad obliar; il Pur dà rilievo alla frase,
quasi che queir oblio sia stato l' ultimo
frutto di tale educazione. — Poiché que-
sto tratto inaspettato e rilevantissimo su
l'istruzione delle fanciulle di cospicua
nascita termina con un verso epigram-
matico stupendo Bella fra 1 lari tnol ver-
gin straniera,' non è da lasciare senza
osservazione che qui il P. in somma non
già riprendeva, e tanto meno oggi ri-
prenderebbe, lo studio di altre lingue,
ma riprendeva, e tanto più riprende-
rebbe oggi, che quello sia a scapito della
lingua d'Italia, e che poi in fondo la
conoscenza delle lingue si riduca spesso
a un ben cicalare.
560-'6J. di cose... mole pid grande, cose
di maggior gravità, di singolare diffi-
coltà: tantae molis...\ — a sé... chiede
a consiglio, chiama a sé per consultare
eoa lui.
LA NOTTE 179
L'alta madre d'eroi mole più grande;
E nel dubbio crudel col guardo invoca
De le amiche l'aita, e a sé con mano
TI fido cavalier chiede a consiglio.
565 Qual mai del gioco ai tavolier diversi
Ordin porrà, che de le dive accolte
Nulla obliata si dispetti, e nieghi
Più qui tornare ad aver scorno ed onte?
Come, con pronto antiveder, del gioco
570 II dissimil tenore ai geni eccelsi
Assegnerà conforme, ond' altri poi
Non isbadigli lungamente, e pianga
Le mal gittate ore notturne, e lei
De lo infelice oro perduto incolpi?
575 Qual paro e quale al tg-volier medesmo
E di campioni e di guerriere audaci
Eia che tra loro a tenzonar congiunga.
Si che già mai per miserabil caso
La vetusta patrizia, essa e lo sposo
580 Ambo di regi favolosa stirpe,
Con lei non scenda al paragon, che al grado,
Per breve serie di scrivani, or ora
Fu de' nobili assunta, e il cui marito
Gli atti e gli accenti ancor serba del monte?
585 Ma che non può sagace ingegno e molta
D'anni .e di casi esperienza? Or ecco,
Ella compose i fidi amanti, e lungi,
666. che B. col R. — 567. obbliata B., C.
565-'68. Qaal mal... Ordin... cbe...: cioè, stirpe, nota i due sensi: par che dica
qual mai ordine si fatto, che... — Non « stirpe di principi che risale a' tempi
rara è l'omissione del correlativo tale, mitici » e intende « favoleggiata, non
quando il senso o la forza di esso ri- vera ».
sulta senza esprimerlo. — Nulla obliata 58I-'84. Con lei... che...: di famiglia no-
Bi dispetti, nessuna, perché lasciata in- bilitata per avere avuto alcuni de'suoi
dietro, si adonti. investiti di pubblici uffici o magistrature
569-'7'l. del gioco II dissimil tenore, (per breve serie di serlrani è frase che
come dire, i giochi diversi. — pianga Le avvilisce la cosa secondo la mente de la
mal gittate ore notturne, cf. per il co- vetusta patrizia); nobiltà di toga, cfr.
strutto il Mezzog. 469. il Vespro 42i-'26.
575 sg. (^ual paro e quale..., cioè qual 585-'97. La sagacia naturale e l'espe-
di campioni e quale di guerriere. rienza della vita le insegnano vincer la
579. essa e lo sposo Ambo... : libera difficoltà. Ecco il primo caso : ella ha
apposizione che abbrevia e allevia il co- messi insieme (compose) due amanti, e
strutto regolare « la quale è, essa e, co- il marito, uno che ha ancor l'ubbia del
m'essa, il marito... ». — di regi favolosa geloso (a di si lieti, è proprio la stagione
180 LA NOTTE
De la stanza nell' angol più remoto,
Il marito costrinse, a di si lieti
590 Sognante ancor d' esser geloso. Altrove
Le occulte altrui, ma non fuggite all' occhio
Dotto di lei, ben che nascenti a pena.
Dolci cure d' amor, fra i meno intenti
0 i meno acuti a penetrar nell' alte
595 Dell' animo làtèbre, in grembo al gioco _
Pose a crescer felici: e già in duo cori
Grazia e mercé de la beli' opra ottiene.
Qui gl'illustri e le illustri; e là gli estremi
Ben seppe unir de' novamente compri
600 Feudi e de' prischi gloriosi nomi
Cui mancò la fortuna. Anco le piacque
Accozzar le rivali, onde spiarne
1 mal chiusi dispetti. Anco per celia
Più secoli adunò, grato aspettando
G05 E per gli altri e per sé riso dall' ire
Settagenarie che nel gioco accense
Fien con molta raucedine e con molto
Tentennar di parrucche e cuffie alate.
Già per l' aula beata a cento intorno
6 LO Dispersi tavolier seggon le dive,
Seggon gli eroi che dell' Esperia sono
Gloria somma o speranza. Ove di quattro
599 sg. Piacquele unir de' noTamente compri Feudi a gli antiqui g. n. V.
questa!; cfr. il Matt. 461 sg.), giù nel- 603-'08. per cella: celia che fa ridere
l'angolo più lontano. Poi, altri tra i di altrui, e massime di vecchi, natural-
quali è simpatia e inclinazione nascosta mente è contro queir educazione e de-
ma ben visibile a lei, li ha accostati, licatezza che dovrebb' essere la prima
collocandoli in mezzo a tali che non ba- nobiltà della g»'an dama. — Pld seeoll
dano e non s'avvedono: di ciò le hanno adunò: o nel senso che q uè' tali, presi
segreta riconoscenza (Grazia e merce': insieme, facevan parecchie centinaia
nel Tasso II 82 « grazia e merto »). d'anni, o pure vivacemente chiamò se-
598-601. Qui grillastri e le lllnstri: coli que' vecchi stessi. — ire Settagena-
pare applicazione della cautela accen- rie, di settuagenari. — accense, susci-
nata a' vv. 578 sgg. : vetusti patrizi e pa- tate : la forma latina di accese è in Dante,
trizio insieme. — là, invece, insieme i — parrncche, gli uomini. — cuffie alate,
due estremi, ciò sono i l'icchissimi di le donne.
fresco nobilitati e i nobilissimi oggi im- 609-'12. La disposizione e distribuzio-
poveriti. ne è avvenuta. — dell' Esperia, Italia cf.
602 sg. onde spiarne : qui, non è dub- il Mezzog. 709 ; si sa che per sé Eespe-
bio, onde è di fine e non può risolversi in ria, cioè occidentale, è denominazione
un relativo; costrutto men classico, cfi*. relativa a chi l'attribuisce; conveniva
il Matt. 290. e la nota. — I mal ehinsi di- all'Italia rispetto alla Grecia, alla Spa-
spetti, il non ben dissimulato malaaimo. gna rispetto all' Italia ; e sono le dua
LA NOTTE 181
Un drappel si raccoglie, e dove un altro
Di tre soltanto. Ivi di molti e grandi
615 Fogli dipinti il tavolier si sparge :
Qui di pochi e di brevi. Altri combatte;
Altri sta sopra a contemplar gli eventi
De la instabil fortuna e i tratti egregi
Del sapere o dell' arte. In fronte a tutti
620 Grave regna il consiglio, e li circonda
Maestoso silenzio. Erran sul campo
Agevoli ventagli, onde le dame
Cercan ristoro all' agitato spirto
Dopo i miseri casi. Erran sul campo
625 Lucide tabacchiere : indi sovente
Un'util rimembranza, un pronto avviso
Con le dita si attigue; e spesso volge
I destini del gioco e de la veglia
Un atomo di polve. Ecco se n'ugne
630 La panciuta matrona intorno al labbro
Le calugini adulte: ecco se n'ugne
Le nari delicate e un po' di guancia
La sposa giovinetta. In vano il guardo
D' esperto cavalier che già su lei
GCò Medita nel suo cor future imprese,
Le domina dall' alto i pregi ascosi ;
E in van d' un altro timidetto ancora
II pertinace piò 1' estrema punta
C29, 631. sen ugne B., CI. eoi R.
più classiche Esperie. — Gloria somma oleoso vedemmo per agg. di tabacco,
0 speranza, secondo la età. il Matt. 1009.
612-'16. Otc di quattro..., e dorè un al- 631. Le calugini adulte; « È un ar-
tro Di tre.. : secondo i giochi : quattro guto uso della voce, che veramente si-
p. es. a' tarocchi, al tresette; tre alle gnifica la peluria degli uccellini di nido
ombre. — molti e grandi Fogli dipinti — e anche quella de' giovinetti nella prima
di pochi e di breil, a seconda dei gio- pubertà; per ciò qui sou dette adulte »
chi differenti. (M.). — e un po' di guancia, ove sta male;
016-'19. gli (Tenti dell'arte, cf. al è un tratto che risponde all'intensità
V. 421. febbrile, quale udiremo, con che quella
622. AgeTOli Tentagli, sotto mano e sposina gioca,
scorrevoli: ricorda il Vespr, 48. 636. Le domina: dativo in luogo d'un
625-'29. indi sovente...: ancor dicono, possessivo: «dominai suoi pregi ascosi»,
quei che fiutano tabacco, ch'esso ha vir- Per questi, ricorda Leop. As2i. «al seno
tu simili a quelle qui designate. — volgi-, ascoso e desiato ».
fa mutare; cfr. il Mezzog. 207. 638. Il pertinace pie, molto tenace, che
629-'33. se n'ugne: ungere nel liii- non desiste, insistente; Orazio e. i 9,
guaggio poetico ha significato esteso 24 «digito male pertinaci», non resi-
oltre al suo proprio e preciso; del resto, slente.
182 LA NOTTE
Del bel pie le sospigne. Ella non sente
640 O non vede o non cura. Entro a que' fogli,
Ch'ella con man si lieve ordina o turba,
De le pompe muliebri a lei concesse
Or s' agita la sorte. Ivi è raccolto
Il suo cor, la sua mente. Amor sorride,
G15 E luogo e tempo a vendicarsi aspetta.
Chi la vasta quiete osa da un lato
Komper con voci successive, or aspre
Or molli, or alte ora profonde, sempre
Con tenore ostinato, al par di secchi
CóO Che scendano e ritornino piagnenti
Dal cupo alveo dell'onda; o al par di rote
Che, sotto al carro pesante, per lunga
Odansi strada scricchiolar lontano?
L' ampia tavola è questa a cui s' aduna
655 Quanto mai per aspetto e per maturo
Senno il uobil concilio ha di più grave
O fra le dive soccre o fra i nonni
O fra i celibi già da molti lustri
Memorati nel mondo. In sul tappeto
660 Sorge grand' urna, che poi scossa in volta
La dovizia de' numeri comparte
Fra i giocator, cui numerata è innanzi
D'immagini diverse alma vaghezza.
6G1. difTonda V. (B)
6 10-' 13. con man si liere, pronta e agi- come il cigolare de' secchi quando la
le; ordina o turba, a principio e in fine. corda per la carrucola li trae su di fondo
— Da quelle carte dipende la sorte delle al pozzo (dal cupo bItco dell'onda). — pia-
sue«oi?6«es(Iepoinpemuliebri), inquanto gnentl, cigolanti, propriam. gementi.
arrischia al gioco il suo denaro, i suoi Avverti il suono mirabile di questo ver-
assegnamenti, come son detti nelle so, e come qui piangenti »sa.i'ia., cosi
commedie deirAll)ergati settecentista. conforme, assai men bello»; avverti l'ac-
614 sg. Amor sorride, E ... Il sorriso di centazione e la fattura del verso Che sotto
Amore par che dica: «Non sempre tu al carro pesante, per lunga... e nel susse-
avrai cosi grave faccenda coni' è il gio- guente i suoni strada scricchiolar ...; poi
co ». E la chiusa di questa scenetta pare va e credi a chi afferma che parlar di
il compendio de' versi petrarcheschi: armonia imitativa sia vieta retorica.
Ter fare una leggiadra sua vendetta 659-'63. Descrive il gioco della cava-
E punire in un di ben millu offese, gnola: i numeri SÌ cavano dall'urna e
Colatamente Amor l'arco riprese, si segnano SU cartelle, abbellite di figure.
Come uom che a nocer luogo e tempo — coi numerata è innanzi D'immagini di-
[aspetta. ^dge alma vaghezza vuole appunto dire,
617-'53. sempre Con tenore ostinato, pur e non negheremo che sovrabbondi squi-
con lor varietà quelle voci si succedono sitezza all'espressione : « i giocatori han»
senza tregua, continuatamente, cf. 755, no ciascuno innanzi una cartella coi nu
LA NOTTE
183
Qual finge il vecchio che con man la negra
GG5 Sopra le grandi porporine brache
Veste raccoglie e, rubicondo il naso
Di grave stizza, alto minaccia e grida,
L' aguzza barba dimenando. Quale
Finge colui che con la gobba enorme
670 E il naso enorme e la forchetta enorme
Le cadenti lasagne avido ingoia.
Quale il multicolor zanni leggiadro
Che, col pugno posato al fesso legno,
Sovra la punta dell' un pie s' innoltra,
675 E la succinta natica rotando,
Altrui volge faceto il nero ceflfb.
Né d' animali ancor copia vi manca,
0, al par d' umana creatura, 1' orso
Ritto in due piedi, o il micio, o la ridente
CS9 Simia, o il caro asinelio, onde a sé grato
E giocatrici e giocator fan speglio.
Signor, che fai? Cosi, dell'opre altrui
Inoperoso spettator, non vedi
meri (numerata) e eoa belle e varie fi-
gure ».
631-'76. Qui il p. si compiace a colo-
rire alcune di quelle imagint, e forse
su le cartelle nou furon mai colorite
cosi bene. E ci dà tre maschere, Pan-
talone veneziano, Pulcinella napoletano.
Arlecchino bergamasco, cogliendo le
note più spiccate degli abiti e de' ca-
ratteri loro. Pantalone, con la veste nera,
bracato di rosso, che grida stizzoso, e
la stizza gli tinge il naso e il gridare
gli fa mover la barbetta. Pulcinella che
mangia avidamente i maccheroni : Ve-
normità della gobba, del naso, della
forchetta può intendersi in quanto la
supposta figurazione sia, come carica-
tura, esagerata. (Nota come opportuna-
la ripetizione di enorme: cfr. per l' insi-
stenza in un aggettivo ma a proposito di
tutt'altro personaggio, Carducci Faida,
di comune « Uguccion de la Faggiola...,
il grande capo ignudo. Sta su '1 grande
cavai bianco E imbracciato ha il grande
scudo »). Arlecchino, giustamente peri-
frasato in multicolor zanni dal vestire
a scacchi o liste variopinte, onde ha
nome ogni maniera di arlecchini, è rap-
presentato avanzarsi alla guisa sua con-
sueta, saltellante facendo con la gamba
un grande arco e posando il piede leg-
germente in punta, e volgendo or qua
or là scherzosamente il viso con la ma-
scherina nera. Il particolare men chiaro
è col pugno posato al fesso legno, « con la
sua spatola di legno in mano {fesso le-
gno perché cosi sonava di più ne' colpi
onde abbondano le scene arlecchinesche
nelle commedie dell'arte...). Ma avverte
il Salveraglio che il P. cancellò il v. 674,
ponendo Che su la punta deWun pie
s' inoltra» (M.).
677-'81. Dopo le maschere le bestie,
e la breve enumerazione Unisce con un
motto. — onde a sé... fan speglio: in cui
si specchiano, cioè vedono il proprio
ritratto. È un motto trai' insolenza aper-
ta e la facezia scherzosa: « si lascia ca-
dere la maschera a disvantaggio », pa-
reva al Giusti. Ma in vero tutto questo
luogo (vv. 6tò-'81) è garbata rappresen-
tazione d' un passatempo abbastanza
innocente, e qui la satira non è né pro-
fonda né acerba.
6S3-'89. la sacra del gioco ara, cf. il
Matt. 16 sg. ; disposta A te, per te. —
nell'aurato bronzo Che d'attiche colonne
il grande imita I lumi sfHTillanti : le can-
184 LA NOTTE
Già la sacra del gioco ara disposta
685 A te pur anco ? E nell' aurato bronzo,
Che d' attiche colonne il grande imita,
I lumi sfavillanti, a cui nel mezzo,
Lusingando gli eroi, sorge di carte
Elegante congerie intatta ancora?
690 Ecco s' asside la tua dama, e freme
Ornai di tua lentezza: eccone un'altra;
Ecco l'eterno cavalier con lei
Che, ritto in pie del tavolino al labbro.
Più non chiede che te, e te coi guardi,
695 Te con le palme desiando affretta.
Questi, or volgon tre lustri, a te simile
Corre di gloria il generoso stadio
De la sua dama al fianco. A lei l' intero
Giorno il vide vicino, a lei la notte
700 Innoltrata d' assai. Varia tra loro
Fu la sorte d' amor, mille le guerre,
Mille le paci, mille i furibondi
Scapigliati congedi, e mille i dolci
Palpitanti ritorni, al caro sposo
705 Noti non sol, ma nel teatro e al corso
Lunga e trita novella. Alfine Amore,
Dopo tanti travagli, a lor nel grembo
Molle sonno chiedea; quand' ecco il Tempo
Tra la coppia felice osa indiscreto
710 Passar volando, e de la dama un poco,
Dove il ciglio ha confln, riga la guancia
Con la cima dell' ale ; all' altro svelle
Parte del ciuffo, che nel liquid' aere
Si conteser di poi 1' aure superbe.
dele ne' candelabri magnifici, imitanti o vicende. — 1 furibondi Scapisrllatl con-
colonue ateniesi. Non è al tutto fuor di gedi e dolci Palpitanti ritorni, concetti ri-
luogo ricordare il Mezzog. 61S-'59. — spondeuti.rispoudeule reuritralae Tele-
I.using.indo, allettando, invitando, — di ganza dei termini. — nel teatro e al corso,
carte Elegante...., un mazzo nuovo. v. lo stesso emistichio ne V Matt. 184. —
692. l'eterno caraller, il solito, che è lionga e trita novella, per molto tempo
con lei sempre; il che è poi, vv. 696 sgg., materia di tutti i discorsi; Petr. «al
dichiarato. Eterno è anche dell'uso vivo mondo tutto Favola fui gran tempo ».
in tal senso. 707 sg. a lor nel grembo Molle sonno
693. del tavolino al labbro, all' orlo, cliledea, cioè di riposare tranquillo, o,
presso la sponda. tolta l'imagine, sperava ch'essi vives-
698-700. A lei..., d'assai. Cf. il Matt. sero tranquillamente amorosi.
316-'50. 709. Indiscreto, par biasimo, ed è es-
700-'06. Tarla tra loro Fn la sorte d'a- senziale del tempo: non discerne.
mor, cioè il loro amore ebbe molte fasi 711-'14. Dove II ciglio.... Con la cima
LA NOTTE
185
715 Al fischiar del gran volo, ai dolci lai
Degli amanti sferzati, Amor si scosse,
Il nemico senti, 1' armi raccolse,
A fuggir cominciò. Pietà di noi,
Pietà, gridan gli amanti: oi*, se tu parti,
720 Come sentir la cara vita, come
Più lunghi desiarne i giorni e l' ore ?
Né già invan si gridò. La gracil mano •
Verso l'omero armato Amor levando,
Rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo
725 De le carte che Felsina colora
Tolse da la faretra, e, Questo, ei disse,
A voi resti in mia vece. Oh meraviglia!
dell' ale : le solca il viso della prima ruga.
— all'altro sTelle Parte del ciuffo, gli di-
rada i capelli. — che nel liqnld'aere SI
conteser...: questo particolare può iu-
cliiudere un discreto ricordo della chio-
ma di Berenice; fors' anche de 7 riccio
rapito di Pope, — l'anre superbe, di ave-
re tal preda in loro balla.
715-'1S. Al fischiar del gran volo, quello
anzidetto del tempo. — sferzati, colpiti
nella guisa descritta. — si scosse, quasi
fosse già addormentato. — senti, sensit,
si accorse della sua presenza. —A fug-
gir cominciò, dopo l'armi raccolse che
farebbe pensare a chi si prepari a di-
fendersi, riesce improvviso e quasi co-
mico.
720 sg. sentir la cara vita, cioè vivere
sentendo e gustando il vivere. — desiar-
ne, di essa vita.
722-'27. La gracil mano, sottile; cf. il
Vespro 67 e nota, ma qui in pretto senso
classico. — Rise un riso vezzoso: cf.
Tasso G. L. XIX « Sorrise il buon Tan-
credi un cotal riso Di sdegno ». — le
carte che Felsina colora. Credo che al
luda specialmente al cosi detto taraci
chino bolognese, fin dal sec. xiv « in.
trodotto e raoditìcato in Bologna» da
uno di casa Fibbia (Cicognara, Calco,
grafia p. 137). « ... Il est pourtant un
artiste assez h abile qui vers le commen-
cement du dix-huitième siècle a dessiné
et grave un Tarocchino. [Ma in verità
molti altri giochi disegnò]. Joseph-Marie
Mitelli, connu par 1' originante de son
burin, a grave pour la familleBenti vo-
glio un jeu bolonais dont les cuivres
existent encore dans le commerce, se-
lon Cicognara [op. cit. p. 138], et 1* ico-
uographe vénitien n'hésite pas à mettre
ce jeu au nombre des meilleures produ-
ctions de Mitelli. Et de fait le dessia en
est facile, varie, la gravure légère et spi-
rituelle, et cette oeuvre ne peut étre re-
jetée dans la catégorie des pauvretés ar-
tistiques produites ordinairement pour
rusag6desjoueurs»(R. Merlin, Origine
des Cartes à jouer etc, Parigi, 1869).
Di Gius. M. Mitelli o Metelli (I634-17I8),
figlio di Agostino celebre frescante (1609-
'60), puoi vedere la Felsina pittrice del
Malvasia, p.te iv, e gli appendicisti di
quell'opera, e la Storia dell' Accad. Cle-
mentina di Giampietro Zanotti, I 181.
Uomo pien di vivacità attiva e artistica,
danzatore e suonatore, giocator di pal-
lone e gran cacciatore, pittore e inta-
gliatore in rame, coglieva prontamente
figure e macchiette ed era non grande
0 finito artista ma inesauribile di ca-
pricciose invenzioni. Giacché mi è ac-
caduto menzionarlo qui, ricordiamo ol-
tre al suo tarocchino suoi versi. Il Mal-
vasia narra avere avuto in dono da lui
un suo disegno Apollo che scortica Mar-
sìa e sott'esso questi versi :
Troppo pensai saper per mia sveutura
E con Apollo io volsi cimentarmi:
La camicia che femmi la natura,
Fortuna poi non seppe conservarmi.
1 quali suo padre Agostino corrèsse, o
credè correggere, cosi :
18G
LA NOTTE
Ecco que' fogli, con diurna mano
E notturna trattati, anco d' amore
730 Sensi spirano e moti. Ab, se un invito
Ben comprese giocando e ben rispose
Il cavalier, qual de la dama il fìede
Tenera occhiata che nel cor discende,
E quale a lei voluttuoso in bocca
736 Da una fresca rughetta esce il sogghigno!
Ma se i vaghi pensieri ella disvia
Solo un momento, e il giocatore avverso
Util ne traggo, ah! il cavaliere allora
Freme geloso, si contorce tutto,
740 Fa irrequieto scricchiolar la sedia,
E male e violento aduaa e male
Mesce. i discordi de le carte semi,
Onde poi 1' altra giocatrice a manca
Ne invola il meglio: e la stizzosa dama,
745 I due labbri aguzzando, il pugne e sferza
Con atroce implacabile ironia,
Cara a le belle multilustri. Or ecco
Sorger fieri dispetti, acerbe voglie,
Io già provai con l'istromento mio
Pareggiar chi di luce il mondo indora ;
Ma la cetra di lui dolce e sonora
Mi fa pagar con la mia vita il fio. —
Amanti invecchiati che si consolano con
la briscola o simili giochi, non può ne-
garsi che sia cosa dal vero. Ma che sia
Amore a far dono a quelli delle carte,
di questa fiche de consolalion, non pro-
duce molto effetto, dopo che vedemmo
Mercurio insegnare il trictrac. Sembra
ripetizione di cosa non abbastanza dis-
simile. E per me oso credere che quella
descrizione d'un gioco, la quale pure
sta cosi bene a chiudere il Mezzogiorno,
tolga efficacia di novità a queste più
ampie scene di giochi che la Notte, na-
turalmente, accoglie : sembrano varia-
zioni d'un motivo già noto. Il che nulla
toglie, anzi aggiunge alla virtù poetica
e artistica, con cui il P. trattò e animò
le precedenti scene e quest' ultima.
728-'30. qoe' fogli con diurna mano E
notturna trattati : di giorno e di notte ;
è quasi parodia del notissimo oraziano
« Vos exemplaria Graeca Nocturna ver-
sate mauu, versate diurna », del quale
già una sembra essere in Orazio stesso
« Nocturno certare mero, putere diur-
no ». — d'amore Sensi spirano e moti:
quali si dichiara appresso; compiacen-
za, se il compagno gioca bene; lunghi
corrucci, se male.
730-735. se nn invito Ben comprese gio-
cando e ben rispose: termini di gioco
quasi tecnici. La dama e il cavaliere
stanno insieme, sono compagni, nella
partita in quattro : invitare è far gioco
tale che l'altro debba intendere e secon-
dare, rispondere. — fresca rughetta, ag-
giunto e nome che ad arte suonan di-
scordi ; e sogghigno non è più sorriso.
736-'42. Se la dama ha un istante di
distrazione, di che l'avversario s'avvan-
taggi, il cavaliere s' inquieta. — E male...
semi: raccoglie e mescola furiosamente
le carte. — semi, cosi si chiamano i grup-
pi diversi, cioè cuori, fiori, quadri, pic-
che ; 0 coppe, spade, bastoni, ori o denari.
743 sg. He invola il meglio, profittando
della furia iucomposta con che l'avver-
sario raduna le carte.
716 sg. Con atroce..., Cara a le belle
mnltllastri, e però dispettose, inacerbite.
LA NOTTE 187
Lungo aggrottar di ciglia, e per più giorni
750 A la veglia al teatro al corso in cocchio
Trasferito silenzio. Alfìn chiamato
Un per gi'an senno e per veduti casi
Nestore tra gli eroi famoso e chiaro
Rompe il tenor de le ostinate menti
765 Con mirabil di mente ai'dao consiglio.
Cosi, ad onta del tempo, or lieta, or mesta,
L' alma coppia d' amarsi anco si finge ;
Cosi gusta la vita. Egual ventura
T' è serbata, o Signor, se ardirà mai,
7G0 Ch'io non credo però, l'alato veglio
Smovere alcun de' preziosi avori
Gnor de' risi tuoi, si che le labbra
Si ripieghino a dentro e il gentil mento
Oltre i confin de la bellezza ecceda.
765 Ma d'ambrosia e di nettare gelato
Anco ai vostri palati almo conforto.
Terrestri déitadi, ecco sen viene;
E cento ganimedi, in vaga pompa
E di vesti e di crin, lucide tazze
770 Ne recan taciturni, e con leggiadro
E rispettoso inchin tutte spiegando
Dell'omero virile e de' bei fianchi
Le rare forme, lusingar son osi
De le Cinzie terrene i guardi obliqui.
775 Mira, o Signor, che a la tua dama uu d' essi
749-'51. per pili giorni... Trasferito si- dentro, il mento in fuori; è perifrasi
lenzio, portato di luogo in luogo, con- elegante per dire « sicché tu faccia la
tinuo. bazza ».
75l-'55, A tali ire bisogna un paciere, 765-774. Son portati i rinfreschi, e
del senno, dell'esperienza di Nèstore: propriamente i gelati. Anche qui, quasi
egli solo, con l'avvedutezza e la loquela per necessità di cose, si ripresenta con
sua persuasiva, fa cessare il lungo brou- più larghezza una circostanza che già
ciò di que' due, Rompe il tenor de le osti- ci presentò il Mezzog., vv. 1033-"38. —
n .te menti. ganimedi chiama i giovani servi si per
756 '58. Èquasirispostaai versi 720-'21. la leggiadria e l'eleganza si perché il
758-'61. Tentnra, par che suoni «lieta» giovinetto frigio rapito in cielo dal-
ma l'intendimento è altro dal suono, e l'aquila si Unse coppiere di Giove. —
quale ella sia ognun vede. — Clj'io non lusingar son osi, cfr. il Vespro 32-35. —
credo però, comica riserva ! Il però è nel De le Ciuzie terrene ; tutte simili a Diana
senso moderno di « tuttavia ».— de' pre- (djnthia dal m. Cijnthus in Belo sua
z'iosi arori Gnor de' risi tuoi, preziosa an- patria), la castissima dea (che pure ebbe
che la frase: può ricordarsi il catulliano occhi per Endimione). — i guardi obli-
« Egnatius, quod candidos liabet dentes, qui, di sottecchi.
Kenidet usquequaque ». — si che le lab- 775-'80. Lene s'accosta, con garbo, con
bra... e il gentil mento..: le labbra in riguardo. E il servo elegante che vuol
188 LA NOTTE
Lene s' accosta e con sommessa voce
E mozzicando le parole alquanto,
Onde pur sempre al suo signor somigli,
A lei di gel voluttuoso annuncia
780 Copia diversa. Ivi è raccolta in neve
La fragola gentil clie di lontano
Pur col soave odor tradì sé stessa ;
V è il salubre limon; v' è il molle latto;
V è con largo tesor culto fra noi
785 Pomo stranier che coronato usurpa
Loco ai pomi natii ; v' è le due brune
Odorose bevande che pur dianzi,
Di scoppiato vulcan simili al corso,
Fumanti ardenti torbide spumose
790 Inondavan le tazze, ed or congeste
Sono in rigidi coni, a fieder pronte
Di contraria dolcezza i sensi altrui.
Sorgi tu dunque, e a la tua dama intendi
A porger di tua man, scelto fra molti,
795 II sapor più gradito. I suoi desiri
Ella scopre a te solo: e mal gradito,
O mal lodato almen, giugno il diletto
Quando al senso di lei per te non giu-ge.
Ma pria togli di tasca intatto ancora
800 Candidissimo lin, che sul bel grembo -
Di lei scenda spiegato, onde di gelo
Inavvertita stilla i cari veli
pur somigliare al padrone elegantissimo ro? Meglio, diversa da quella che re-
è da osservazione viva. — di gel rolnt- cano in bevanda. Ma forse non è chia-
tnoso: è delle frasi, numerose in questo rameute espresso,
luogo, che temperano la preziosità vo- 793-'98. Il servo annuncia le varietà,
luta dalla materia e dall' ambiente con ma la dama dice solo al cavaliere la
la sobria eleganza di cui il P. era mae- sua scelta. — iatendi A porger.», attendi
stro. a..., adempì 1' ufficio di...
780-92. Enumera qualità di gelati tra 799-804. Stendi su le sue ginocchia un
cui la bella può scegliere : fragola, li- fazzoletto fine e nuovo perché goccia di
mone, crema, ananas, cioccolata, caffè. gelato non macchi la veste, di macchia
— con largo tesor culto fra noi Pomo str a- disperata, indelebile, che non va vi.i.
nier... : l'ananas. — v'è le due brune....: Notò Bonav. Zumbini che questo partl-
poiché a punto soglion esser bevande colare è imitato dal poemetto di Pope
e ben calde, colorisce forte ciò per av- Tfie iJaj^e of the Look e che, se pare
vivare il contrasto, che ora sono rasso- atto poco signorile, l'imitazione da an-
date e ghiaccie, congeste... in rigidi coni, tore allora assai noto era fatta «con
Nota il T'è seguendo due soggetti : uso la speranza di conseguire un felice ef-
classico, e anche de' nostri classici. — fetto poetico ». (Del poema di Pope pub-
Di contraria dolcezza: contraria tra lo- blicato nel 1711-12, poi nel '14, v. Card.
LA NOTTE
189
E le frange pompose invan minacci
Di maccliia disperata. Umili cose
805 E di picciol valore al cieco vulgo
Queste forse parraii che a te dimostro
Con si nobili versi, e spai-go ed orno
pp. 120- '39: ove delle imitazioni del P.
dal poeta inglese, quali avvisarono lo Za-
nella o lo Zumbiui, si discorre a fondo,
riducendole a poche o punte e recando
particolari raffronti da Preciirs. e imi-
tatori del Giorno di G. Agnelli). Certo
è che nel canto in del Ratto del riccio
si legge come, pronto e versato il caffè
(cito dalla traduzione di Ant. Conti, del
1756, non molto felice a questo punto,
ma, in ultimo, fedele),
I Silfi, non men ch'api a fior novello,
Volano Intorno alla guardata Bella.
Altri sventa il liquor quand'olia il sorsa,
Altri contro ogni sorso oppone l' ale
Tremante e conscio del broccato ricco.
804-'06. Umili cose...: umili in verità,
e di più in più le immediatamente pre-
cedenti a questo passo in cui il P. si ri-
sente e risorge. Ma, nonostante l'appa-
rente connessione, e ammettendo che
« cotesti versi, col tratto supremo del-
l' ironia, potevano e possono benissimo
essere epilogo e conchiusione a tutto il
poema », non è men vero che « e' è una
lacuna tra il sorbir de' gelati e l'epilo-
go », come afferma il Carducci. A giu-
dizio del quale resta sempre salda la
ragione di Cesare Canti'i : « Qui lasciò
interrotta la pittura il gran Lombardo.
Chi avrà posto mente al principio della
Notte, di leggeri avviserà quel che vi
manca. Perocché ivi erasi proposto di
guidar il suo generoso alunno alla ve-
glia frequente e aWampia scena [v. 63.
E mi pare a proposito ricordare il Matt.
65 *Tu tra le veglie e le canore scene
E il patetico gioco oltre più assai Pro-
ducesti la notte»]. Compiuta la prima
parte, questa seconda rimaneva ; e deh
l'avesse potuta o voluta colorire ! » E
questa salda ragione il Carducci con-
fermò a oltranza raccogliendo note au-
tografe del P. (pag. 276 sg.) quali: Il
teatro è un alveare, i palchi le celle,
i siovani le api che fanno il miele. —
Al teatro gli altri vanno per solle-
varsi dalle fatiche, tu solo vi vai per
coronare colVestrema le fatiche del
giorno. — Porti il sacco, lo levi, lo
adatti; segga in faccia alla dama,
pulisca il cannocchiale, esibisca dia-
voletti, porti ambasciate. — Godere
in un punto con la vista gli spetta-
coli, coli' udito la tnusica, coll'olfato
gli odori, col gusto gli spargimenti,
col tatto del ginocchio la donna. —
Gli attori applaudi non quando il me-
ritano ma quando vien capriccio. Il
volgo adopera la ragione e quel senso
che per ciò è detto comune; ma le vo-
glie repentine sieno sole la tua nor-
ma. — Donne di teatro: Amore guar-
da le dame, e sorride. — Celibi. —
Marito. — Bando o nastro da notte
ricamato a caratteri amorosi dalla
bella. — Cavalier savio, dama sa-
via. — Caratteri di donne da visi-
tare in teatro. — Maschere. Chauves-
souris. Tornando svegliarsi alV im-
provvisa e applaudire a chi stona. —
Cavalieri che mantengono donne. —
Cavalieri che danno ciarle e prote-
zione alle donne di teatro non poten-
do dar altro. — Dame guardano ai
ballerini, cavalieri alle ballerine. —
In palco non ceder la mano, tornan-
do ripigliarla. — Nella platea discendi
talora, accomunati co' musici, bufToni
mutoli. — Degna talora gli uomini di
talento, ma come none. — Parlar
forte dalla platea al palco. — Nel par-
tir dal palco cerchi dello staffiere per
la mantiglia, la metta alla dama, ne
acconci le code nel cappuccio. — « Ver-
seggiata e compiuta che fosse la descri-
zione, che lascia imaginar tanto pur
dalle linee, del modo di passar la sera
al teatro, avrebbe fatto séguito a quella
della veglia»; e cou pari convenienza
esteriore, e maggiore intima, si sareb-
be soggiunta la chiusa Umili cose... —
(jneste... elio « (e dimostro~>> ... non faro:
190
LA NOTTE
810
De' vaghi fiori de lo stil, eh' io colsi
Ne' recessi di Pindo e che giammai
Da poetica man tocchi non furo:
il P. si può dar questi vanti, giacché
per il tono dominante del poema le belle
parole posson sembrare in fondo scher-
zose, ma intanto egli è ben conscio che
dice giusto e quindi in realtà parla sul
serio. Puoi cf. il Mezzog. 769 « Immor-
tai come voi la nostra Musa >. — di tanta
notte, di si gran tenebra, d'ignorfinza
tanta. — e sorger...: cosi divenire illu-
stri tanti, che poi, cioè fatti per tal via
gloriosi e splendidi, 11 cieco vnlgo adora:
cieco in quanto ignaro e grosso (cf. v.
805), 0 pure in quanto li adora] L'animo
del p. s'intende, e la chiusa, definitiva
o no ch'ella avesse a essere (e forse si :
la lacuna è prima) è degna del poema.
Per la frase ricorda il Vespr. 439 «la
turba volgare che si prostra »; e avverti
prosteso adora nel Leop. Palin. 214,
Qui per compiutezza è da soggiun-
gere un frammento inedito, e che forse
non sarebbe entrato mai nel poema, e
lo soggiungo con le parole e le osser-
vazioni verissime del Carducci (p. 27S).
« Ma dove avrebbe il poeta cacciato la
morte dell'eroe e la discesa all'inferno?
Perocché tra altri appunti trovo anche
questi :
Meraviglia de' posteri pensando che tu
abbi fatto ogni giorno tante cose per tanti
anni.
Morte dell'eroe, funerali, apoteosi.
Inferno. Mostri vari, ombre pallide, tutti
eguali. Giudici sedendo distribuiscon le
pene: tolgono agli uni il frutto de' lor pec-
cati, danno ad altri un premio che tornerà
in loro danno ecc.
E trovo questo frammento :
Poi che tant'opre e gloriose hai solo
Fatte in un giorno, almo signore, or vieni
Meco e discendi ne la valle infama.
Né il lusingante con la cetra Orfeo
Né l'armato di clava Ercole invitto
Sarien si chiaro a scintillar saliti
Là per la volta .de l'etereo polo,
Se non tentato già per l'ombre eterne
Lasciato avesser l'ultimo periglio ;
Né di te degno e de l'eterna Clio
Saria il tuo vate, se de gli altri al paro
Poi non guidasse il suo cantato eroe
Felice temerario in faccia a Fiuto.
Vergine furibonda e scapigliata
De le cui voci profetanti tutta
Ululava l'euboica riviera
Ne' prischi tempi e che guidasti a Dite
Il timoroso de gli dei troiano.
Tu predinne le sorti e tu ne assisti.
Mentre d'un aemideo guidando 1 passi
Scendo uom mortale e penetrar son oso
I ridotti de l'ombre e il regno avaro.
Ma oh Dio già mi trasformo. Ecco ecco un
Ampio, nero, lugubre a' me d' intorno [velo
Si diffonde, mi copre. In grembo ad esso
Si rannicchian le braccia, e veggio a pena
Zoppicarmi del pie la punta estrema
Sotto spoglie novelle. Orrida giubba
Di negro velo anch'essa a me dal capo
Scende sul dorso e si dilata, e cela
E mento e gola e petto. Ahimé il sembiante
Sorgo privo di labbra, esangue, freddo
E di squallore sepolcral coperto.
È la mascheratura del domino nero 1 A
ogni modo, il poeta pare abbandonasse
certe fantasie di reminiscenza. E fece
bene. Troppo avrebbero stonato con la
realità viva che animava tutto il poema.
— E lo anima tuttora ».
Non lasciare però di notare la bel-
lezza dell'arte pariniana in questi versi
per sé considerati, p. es. in quello Fe-
lice temerario in faccia a Pluto, e nei
susseguenti che, se fossero di alcuni
anni più tardi, si direbbero stupenda-
mente foscoliani.
In quanto alla descrizione del teatro,
nel sermone intitolato a punto il teatro
(opp. Ili 165, ed è anche nelle ed. Le
Mounier e Barbèra), magrissimo com-
penso di certo alla trattazione che il P.
avrebbe fatta con ben altra arte nel
poema, c'è qualche tocco e accenno che
a noi giova conoscere. Incomincia da uno
sguardo al carnevale in piazza.
Entrerem noi su l'ondeggiante piazza
A veder le magnanime tenzoni
Dell'Insubre di Brenne inclita razza?
Br'iarei i fanciulli e Geri'oni
Fansi a raccor la pubblica treggea
Ch' è in vece d'arme a' fervidi campioni.
Ma noi non già de la pazzia plebea
Frustiam le spalle : andiam là 've s'aduna
E la ricca e la nobile assemblea.
LA NOTTE
191
Ma di si crasso error, di tanta notte
Già tu non hai 1' eccelsa mente ingombra,
Signor, che vedi di quest' opra ordirsi
Audiancene al Teatro: oramai l'una
Ora è di notte: quivi '1 caruesciale
Gli apropositi suoi tutti raguna.
Odi '1 romor de' cocchi universale
Che van precipitando iu ver la corte
Dal cocchier spinti e dal padron bestiale.
Eccoci del Teatro in su le porte :
Vedi '1 portier con minaccevol fronte,
Che le pubbliche lance il rendon forte.
Non parti '1 ceffo del crudel Caronte
Che l'obolo a le vote animo chiegga
Su la riva dell'ultimo Aoheront • ?
Entriam ; ma fa ben poi chg tu ti regga
Incontro all'ira; e il periglioso a dire
Sol nel volto sdegnoso altri ti legga.
Entriam dopo costui che tanto a uscire
Sta di carrozza, e seco al fianco valli
L'altrui moglie ch'egli ha tolto a servire.
Il marito aspettando a casa stalli ;
E de la melonaggin del marito
Ridono i consapevoli cavalli.
Stimasi oggi un error d'esser punito,
Non che da tinger por rossor le guance,
Veder lo sposo a la sua moglie unito.
Ma già slam dentro, o Musa: il bel severo
Contegno verginal pon giù e spalanca.
Ben che cosi modesta, i lumi al vero.
Vedi qual ampio sorge a destra e a manca
Edifizio sublime: il fulgid' auro
Del vario ordin de' palchi il guardo stanca.
Vide a pena Quiriu tanto tesauro
Sparso ne' suoi teatri, allor ch'odile
Fu di Siila il figliastro Emilio Scauro.
Forse per udir qui l'ornato stile
Di Tullio o di Maron credi che stretta
Stia tanta femminil turba e virile ?
E ciò in vero sarebbe un po' troppo pre-
tendere. No, i belati d'un soprano.
Ecco s'apre la scena : ecco da i Iati
Utica s'erge: e in faccia al suo periglio
Esce il fiero Caton con pochi armati.
Dunque si rappresenta il Catone in
Utica.
Se gli legge sul volto il gran consiglio;
E seguon più versi solenni su lui e Ce-
sare, il che fa scoppiar dal riso la Musa,
. . . voggcuilo ad ambedue
Di biacca il muso e solimato intriso.
Ma non e' è da ridere : v' è fa Lisa spet-
tatrice che potrebbe sconciarsi, e però
è bene il rigor de' Romani Co'minj
ornar, e Catone esangue Cantar mo-
rendo :
... II popol tenerino
Troppo a le doglie altrui s'agita elangue.
Cha importan leggi al poeta meschino,
Pur che quel poco al fin vada buscando
Che avanza a Farinello e a Carestiuo?
Ma vaglia il vero, o Musa, or come or quan-
[do
Fu serbato il decer meglio e '1 costume,
Se gl'impavidi eroi muoion cantando?
La vecchia loda alla figlia il sopran /la-
scio : ma questa vagheggia Vamante, e
le espugnano la già salda mente gli ob-
bietti, il suono, il canto, e '; loco.
Vod' ella già ne la platea fervente
Sconosciute arrivar donne e donzelle
Giunte co' vaghi lor procacemente.
Dan le maschere ardir ...
C'è un frate Uguecion scappato di con-
vento, ci sono con Clori e Filli I Vezzosi
Xbatin, profumati Co'' tnanichetti can-
didi d" Olanda. La correttrice satira
non ha riguardo a servi né a padroni,
ma usa discrezione : indulgente a chi per
ire a teatro fé' privazioni lunghe, non a
chi fé' mercato turpe. Inveisce contro al
Ridotto, ove un ricco sdondolato Sur
una carta spiantasi di botto.
Perdio ! meglio saria, Musa, ch'entrato
Io non ci fossi mai, però eh' io trovo
Materia da miei versi iu ogni lato.
E poi dice, guardando le varie e folte
maschere.
Quanti vedrai spropositi massicci !
Quanti birboni avviluppati in ostri I
E in pelle di lioue oh quanti micci!
Finisce con ri4ersi del poeta che fa boc-
ca da piangere e si richiama ad Apollo
perché tanto tesoro vada a certa gente.
Che ogni sua gran virtù posta ha nel
foro De la gola. Ciò fa perder la pa-
zienza al poeta, che ai detti esecrandi
192
LA NOTTE
De' tuoi pari la vita, e sorger quindi
815 La gloria e lo splendor di tanti eroi
Che poi prosteso il cieco vulgo adora.
e allo sciocco favellar del suo diserto
compagno dice conchiudendo :
Bestia 1 non sa che l'or, le vesti e i prandi
Premi del volgo sou che ha *1 viver corto ?
E che vlvon d'onor l'anime grandi ?
Non sa che '1 nostro mondo oggi è si torto
Che a drizzarlo dal posto ov'ei si siede
Non basterebbe l'argano più accorto
Di quol gran matematico Archimede ?
GIUNTE E CORREZIONI
, 23. aborri {tutti eoi Beino, ab-
borri).
39. figlioletti intepidir {tutti in-
tiepidir).
131. scegli '1.
135. Caribbeo.
211. alle impure {tutti ale, tranne
il Valmaggi, nel suo • Il Giorno
ridotto e comm., 1904 3», eh' è ri-
salilo oltre il Reina alle prime
stampe) : cosi v. 698 alle gru (tutti
a le). **
212. macchiarsi {tutti raacchiarae).
215. All'orecchio. E cosi 226 Del-
l'ardente, 397 dall'altro, 608 al-
l'ara, 616 all'urto e all'Impeto, 739
sull'arti, 745 dell'amorosa, 948 dal-
l' inciso.
216. de le {lutti col £. da le, menu
il Vaivi.).
260. berà (e. «.).
293. obbietto. E cosi 322 Subbietti.
327. (giovane dama ed altrui sposa
era la stampa, non e d'altrui come
col R. tutti tranne F.).
437. ufici.
468. tra poc'anui.
546. le tempia (tempie tutti meno
V.).
— 607. pettine {Solo V., ma era ino-
babilm. errore di stampa).
— 609. Phallo.
— 632. travviai.
— 720. ch'osi.
— 792. Kt ondo (Mazs. Valm.).
— 799. Rafael (e. ».).
— 808. Allo scrosciar.
— 812. Se 'I primo.
— 818. fa cuore.
— 836. Fuligìnoso.
— 862. a poco bear {forse errore).
— 954. I magia
— 955. Cannochiale aggiugni {scor-
rezione).
— 973. Paladio {e. s. ?).
— 975. fomìnili E cosi Mezzog. 178:
ivi 316 feminei
— 997. ognaltro
— 1072. e '1 limo
— 1153. d'elsa E cosi 1159 l'elsa è
superba
— 1155. r impugni
— 1158. et ordinar {tutti ed).
— 1168. tra i
Il 3IezzOg. 79. Bizauzio
— 141. improviso
— 214. in voi non fia
— 299. Mugon
* Questa 1' lista A porla lezioni delle slampe 1763, 't>5, lezioni che, da poche in fuori, avrei
lasciate ai loro lunghi, se per qualche tempo non mi fosse mancato il raffronto di quelle stampe.
** Benché il P. seguisse in varj tempi diversi metodi d'ortografia (Reina), mi pare che
risulti come suo uso costauto dividere l'articolo dal segnacaso quando la preposizione artico-
lata era intera, non dividerlo quand' era apostrofata ; quindi p. es. ne le Gallie, de la vita,
ma all'opre, dell' incerto : ma non è maraviglia che qua e là non osservi la regola, poiché unica
norma certa per lui, in cosa che si fa solo nel verso in servigio del suono, era quel che gli
paresse suono migliore.
Fabini — AuJiNi
13
194
GIUNTE E CORREZIONI
Il Mezzog. 410. et arde
— ii2. et invocar
— 451 8gg. ria tua cura, o Signore,
or elle più ferve La mensa, di ve-
gliar su i cibi ; e pronto Scoprir
qual d'essi a la tua Dama è caro:
O qual
II Mezzo?. 461. nuooa
— 604. da mortali
— 646. Destino in lui {tulli In lei).
— 796. ne chiedea, 869. Zorastro («cor-
rezioni).
— 073. da le
B. Pag
87
133
156
181
note col. 2' lin. 10': il V. 337. correggi Meszog. 339.
" » 29: 516 e sgg. » 518 nelle varianti.
» 1' 8: della .... » delle
V. 237 la lez. prov. dal C. : L'ipo-
crito Il L' ipocrita
n. col. 2 1. 9 : 993 •> 972
« 15: Saul 12, I. II 1,
» 11. 9: V. 28, 261 n v. 28, 53, 261 var.
Varianti 1. 2*, dopo: 421. . . ag„'i ungi abbia piuttosto
i> 1. 6 : valletti dir. valetti
» 1. 2' : vendeste n scendeste
" 1. 1': di quella all' . . . aggiungi uso istesso
Il 1. 2' : onde corr. indi [l'onde è del R.]. '
» I. 3 inserisci 945. s' unio
» 1. 2*: oleosa corr. oleoso
» 1. 3-8 aggiungi 1038 sg. Ecco obe splende, Chiuso
in picciol cristallo — Nota che que-
Btiversinella stampa originale hanno
le lezz.i dell'altro secolo..., all'a-
spetto — Del non meno di voi —
Dell'oriolo — all' innocenza.
nota col. 1* 1. 14: 1144 corr. 1044.
Var. 1. 5 Inserisci — 1066 tu adunque
Var. in princ aggiungi 1079 manca.
» lin. 9 : core corr. cuore
Il 1. 12 inserisci 1151 sg. Tu al mio giovane Kroe la
spada or cingi Lieve e corta
» 1. 4: stridi agg. stridi V.
Note col. 8* in fine » Fors'anche, dignitosi e
solenni ; cf. 83 e la N. 204-208.
» e. 2* 1. 4: anaraci ....... corr. amaraci
Il e. 2* 1. 9 : Piiia corr. Finzia
» 15 : pacato » placato
Il col. 2' : in. terzultima. . . . Cancella [I aimil suoni, Tonti] — eie spetta
a un luogo della Notte.
Il col 1' lin. '«il, dopo: delle mio curo», agg. of. Mezz. 490.
v. 703 Bg. e in nota : dolci Palpitanti corr. dolce Palpitanti.
ELENCO E SUPPLEMENTO DI OSSERVAZIONI
su l'arte, lo stile e la lingua
AggettlTO avverbio. Esempi II Slatt. 86 «Molle
cedenti », 496 « alto gonfiando », 573 n lieve
solca », 637 o alto disdegnano». Il Slezz.
145 «Improviso», 238 a dolce cadente»,
1062 « molle assisa », Il Vespr. 206 « truce
guatando a. La Kott. 703 sg. « i dolce Pal-
pitanti a.
Il a persona o cosa per avverbio di tempo.
Ess. M. (v. tra le varie lezz. p. 57) « l'arme
che ... Givan notturne », N. 368 h Ei v'an-
dò mattutin ».
Il neutro per sostantivo astratto. M. 224 » il
vano », N, 270 « del tuo grande », 686 « il
grande ».
» predicativo, senza risalto di collocazione.
Me. 378 e 412, 677, V. 459.
Allitterazione, il. 386 ■ Vaglio e vo' », N. 31
« Con l'occaso Cadeau ».
Anafora. -V. 414- '17- '19.
Apuslopesl (reticenza o interruzione) M. 297
(ina avverti che 1 puntolini dopo « Al gio-
vane Signore » appariscono posti dal Bra-
mieri : né la stampa del P. né quella del
Reina ha tal segno di sospensione, e il
senso infatti può ben esser compiuto), 1031
• E il crin... Ma il crln ».
Apposizione libera. N. 579 ig.
Armonia particolare cercata o secondata col
verso. Ess. M. 42, 360, 452, 539, 599, 626,
708, 1026, 1134, ile. 83, 124, 173, 427 sg.,
681, 886, 888, 1047, 1053, 1153, V. 113, 319,
A'. 118 sg., 174-'76, 193, 202, 213, 268,
334 sg.
Asindeto tra verbi di azione alterna o succes-
siva. M. 797 11 loda riprendi », N. 95,173.
■ tra aggiunti che si compiono tra loro. Ess.
M. 3 o Purissimo celeste », 68 ag. « calde
Precipitose rote », 178 « Smarrite tituban-
ti », 238 « le accigliate gelide matrone »,
332 sg. «il cieco Incauto nume», 835 sg.
«leggera Candida polve». Me. 180 «tre-
mando lagrimando », 193 sg. « i divini An-
tiqulssimi sangui », 679 « pallide tremanti »,
733 « dolce Delizioso tremito «, V. 498 « i
color vari infiniti », N. 702 sg. u i furibondi
Scapigliati congedi ».
Astratto seguito da complemento per aggettivo
e sostantivo. M. 517 sg. • di polvi... Color
diversi », 1013 « Vivo splendor di preziose
anella», V. 196 «la neve de la bella go-
ta u, 356 sg. « de le stese gambe La snel-
lezza », N. 663 ■ D'immagini diverse alma
vaghezza a.
ATTCrbio, o altro aggiunto descrittivo, in fine
di periodo e principio di verso. Ess. M.
1002, 1154, M. 188, 443, 664.
Cadenze o versi intieri ripetuti. Me. 46,49,666
e 688, N. 317 e 319.
Catacresi. M. 375 « De' suoi unguenti impeci ».
Chiasmo. M. 801 ■ a le tavole ignote i noti no-
mi a, N. 351.
Collocazione del complemento tra l'aggiunto e
il verbo. Ess. M. 1 sg. « lungo DI magna-
nimi lombi ordine », 21 » i mesti de la dea
Pallade studi » , 45 « I nascenti del Sol raggi » .
a osservabile. Me. 180.
Comparazioni insigni. M. 63-76, 50ri-'09, 531-
'36, 537-'42, 604-'19, 848-'65, 1135-'42, 1159-
'68, Me. 7-19, 78-90, 119-'26, 219-25, 295-
302, 360-'66, 423-'30, 518-23, S89-'98, 799-
811, 860-'68, 1002-'09, V. 284-'98, 329-'36,
N. 206-'ll, 544-'46.
('oiiiplementl in luogo di aggettivi. Es. M. 3S1
Il Di senza guida e senza freno arciere ».
Coordiuate determinanti. M. 806, Me. 131.
Correlativo omesso. N. 566.
196
OSSERVAZIONI SU L'ARTE,
Costrutti- all'uso latino. Ess. O te... o te... con
l'indicativo, M. 48-52, Me. 129-'36, 710-'42,
V. 147-'55. Di due azioni l'una espressa col
participio, M. 1091. Altro, Me. 474 sg.
Dativo agente. M. 787, Me. 775.
Desiiieuze. poetiche o meno usate. Eia. M. 306,
641.
Dimostratlro con riferimento non rigoroso a'
termini più vicini o lontani. Me. 1163.
Due termini, nomi o verbi, per una idea (cf.
sopra Asindeto tra aggettivi). Ess. M. 189
« Modera e guida » (ricorda i modi latini
regere atque movere, administrari et regi),
2 '3 « lusinga e molce » (mulcehant atque
iuvrbant Lucr.), 298 • antiquo e vieto »,
504 « ripulisce e terge », 635 « volge e go-
verna n, 746 « affretta e sprona n, 832 « e-
duca e nutre», 843 «Fregio ed onori),
941 0 educa e scalda », 1101 « premi ed ur-
ta», 1114 «Primo fregio ed onor », 1122
n indaghi o scopra», Me. 247 « Stimola e
caccia», 372 «desta ed infiamma», 410
Il fulmina et arde », 413 o l'agita e scuote»,
514 « lacera e mangia », 541 « sonnolenta
(somtiieuìosa) e crassa», 749 «irrita e mo-
ve », 1041 «va lustrando e purga», N. 2
«cerchi e guidi», 31 «duri ed alpestri»,
422 » Vincasi e domi » ,. 753 « famoso e
chiaro ».
Endiiidi (molti ess. posson trovarsi comuni con
l'articolo precedente). M. 616 « all'urto e
air impeto », 998 « I plausi e i gridi « fcf.
clamores et admirationes), 1022 « La fatica
e il Budor », 1139 «impeto e forza», Me.
510 «s'adopra e stanca», 830 [e N. 362]
«Giudica e libra», 879 «Col profondo si-
lenzio e con la notte», V. 336 «lambisce
e vola », 3 9 « arde e balena », ^. 125 « spi-
ra e consol.i », 296 «L'ali e le piume»,
382 sg. « da la guancia enfiata E dal torto
oricalco ».
Emistichio più forte soggiunto a un primo.
Ess. Me. 189, V. 501, N. 811.
Enumerazione per coppie di termini corrispon-
denti. Ess. ìf. 468 sg. «Vanne torna, t'as-
sidi ergiti, cedi Premi,... odi domanda»,
647 Bg. « con voci successive, or aspre Or
molli, or alte ora profonde ».
Epiteti epici o al modo epico. Ess. M. 125, M^-.
7U2, V. 53, 413, N. 161, 18^, 424 sg.
Euritmie e rispondenze. M. 820 sg. e 823 eg.,
N. 36l-'83, 412 sg., 702-'04.
Flnml per le città, M. 870, 1106 sg.
Imperativo negativo della 2' singolare. Ess. M-
812 «tu non pensa», 979, 934.
Indicativo per condizionale. M. 736 « v'era as- .
sai meglio», 825 «Gran tumulto nascea,
se... *.
Infinito nell'esclamazione enfatica. M. 366 sg.
Iperbato. M. 5 sg. « le adunate in terra e in
mar ricchezze Dal genitor frugale », 104
sg. « gli opposti Schermi a la luce ».
Latinismi con particolare intenzione:
acuti {orecchi), Me. 1116.
helva, V. 77.
comodo, comodi, V. 20.
equo, V. 503.
favoloso, N. 580.
finto, V. 299.
forchette (/urcillae). Me. 908.
gracile, V. 68.
viostruoso. Me. 509.
ozio, ozi, M. 14, Me. 339.
peregrino, Me. 501.
rito, riti, M. 7, 328, 401, Me. 190.
stomaco M. 310.
studi (studia) Me. 490, N. 60.
venereo, M. 659.
volubile, M. 558, Me. 210.
Latinismi diversi.
accenso, N. 606.
aereo, V. 17.
agevole, V. 48, N. 622.
agitare (spingere, incalzare). Me. 34.
alterno, N. 114.
animo (passione). Me. 964.
argutamente, V. 160.
breve (piccolo), Ma. 358, 648, V. 135, 149,
N. 616.
calamistri, M. 606.
capo (vita), V. 121.
capripede. Me. 728.
carpentiere, V. 354.
caso (casus), Me. 881.
cieco, V. 506
commettere, M. 416 Bg.
comporre, N. 587.
consigli, M. 130, Me. 260.
contenere (trattenere), V. 56.
corna (d'un fiume). Me. 889.
cosi (desiderativo), M. 709.
cucùrbita M. 525.
cura (oggetto d'amore, d'affanno), M. 413,
Me. 772, V. 55, 131, N. 179.
dapi, Me. .391, 1035.
dedurre (condurre giù, far discendere) M.
1208, V. 398.
degnare, M. 633 « cui degni Tu degli ar-
cani tuoi ».
distinto, M. 1004,
LO STILE E LA LINGUA
197
donare, Me. 341 «Dell'industria donalo ».
dottor (maestro), ìf. 298.
dubbio marte, K. 165.
due volte sei (cf. bis leni). Me. 1146.
durare (assolutam., reggere, resistere ; resi-
sti e dura, Tasso O. L. xvm 52 e altr.)
M. 621, 1052.
duro a..., agg., Me. 593.
ebete (ottuso), Me. 326.
egro, Me. 1043.
esaurire (vuotare suggendo), Me. 6G7.
esercitare, Me. 57, N. 342.
estremo, M. 35, 193, N. 201.
facile, M. 32, ife. 16.
fanatico, Me. 560.
favola (scenica), Me. 798.
/edo, Jf. 687, 1137.
flagello (frusta). A'. 174.
fra (intra), V. 214.
frequente (numeroso, popoloso) Me. 833, V.
350, N. 63, 431.
genero»©, V. 374.
geniale, J/«. 371.
giovare (piacere). Me. 433.
gracile, N. 722.
grazia, N. 597.
imo. Afe. 210.
impaciente di.... Me. 406.
i»iacee««o, iV. 432.
incremento (rampollo), V. 92,
infelice, N. 338.
in/imo, ife. 145, 699.
ingenuo, Me. 211.
insigne (che spicea: cf. in Cic. insignem et
illuttrem), V. 31.
invidiare, M. 1121.
irritare (eccitare). Me. 849.
ig<i. Me. 703.
labbro (ovlo-labrum), N. 693.
lahendo, Me. 277.
lamentabile, Me. 798.
lato (largo), 3fe. 85.
Jen/o (lentus), M. 661, T. 178.
librare (pesare), M. 130, J/e. 193, 830.
liquido {aere), N. 713.
lituo (bacchetta), M. 613.
lumi (occhi), Jlf. 83, 107, 1175...
lustrare (purificare), Me, 1041.
madido, V. 130.
mano (stuolo), N. 197.
mescere, (sconvolgere), 3f. 1112, - la pugna,
V. 414.
mille passi (un miglio), N. 406.
ministrare. Me. 341, 586, 1057, iV^. 367.
ministro (minister), Me. 21t).
tiato a - , Me. 342.
non sema M. 236, 416, 467, 587, 605, V. 52.
nostro (mio). Me. 772 « sua dolce cura o no-
stra n {noster amor).
nota. Me. 6GJ.
notato (su cui è scrìtto), M. 931 sg., Me.
1118, N. 461.
n!t«o, nuUa, agg., M. 395 Jl/e. 53, 261, xV. 507.
n!j?ne (nu)Hen), Jl/. 109.>.
oblivione. Me. 434.
occupare (prendere per primo un luogo"),
N. 184.
officina (del fabbro) J/. 47, (de' cuochiì Me.
210.
orfio, J/^. 13.
ordine (sociale), M. 790 — (fila) 1174.
ornarsi. Me. 918.
ornati (ornaraeuti). Me. 33.
osta (ostis), M. 855.
padri (senatori), M. 1193.
pàtera, J/e. 1007.
pàtulo, N. 292.
pegno (oggetto prezioso), V. 218.
per, agente, M. 758.
pera (pereat), JW. 325, Me. 650.
perfetto {da perficere), M. 48.
perseguire, con un gerund., J/d. '.•35.
pertinace, K. 63S.
pompa (schiera, processione), M. 170, K. 29.
preparare (cagionare), M. 457.
presso (latte). Me. 1017.
prima (primum), Me. 650, .y. 134.
procace, K. b03.
produrre (tirare in lungo), M. 67.
prostrare (avvilire, umiliare). Me. 55.
pruriginoso (d;i pritrio), M, 79.
pupilla (oceitus), F. 453.
ramili eccelsi, V, 308.
rapire (preudore o condurre via in fretta),
M. 499.
ravvolgersi in mente, M. 461 sg. (cf. Me.
1093 sg. e la nota).
reale (di gran signori — regum), Me. 343.
ridolente, Me. 1040.
rigido, M. 60.
scendere (in ce?ta7«en), i\/^. 162.
scotere {cxcutere) M. 5G4 sg.
scutica, V. 316, iV. 378.
sermo?ie (lingua), M. 218, Me. 927, iV. 236,
554.
sollecito (premuroso). Me. 452, 505, V. 184.
soZyeie, Jf. 92.
»07«mo Me. 678, i^. 549.
sorgere {exsistc'e), M. 509, I\r. 402.
spargere di, M. 351 sg.
198
OSSERVAZIONI SU L'ARTE
state (calore estivo - aestas), M. 1211.
stendere (vie), M. 1206.
strati (strata\, N. 260.
sublime (alto, in alto), M. 1154, Me. 569.
tavole, tavolette (tabulaef tabellae), Me. 981
8g., Me. 1118.
temere (astenersi, rifuggire), Me. 153.
temprare, M. 217.
tenore (maniera), Jlfe. 686, N. 570, 619, 751.
tentare {templare), M. 500, V. 47, i^. 429.
testudo {tartaruga), M. 191, 1005.
tre volte.,,, tre fiate e quattro {terque qua-
terque), M. 537, Me, 167, 671, 685.
truculento, Me. 652.
tifici (officia). Ma. 437, Me. 692, F. 119.
uno (unico, eccellente), N. 393.
variare (essere o fare iridescente), M. 995,
Me. 274, 346.
venenoso Me. 125.
cerio (parola). Me. 1116.
veriore (scotere nell'urna), N. 412
vipereo, Me. 170.
volgere {xaata,ro-vertere), Me. 207, iV. 627.
volatile, V. 232, 2\r. 517.
Mitologie e personificazioni. Il Sonno, M. 84,
447 sg., e Morfeo, 92, 429 (nell'ed. 1763 ac-
centato Morfeo); Amore e Imene, M. 330-
403; Amori, M, 494-504 ; Como, M. 510 sgg.
e Me. 813 sg. ; Filauzio, M. 628 (cf. u l'Amor
di sé sol .1 Me. 822); Necessità, M. 733 sgg.;
Lusso, M. 737-'40; Gelosia, M^. lG9-'75 ;
Voluttà, Me. 251 sgg.; il Piacere, Me. 275-
'89 ; il Motteggio, Me. 372 sgg.; Racconti e
Licenza, Me, 379 sgg.; Imene e il Sonno,
Me. 415 sgg.; il Bongusto, Me. 547 sgg. ;
Mercurio e il Trictrac, Me. 110.'>-1179 ; la
Notte, V. 494 alla fine e N. 140 '47 Amore
e il canapé A". 275-318.
Partieipio con un modo fluito, a esprimere una
prima aziono. M. 1091, Me. 621-'24.
» passÌTO, per un astratto e sua specifica-
zione. M. 181, 214, 455...
Perifrasi. Kss. M. 102 sg., 283-'88, 747 sg. e 772
sg., 992 sg., 1119 sg., Me. 41, 47U-'82, 578 sg.,
1024 sgg., 1061-'68, V, 397, N. VJò sg., 250-
'52, 366 sg., 664-'78, 759-'64.
Polisindeto. Ess. M. 83S, Me. 175, 301, 331 sg.
V. 158 sg.
Prolessl, K.287.
Tocaboll e modi oseervabili :
altero (sublime, grande). Me. 1070.
altriee, V. 6.
altronde (di stato e di moto), Me. 1105, N.
504.
anguierinite (le furie), M, 76.
aprire (le tenebre, il velo, la caligine), M.
72, 256, 706.
arnese, collettivo, M. 493.
arredo, ■ M. 955.
arretrare, transit., N. 106.
arsenale, gran quantità, M. 1034.
atto {in), posposto ad agg. masch. o femm.,
M. 390.
beni (ricchezze), M. 1024,
bere (ascoltare avidamente), M. 269.
bizzarro (focoso), Me, 863.
capre {aeree), V. 17.
capriccio (raccapriccio, ribrezzo, brivido),
M. 444.
ceffo, M. 1215, Jlfe. 709.
chiostri. Me. 677.
conca (conchiglia), Me. 133.
contendere di..., Me. 822 {contendere nobi-
litate Lucr.).
convolgersi, V. 408.
dicchi (dighe), Me. 8S4.
dispettarsi (indispettirsi^ A". 867.
dissimile a..., Me. 583.
dittatore, Me, 5.
Edipo (accento), ilfe. 802.
esile, N, 481.
falcato (che ha la falce). Me, 629, V. 14.
fraga, Me. 286.
fronte, masch., M. 493, V. 130, N, 548.
grave di..., V. 20.
indice, agg., M. 6G7.
ingannare (il tempo), M, 8, et. Me, 1103.
inverso, Me. 717.
lamentare, transit.. Me. 621.
loggia (palco di teatro), M. 961, Me. 135,
150.
luci (occhi). Me. 166, 179, 2j8, 810.
mamme (del palato), 3/e.
naturalmente, .ironico, M. 23.
nauseante, att., Jl/e. 635.
nettareo (divino), M, 898.
nevoso (niveo), J/e. 143.
onde, congiunz. di fine con o senza il rela-
tivo inchiuso, M. 290, 531, 818, 964, luOJ,
1009, 1071, 1155, N. 602.
oprare (adoperare), M. 569, Me. 864.
óra, N. 124.
pascere (un luogo, abitarlo), A'. 339.
pedestre (a piedi), M, 1068.
percotere e tornare (del raggi), 3/. 898 sg.
permettere, V, 503.
pericolare e perigliare. Me. 594, A\ 87,
petroso, Me. 18.
piangere, transit.. Me, 616, iV. 572.
LO STILE E LA LINGUA
199
placalo (pacato, placido), V. 90.
popolare (render frequentato), 3/«. 235.
pubblico, M. 869.
qual, qualunque, Me. 858 — quello che, M,
1025.
rai (occhi), M. 419.
rehoato, Me. 790.
reggere (o certa meta), M. 312.
ridere (un riso), N. 724.
rimescolare, V. 498.
salma, M. 935.
scorzo, Me. 641.
scopo (bersaglio). Me, 162.
senso, Me. 833.
«orna, i^. 924.
spatsare, 7. 499 (1* lez.).
stallone, M. 308.
stentare (cocchiere), N. 83.
stupido, att., ^e. 417, W'. 415.
subentrare, transit., N. 183.
talento. Me. 643, JV. 384.
toilette e tavoletta, M. 485, 513, ^V. 67.
umani, sostant., Ife. 260.
vaghi e vaghe, sost.; 3/. 233, F. 386.
vegliante (idolo), Me. 136.
uejKare a,.., ^. 132.
vigilia (veglia), M. 457.
virali, M. 1112.
zazserato, N. '238.
."^
INDICE
PREFAZIONE Pag, m
Alla Moda xxxin
Il Mattino 1
Ili Mezzogiorno , 67
Il Vespro 129
La Notte 153
Giunte e correzioni 193
Elenco e éupplemento di osservazioni su l'arie, lo stile e la lingua 195
I
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